Auguri, Forza venite Gente!
Torna in scena il musical sulla vita di san Francesco.
Forza Venite Gente è già entrato nella storia dei musical, un successo orgogliosamente tutto italiano. Lo spettacolo che racconta la vita di san Francesco è stato messo in scena per la prima volta nel 1981 al Teatro Unione di Viterbo. In questi 40 anni ha attraversato in lungo e in largo la nostra Penisola, rappresentato in centinaia di teatri, piazze e stadi: ha avuto l’onore di essere rappresentato alla presenza di papa Giovanni Paolo II allo stadio Appiani di Padova nel 1982 e sul sagrato della Basilica superiore di Assisi nel 1991. Un successo che si basa sul messaggio universale di Francesco d’Assisi e anche sulla forza travolgente delle coreografie e delle canzoni che entusiasma il pubblico di tutte le età. Per il quarantennale si è deciso di mettere mano ad un nuovo allestimento dello spettacolo, fedele per contenuti e musiche all’originale, ma ci sono anche alcune novità come ci raccontano il regista Ariele Vincenti e Stefano Di Lauro che interpreta il ruolo di Francesco.
Ariele Vincenti, regista del musical, quando ti sei avvicinato alla figura di Francesco d’Assisi?
Una decina di anni fa andai a Greccio perché sapevo che lì era stato realizzato il primo presepio. Da allora la figura di Francesco mi ha sempre incuriosito e sono rimasto affascinato dalla sua vita. Ero stato anche ad Assisi a vedere gli affreschi di Giotto, ma non avevo mai avuto occasione di approfondire la sua figura a livello umano e spirituale. Quando mi hanno proposto di fare questo spettacolo, ho sentito subito una grandissima responsabilità: verso il musical che ha 40 anni di successi con milioni di spettatori e repliche. Ma anche di raccontare la vita di Francesco. Quando preparo uno spettacolo studio molto per essere sincero con gli spettatori. Ho così subito cominciato a leggere gli scritti di san Francesco e a studiare le sue biografie. Ho capito che nel musical quello che ancora mancava era un approfondimento sulla sua figura.
Quali sono le parti che hai migliorato?
Sono partito dal presupposto che tutti conosciamo Francesco, ma forse in maniera un po’ superficiale. La vera scommessa per me è farlo conoscere a tutti coloro che ne sanno poco o niente. Ho aggiunto allo spettacolo com’era la sua vita prima della conversione: pochi sanno che Francesco è andato in guerra, è stato in galera e che la sua vita era “sfaccendata”. Poi ho lavorato molto su alcuni personaggi.
Quali in particolare?
Mi sono soffermato innanzitutto sul ruolo del padre, perché secondo me la relazione tra Pietro di Bernardone e Francesco è una storia sempre attuale. Troppo spesso la figura di Pietro è descritta in maniera un po’ macchiettistica, con i suoi difetti, la sua ignoranza, i suoi modi burberi. Ma non dimentichiamoci che è pur sempre un padre che non viene più riconosciuto dal figlio. Molti padri che non hanno un rapporto idilliaco con i figli si possono rispecchiare. Nella rivisitazione teatrale Pietro di Bernardone non parla al pubblico come nella precedente versione. Ho preferito metterlo in dialogo con il popolo, con i frati e con Francesco. Questo aiuta lo spettatore ad entrare in sintonia con i messaggi che abbiamo voluto dare.
Quali altri personaggi hai rinnovato?
La figura del lupo. Ho preferito umanizzarlo un po’ di più. Nella precedente versione era ridotto quasi a un fumetto, mentre adesso il lupo è vestito come un ragazzetto di borgata con un bench nero e ha una cinta in mano. Volevo rappresentare tutti quei ragazzi di certe periferie che purtroppo, non solo per colpa loro, prendono una strada sbagliata. L’incontro con Francesco lo redime. Ho interpretato diversamente anche la figura del diavolo, scegliendo un attore molto robusto – pesa 130kg! – perché volevo rappresentare l’eccesso del mondo occidentale, in contrasto con la figura di Francesco che punta all’essenziale. Il diavolo riesce ad essere un simpaticone, ma lo fa con un sorriso finto, ed è molto più pericoloso perché non riconosci che ti sta ingannando.
Hai integrato il musical con parti che fanno maggiormente riflettere…
Nel riscrivere i dialoghi e i monologhi non siamo partiti dall’idea di fare una comicità spicciola, anche se di battute che fanno ridere ce ne sono tantissime. Prendi la figura della cenciosa: strappa molti applausi a scena aperta, però abbiamo pensato a lei come ad una delle tante persone che vivono per strada, ai barboni che tante volte sono meglio di noi e devono avere qualcosa in più perché sanno sopravvivere in quella condizioni. La cenciosa potrebbe essere una di quei poveri che si rivolgono alle nostre Caritas: hanno una storia che dobbiamo rispettare e hanno molto da dire. Sappiamo che Francesco amava i poveri, andava da loro solo per aiutarli, ma perché trovava in essi una umanità e una sensibilità che chi possiede tante cose non ha.
Ti senti cambiato da questo incontro più da vicino con Francesco d’Assisi?
Moltissimo. Mi sono sempre rispecchiato nei suoi valori, nella semplicità e nell'aiutare il prossimo, nell’amore per la natura e nell’umiltà, nella fratellanza universale. Credo però che questi messaggi ricevuti dai grandi personaggi li si debba mettere in pratica nelle piccole scelte quotidiane. A volte basterebbe cominciare la giornata con un sorriso o salutando le persone con un buongiorno.
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