CRONACA VISITA PAPA AD ASSISI 4 OTTOBRE 2013
Un «saio bianco» ad Assisi, Francesco incontra Francesco
Tutti, al seguito del Signore del mondo, con lui entrano solennemente
nella città di Assisi. Arrivati nel luogo preparato
per quella solenne celebrazione, i cardinali, i vescovi e
gli abati si dispongono attorno al Papa. Ivi accorre un folto
stuolo di sacerdoti e di chierici, la sacra e gioiosa schiera
dei religiosi e quella più vereconda delle religiose avvolte
nel sacro velo. Accorre una folla immensa, una moltitudine
quasi innumerevole di persone di ogni sesso; da ogni
parte accorrono persone di ogni età, felici di essere presenti
a così imponente raduno: il bimbo vicino all’uomo fatto,
il servo vicino al padrone (Gb 3,19). Domina al centro il
Sommo Pontefice, lo sposo della Chiesa di Cristo, attorniato
da tanta varietà di figli, con la corona di gloria sul
capo in segno di santità.
Tommaso da Celano, Vita del beato
Francesco, 124-125, FF 537-538
L’impensabile
È il 13 marzo ed è notte fonda. Il pomeriggio è trascorso
con i collaboratori Alessio, Roberto e Andrea. È stata un’intensa
giornata ed è accaduto l’impensabile: il Papa appena
eletto ha preso il nome di Francesco.
L’ultima telefonata è della corrispondente del «New York
Times», Elisabetta Povoledo, mentre torno nella mia camera
dopo aver partecipato al dibattito di «Porta a Porta» con
Marco Tarquinio, direttore di «Avvenire», e Andrea Riccardi,
fondatore della Comunità di Sant’Egidio. Una trasmissione
che si chiude con un siparietto tra il sottoscritto e il
giornalista Bruno Vespa: «Adesso ci camperete per secoli
con papa Francesco» dice; e io: «è una nuova primavera!»,
proprio come lo fu l’Assisiate per il 1200.
L’inimmaginabile
Il 5 marzo «il Fatto Quotidiano» aveva titolato I frati di
Assisi aspettano Francesco I, così, dopo essersi avverato l’impensabile,
passo a raccontare qui l’inimmaginabile. Peserò
ogni parola, sapendo che questo racconto rimarrà nella storia
della comunità francescana.
Voglio iniziare con un pensiero rivolto ai milioni di frati
che in questi secoli hanno incarnato nelle periferie, come
nelle città, il carisma di Francesco e che forse non avrebbero
mai immaginato – anche se lo auspicavano – l’incontro
tra papa Francesco e il loro, il nostro san Francesco.
Il 4 ottobre 2013 è una giornata che si apre con la pioggia
e si chiude con un volo d’elicottero che parte dal campo
sportivo di Rivotorto alle 19.35. Eravamo lì, sia all’arrivo
sia alla partenza, gli occhi bagnati da lacrime simili a
quelle di papa Francesco, che offrivano al Santo d’Assisi
la speranza degli uomini di buona volontà.
La vigilia della visita si chiude dopo cena con le parole di
Mauro Gambetti, Custode del Sacro Convento: «Il Papa ha
manifestato il desiderio di salutare singolarmente ciascuno
di noi, lo farà al suo arrivo nella Basilica superiore»; l’emozione
si fa più forte e l’attesa trepidante.
La mattina del 4 il Papa arriva in anticipo, alle 7.26. In
città l’attendono circa settantamila pellegrini, anche se la
stampa parlerà di centomila, e 1039 giornalisti: è un pellegrinaggio
che per la storia delle visite papali in Assisi non
ha precedenti, per l’imponente presenza dei mass media
– tre sale stampa e circa cinquanta fly satellitari seguono
l’evento – e per quantità di persone giunte da ogni parte
d’Italia e del mondo, nonché per i luoghi toccati, ben dodici.
Le strade sono tutte transennate, dietro i pellegrini che
non vedono l’ora di salutarlo. Anche sui tetti le persone si
accalcano munite di binocoli e macchine fotografiche, pronti
a immortalare un gesto, una persona, il Papa.
L’arrivo all’Istituto Serafico, che accoglie ragazzi disabili,
è un tripudio. Sotto una pioggia insistente quella festa
iniziale si fa raccoglimento quando il Papa saluta, a uno a
uno, tutti i ragazzi ospitati portandosi le loro teste al petto:
«Queste piaghe hanno bisogno di essere ascoltate, di essere
riconosciute». Aggiunge poi: «Da questo luogo in cui si
vede l’amore concreto, dico a tutti: moltiplichiamo le opere
della cultura dell’accoglienza, opere anzitutto animate da
un profondo amore cristiano»; poi scherza da una finestra
con dei fedeli: «Pregate per me… ma a favore! non contro!».
Inizia così il pellegrinaggio del Pontefice, con la gioia di
vedere il nostro fotografo Andrea immortalare l’inimmaginabile.
Il vescovo di Assisi, Domenico Sorrentino, è seduto
accanto al Papa e mi chiama con voce preoccupata, dicendomi:
«State provvedendo per la pioggia?»; e io: «Eccellenza,
non pioverà». Il palco per la celebrazione eucaristica
non prevedeva infatti la copertura. Dopo pochi minuti
mi chiama anche il nostro Custode, preoccupato nel non
vedere sul palco l’ombrellone mobile che era stato previsto
in caso di pioggia, la quale, grazie a Dio, non c’è stata.
Verso le 10, infatti, appena sistemata la grande statua di
San Francesco di Giovanni Dupré sul grande palco a forma
di tau, il cielo si è schiarito regalandoci una bellissima
giornata. Né sole, né pioggia, ma il giusto clima. È il «miracolo
» di san Francesco.
Il Papa si ferma quindi a San Damiano. Ad accoglierlo
c’è il Ministro generale dei Frati minori, Michael Perry.
Precedono il Papa gli otto cardinali scelti da Bergoglio
stesso per la riforma del governo della Chiesa universale:
Giuseppe Bertello, presidente del Governatorato vaticano;
Francisco Javier Errßzuriz Ossa, ex presidente del Consiglio
episcopale latinoamericano; Oswald Gracias, arcivescovo
di Bombay; Reinhard Marx, arcivescovo di Monaco
e Frisinga; Laurent Monsengwo Pasinya, arcivescovo
di Kinshasa; il cappuccino Patrick O’Malley, arcivescovo
di Boston; George Pell, arcivescovo di Sidney. Nelle parole
del Pontefice riecheggiano le parole di Cristo a Francesco
«va’ e ripara la mia casa». Ad attenderlo l’intera comunità
di San Damiano. Il luogo suggestivo è reso ancora più
toccante dai canti dei frati che accolgono l’arrivo del Pontefice
«venuto dalla fine del mondo». Dopo i saluti pieni
d’affetto è già ora della prossima tappa, e il Papa lascia i
frati con un invito: «Avete sposato la povertà, restatele fedeli,
non la tradite».
Grandissima era stata l’attesa per questa tappa: siamo al
Vescovado, nella Sala della Spoliazione, tanti i rumors tra i
media. Tutti si aspettavano un gesto o un discorso eclatante,
ma è lo stesso Papa a smentire le previsioni: «In questi
giorni, sui giornali, sui mezzi di comunicazione, si facevano
fantasie» dice il Papa, ma il suo discorso sarà solo fermo
e conciso, senza frasi o gesti eccessivi. «La Chiesa – tutti
noi – deve spogliarsi della mondanità, che porta alla vanità,
all’orgoglio, che è l’idolatria.» Con questo monito lascia
quindi la sala pregna di significati chiedendo: «Pregate
per me, ne ho bisogno… tutti! Grazie!».
Nella chiesa di Santa Maria Maggiore c’è frate Mauro
Jöhri, Ministro generale dei Cappuccini; insieme a lui, i religiosi
che svolgono il servizio pastorale e che il Papa saluta
a uno a uno, come anche la famiglia con una bambina
disabile.
Inizia quindi il trasferimento alla Basilica superiore. La
piazza del Comune di Assisi e gli spazi antistanti il complesso
basilicale sono stracolmi di gente, a ogni angolo è
un grido: «Papa Francesco! Papa Francesco!». Alle 10.13,
sul prato della Basilica, è un bagno di folla: ci sono quasi
settemila persone. Anche qui «l’angelo custode» del Papa,
il capo della Gendarmeria vaticana Domenico Giani, gli
porge i bambini che egli saluta gioiosamente.
Entra in Basilica superiore un minuto dopo. Lo accolgono
all’entrata il presidente del Consiglio dei ministri, Enrico
Letta, e il Legato pontificio della Basilica, il cardinal Attilio
Nicora, mentre all’interno della Basilica lo accoglie il
Ministro generale dell’Ordine francescano dei Frati minori
conventuali, Marco Tasca, e il Custode del Sacro Convento.
Lo accompagnano all’interno e per papa Bergoglio è un
vero e proprio colpo d’occhio: il primo film a colori su san
Francesco lo avvolge, è la vita del Santo affrescata da Giotto.
Si sofferma in particolare sull’affresco rappresentante il
sogno di Innocenzo III, che racconta quando quest’ultimo
sognò l’incontro con il Poverello d’Assisi; passando sotto
le vele chiede informazioni sulla volta caduta durante il
terremoto del 1997, ricordando di aver «avuto modo di vedere
le terribili immagini sulla tv in Argentina». È il momento
quindi degli attesi saluti ai frati conventuali, siamo
una novantina perché con noi ci sono anche i membri del
Definitorio generale.
Pian piano, alzandosi la tonaca con incedere calmo, scende
le scale che portano nel chiostro dove saluta degli amici
ammalati insieme ad alcuni benefattori: sono lì ad attenderlo
profondamente commossi, tanto da non saper trattenere
le lacrime, come la famiglia Metelli.
Ora, attraversando la Basilica inferiore, monsignor Sapienza
si avvicina a me e mi dice: «Padre Enzo, saluterà
la redazione della rivista alla fine della visita alla tomba,
tu fa’ preparare i ragazzi»; ancora con passo sicuro scende
alla tomba del Santo. La Rai sta trasmettendo una diretta,
sono in oltre due milioni a seguirla. Alle 10.29 scende nella
cripta, è il momento più atteso; Aldo Cazzullo scriverà
sul «Corriere della Sera»: «È grave, concentrato, commosso
»; ad attenderlo ci sono i Ministri generali delle famiglie
francescane. Il nostro Custode ha voluto che ci fosse anche
padre Fabrizio Migliasso, Custode della Basilica di Santa
Maria degli Angeli.
Sale i due gradini che lo dividono dall’altare e depone
due rose gialle e una bianca, i colori della bandiera vaticana.
Aggiunge poi una scatola in legno contenente un calice
e una patena, i suoi doni personali: da Francesco a Francesco.
Gli viene poi portato il biglietto autografo del Santo con
la benedizione a frate Leone, conservato nel reliquiario posto
sull’altare. Il Papa scende i gradini aiutandosi con la
mano destra posata sulla gamba, solleva leggermente il
«saio bianco», si inginocchia, china il capo e prega. Dagli occhi
sgorgano quelle lacrime che faranno il giro del mondo.
Accompagna il momento la Toccata di Frescobaldi suonata
sul piccolo organo della cripta da Fabio Framba. Poi si in trattiene a parlare e mentre riceve i doni ci dice: «Non ero
mai stato qui, sulla tomba di Francesco».
Il momento è storico: fino a oggi solo Gregorio IX nel
1235 e Giovanni XXIII nel 1962 erano stati presenti il 4 ottobre
nella città serafica, ma adesso è la prima volta dal
1939 – anno della proclamazione di san Francesco Patrono
d’Italia – che un Pontefice presiede la celebrazione eucaristica
con l’accensione della lampada votiva. Quest’anno,
poi, per una felice coincidenza, tocca all’Umbria donare
l’olio. Per l’occasione il direttore della cappella musicale
della nostra Basilica, padre Giuseppe Magrino, ha composto
la messa dal titolo A te, o Francesco.
È anche la prima volta che un Papa saluta tutte le famiglie
francescane al completo. Il Ministro generale, infatti,
gli fa notare che ci sono anche i Ministri generali dei frati
Cappuccini, dei Minori, del Tor e dell’Ofs: «Siamo tutti
qui insieme» dice, e papa Francesco: «Bravi, dovete rimanere
uniti».
È un evento che è già storia e nessuno potrà cancellarlo.
Si avvicinano a questo punto i confratelli che non l’hanno
salutato nella Basilica superiore; erano nella cripta fin dalle
cinque del mattino, perché fosse tutto pronto per questo
momento: frate Giambattista Moriconi, frate Ignazio Lai e
frate Kaniyaparambil Shaji lo salutano, poi si avvicina padre
Vladimiro Penev, che è il nostro decano, qui dal 1938.
Bergoglio gli chiede: «Davvero lei è bulgaro?», mentre
il nostro fratello gli spiega che ha dipinto per lui una copia
della croce del Maestro dei crocifissi blu, con dedica
e data. Bergoglio nota il colore insolito, è quel blu simbolo
del cielo di Dio, e sfiora con la mano l’immagine di san
Francesco ai piedi della croce. È felice di ricevere la copia
della Regola di san Francesco, mentre fra Battista gli ricorda
che il 4 ottobre 1962 fu lui ad accogliere di sera Giovanni
XXIII. Frate Ignazio sembra sintetizzare il nostro pensiero
(«Lei è una benedizione per l’umanità»), mentre papa
Francesco lo abbraccia calorosamente.
Il Papa risale le scale della cripta, ad attenderlo la redazione
della rivista «San Francesco Patrono d’Italia». Non
poteva avvenire in un momento migliore: dopo l’incontro
con Francesco, l’incontro con la nostra redazione. Alessio
gli presenta la raccolta di lettere, messaggi, twitter giunti
alla redazione per lui. Papa Francesco nota quella di Danilo,
un ragazzo tetraplegico che collabora con noi.
Intanto i pellegrini sulla piazza attendono per l’inizio
della celebrazione eucaristica e io mi reco con il cuore
colmo di gioia a commentare la diretta televisiva nella
postazione di RaiUno, insieme al direttore di «Avvenire
», Marco Tarquinio. Attesissima è l’omelia della santa
messa che si svolge nella piazza antistante la Basilica
inferiore; arriva una conferma dei tre temi che hanno
caratterizzato la scelta del nome Francesco: pace, povertà
e custodia del Creato, come aveva avuto modo di annunciare
nella sua prima conferenza stampa. «La pace
francescana non è un sentimento sdolcinato. Per favore:
questo san Francesco non esiste! E neppure è una specie
di armonia panteistica con le energie del cosmo… Anche
questo non è francescano, ma è un’idea che alcuni hanno
costruito! La pace di san Francesco è quella di Cristo, e
la trova chi prende su di sé il suo giogo, cioè il suo comandamento:
“Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato”.
» Il Pontefice guarda di sfuggita l’orologio: per molti
è l’«ora del cambiamento».
Ci lascia con una preghiera, ed è la benedizione all’Italia:
«Ti prego dunque, o Signore Gesù Cristo, Padre delle
misericordie, di non voler guardare alla nostra ingratitudine,
ma di ricordarti sempre della sovrabbondante
pietà che in questa città hai mostrato, affinché sia sempre
il luogo e la dimora di quelli che veramente ti conoscono
e glorificano il tuo nome benedetto e gloriosissimo nei secoli
dei secoli. Amen».
Al termine della celebrazione i saluti di monsignor Gualtiero
Bassetti, della presidente della Regione Umbria Catiuscia
Marini e l’accensione della lampada del sindaco di
Perugia Wladimiro Boccali a nome dei Comuni; accanto a
lui il sindaco di Assisi Claudio Ricci. Al termine l’applauso
si fa fragoroso, intenso, prolungato.
Mentre il Papa ritorna in sacrestia si notano i colori dei
gonfaloni, che a mo’ di picchetto d’onore gli rendono omaggio.
Prima di uscire dalla Basilica è gioioso, saluta le nostre
cuoche, le guardie e i duecento sacerdoti che avevano
concelebrato. Prima di andarsene, però, chiede alle cuoche
cosa abbiano preparato di buono e loro rispondono commosse:
«Insalata russa, ravioli e arrosto». «Brave» risponde.
«Io vado a mangiare con i poveri alla Caritas» e poi scherza:
«Quindi voi siete le cuoche del convento? Ma ancora
non li avete avvelenati questi frati?» e se ne va sorridendo.
Dopo aver salutato il Custode e il premier Letta, il Papa
lascia la Basilica per dirigersi alla Caritas, dove ad attenderlo
ci sono cinquantasette poveri. È un bambino vivacissimo
ad accoglierlo, che inaspettatamente lo prende per
mano e gli dice sicuro: «Vieni con me, ti accompagno io!».
Tra i sorrisi suscitati dal piacevole imprevisto, è padre Vittorio
Viola, responsabile della Caritas assisana e umbra, a
fare gli onori di casa. Al Sacro Convento sono rimasti centotré
poveri, insieme con il presidente del Senato Pietro
Grasso, il premier Enrico Letta, gli otto cardinali a seguito
del Pontefice, i vescovi e i novantotto sindaci dei Comuni
umbri, mentre Bagnasco è ripartito. Non mancano alcuni
amici e benefattori della comunità, per un totale di quattrocentoventidue
persone.
Intanto papa Francesco, dopo la Caritas, prosegue con la
visita alle carceri, dove lascia la papamobile e prende una
Panda blu, che arriva fino alle porte del convento. Non
senza qualche piccola difficoltà – dato il percorso impervio
– si reca nella cella di san Francesco, per raccogliersi in
preghiera nel luogo che fu di rifugio e di meditazione del
Poverello e dei suoi compagni.
Ci spostiamo quindi alla Cattedrale di San Rufino. Nel
sagrato è stato steso un tappeto di 120 metri quadri di fiori,
merito dei tradizionali infioratori di Spello e Cannara. Qui
il Papa incontra non solo il clero, ma anche i membri dei
Consigli pastorali della diocesi e le persone di vita consa crata. Nel tragitto viene intercettato dalla troupe di «Ballarò
» e risponde senza esitazioni alla domanda del giornalista:
«Santità, c’è speranza per l’Italia?»: «Sempre c’è speranza,
perché il Signore ci dà speranza, il Signore ci dà la forza di
andare avanti». «Cosa dobbiamo fare per avere speranza?»
prosegue l’inviato della trasmissione di RaiTre. «Cercatela
voi, che il Signore vi ispirerà» risponde con il pollice alzato
in un «okay», proseguendo poi verso la Cattedrale. Qui,
rivolto alla comunità dei fedeli, dice: «Adesso, compiti a
casa! Mamma, papà, ditemi: quando sono stato battezzato?
È importante, perché è il giorno della nascita come figlio
di Dio». Poi, rivolgendosi ai religiosi, li invita a essere
vicini al loro popolo: «Io penso a questi parroci che conoscevano
il nome delle persone della parrocchia, che andavano
a trovarli; anche come uno mi diceva: Io conosco il nome
del cane di ogni famiglia, anche il nome del cane conoscevano!
Che bello che era! Che cosa c’è di più bello?». Ma si rivolge
anche ai fedeli che sono sposati, con un aneddoto: «Io
dico sempre: “Litigate quanto volete. Se volano i piatti, lasciateli.
Ma mai finite la giornata senza fare la pace! Mai!”».
Terminato l’incontro alla Cattedrale, è la volta della visita
alla Basilica di Santa Chiara di Assisi, dove lo aspettano
le Clarisse. Il primo passo è la venerazione del corpo della
Santa nella cripta, poi della preghiera davanti al crocifisso
di San Damiano. Il momento di raccoglimento lascia
poi spazio al saluto alle monache di clausura, in cui Francesco
ci regala qualche altro momento di «leggerezza» dicendo
alle sorelle: «A me dispiace quando trovo suore che
non sono gioiose, che forse sorridono col sorriso di un’assistente
di volo, ma non con il sorriso della gioia che viene
da dentro»; poi, ancora, invita le sorelle a essere umane,
scherzando su Teresa d’Ávila – «perché la suora, come la
Chiesa, è sulla strada di essere esperta in umanità. E questa
è la vostra strada: non troppo spirituale! ... io penso alla
fondatrice dei monasteri della vostra concorrenza, santa Teresa,
per esempio». Le parole alle sorelle sono gioiose, forse
anche in previsione del bel momento che lo attende tra
poco: l’incontro con i giovani a Santa Maria degli Angeli.
Nella piazza della Basilica di Santa Maria sono dodicimila
i giovani che lo attendono. È ancora un bagno di folla,
si ferma continuamente a salutare ragazzi e gruppi. I pellegrini
sono più di trentamila. Tra questi rimane impressa
la tenerezza verso il gruppo di ragazzi down e invalidi
che lo attendevano lì. La piazza è gremita, Bergoglio sale
sul palco, ad aspettarlo un gruppo di giovani che espone
al Santo Padre domande e dubbi. È lo stesso Bergoglio a
sottolineare che non andrà a braccio, ma è comunque uno
dei momenti di maggiore spontaneità. La genuinità che
ha caratterizzato l’incontro a Santa Chiara si fa più decisa,
ma anche piena di significato. Invita i giovani a non essere
egoisti e a non aderire alla cultura del provvisorio («una
volta ho sentito un seminarista: “Io voglio diventare prete
per dieci anni, poi ci ripenso”»). Rivolgendosi alle coppie,
le ammonisce quando affermano: «Ah, noi ci amiamo
tanto ma rimarremo insieme finché dura l’amore». Poi l’invito
a prendersi le proprie responsabilità: racconta di una
mamma che si stava lamentando del proprio figlio che a
trent’anni non si decideva a sposarsi; il suo consiglio fu:
«Ma signora, non gli stiri più le camicie! È così! Non abbiate
paura di fare passi definitivi, come quello del matrimonio:
approfondite il vostro amore, rispettandone i tempi
e le espressioni, pregate, preparatevi bene ma poi abbiate
fiducia che il Signore non vi lascia soli!». Nel registro delle
presenze, dopo aver salutato la comunità religiosa, lascerà
queste parole: «Cari Fratelli. Per favore, custodite la
minorità. Pregate per me».
La giornata sta giungendo al termine e il Pontefice prende
la strada per l’ultima delle dodici tappe. In auto raggiunge
il santuario di Rivotorto. Migliaia i pellegrini in
attesa. Qui è accolto dal Padre guardiano Gianmarco Arrigoni
e dall’intera comunità. Insieme a loro, due bambini
con delle colombe bianche che papa Francesco libera nel
cielo. Dopo una breve visita della chiesa e una preghiera
all’altare si reca nel Tugurio. All’uscita, fra Guglielmo Spirito
– di origine argentina, che il Papa aveva salutato esclamando
«Con lui ci conosciamo!» – in un caratteristico gesto
di ospitalità gli offre il mate: la bevanda che i gesuiti presero
dagli indios guaraní. Ma si avvicina il momento della
partenza, le auto si muovono verso il campo sportivo di
Rivotorto, dove il Pontefice prenderà il volo per il ritorno.
L’indelebile
Una giornata dove i tre cardini del francescanesimo sottolineati
da papa Francesco hanno accompagnato l’intera
visita: il Creato da custodire, la Povertà da condividere e
la Pace da sostenere.
Cerco di far sintesi di questa giornata per raccontarla
domani mattina con la nostra rubrica Tg1 Dialogo che per
la prima volta andrà in diretta e durerà venti minuti invece
di sette.
È ormai completamente notte, e in questo momento di
attesa e di stanchezza, penso che due sono le immagini che
rimarranno impresse, indelebili nelle nostre menti: quelle
lacrime sulla tomba del Poverello d’Assisi e l’accensione
della lampada votiva, simbolo di pace.
Mentre sto consegnando queste pagine alle stampe, viene
fuori la notizia della preghiera rivolta da papa Francesco
sulla tomba del Santo di Assisi, grazie alla domanda rivolta
al Pontefice da una donna di una parrocchia romana.
«Ho chiesto il dono della semplicità per me e per tutta
la Chiesa» ha risposto il Papa. E pensare che proprio Francesco
d’Assisi amava definirsi «uomo semplice».
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