Il nobel e Francesco. Dialogo a distanza tra Mons. Galantino e Dario Fo
“Caro Maestro”: così si rivolge mons. Nunzio Galantino a Dario Fo, autore, assieme a Giuseppina Manin, del volume “Dario e Dio”, che sarà presentato il 17 marzo al Piccolo Teatro di Milano. Il segretario generale Cei ha inaugurato domenica sul “Sole 24 Ore” una rubrica settimanale denominata “Abitare le parole”. L’intenzione del vescovo è di “costruire un piccolo dizionario partendo da parole che penso interessino l’uomo, ogni uomo e ogni donna di buona volontà. Una sorta di vocabolario di antropologia che descrive la relazione fra l’Io e il mondo, che si apre agli altri e alla società fino a incontrare l’Altro”. Galantino parte dalla parola “più complessa di tutte: Dio”. Dio, scrive, “è una parola paradosso. Per alcuni c’è solo il termine e non c’è il soggetto corrispondente, per altri c’è il soggetto corrispondente ma non va nominato e secondo altri ancora il Dio di Mosè non tollerava di essere rappresentato, per cui si poneva anche il problema della non–visibilità di questo termine”. Lo spunto dell’articolo è dunque suggerito dalla riflessione del premio Nobel. “Tu rispondi a una domanda sull’esistenza di Dio e dici: non c’è. Non esiste. Non ci credo… Però… Secondo te Dio è un gran falsario che si è inventato da sé, un genio della Storia, perché ha saputo creare la sua immagine. Un abile croupier. La tua antireligiosità m’è parsa molto religiosa e il tuo libro mi è piaciuto per questo, oltre che per il tono semiserio”.
“Caro Maestro, parli di Dio e di Gesù e dello Spirito Santo come di tre persone dal carattere molto diverso, perché a Dio non basta mai l’amore degli altri, mentre Gesù fonda il suo sentimento sull’amore da dare e non da ricevere. È un bel testo teatrale il tuo e ho sorriso parecchio, né credo che Dio si sia offeso sentendosi dire che è un egocentrico a differenza di Gesù!”. Galantino aggiunge: “Noi uomini abbiamo bisogno di trascendenza e per noi cristiani l’essenza dell’esistenza umana si trova nell’uscire da noi, nell’andare e nel sentirci proiettati oltre. Quello che qualcuno chiama ‘autotrascendimento’ non ci porta solo verso Dio, vuol dire anche offrire pienamente noi stessi all’altro, alla persona amata, al nostro lavoro”.
Il dialogo a distanza Galantino-Fo prosegue: “C’è un passo del tuo libro che condivido totalmente. Dici: Alla fine credo che sia proprio questo che i farisei, i sacerdoti e i sedicenti giusti non gli abbiano perdonato. La ’colpa’ somma che l’ha condotto sulla croce è stata quella di aver portato il vessillo dell’agape, in greco l’amore. Non l’amore sdolcinato, di maniera, o quello riservato all’ambito familiare. Gesù chiede, pretende, l’amore difficile, illogico, paradossale. Per il nemico, il diverso, l’estraneo, l’infetto. Per le donne svergognate, gli schiavi, i lebbrosi, i pazzi. Non uccidere. Non giudicare. Porgi l’altra guancia. Sono parole eversive in un mondo basato sul conflitto e l’odio. Una innovazione inaccettabile per il potere, che in quel messaggio vede un’autentica minaccia. Parlando d’amore Gesù si scava la fossa. La sua condanna a morte nasce da lì”. Segue un ampio passaggio su Papa Francesco. E infine: “Ho letto davvero di gusto il tuo libro, caro Maestro! In ciò che condivido e in quello che non comprendo, nella convinzione che abbiamo tutti i nostri ruoli, come a teatro: un nobile, impegnativo e affascinante teatro! Perché – come dici tu – anche il cattivo si prende la sua croce e spesso non è neanche così cattivo”. (Agensir)
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