Pesach, la festa che libera dalla schiavitù
Per essere liberi bisogna capire cosa vuol dire essere schiavi
Con la festa di Pesach gli ebrei ricordano l' uscita dall' Egitto, la fabbrica della schiavitù, dove erano stati per più secoli. Questo periodo storico culmina con Pesach (il passaggio), nel momento in cui sentono di essere diventati un popolo particolare, protagonista di una libertà universale. Emmanuel Lévinas ha espresso chiaramente questa idea: «il particolarismo di Israele è la chiave del suo universalismo etico e religioso». Un singolo popolo che, in ogni generazione, sceglie faticosamente di rimanere se stesso, afferma una possibilità aperta, per il diritto di ogni popolo di rimanere se stesso, in assoluta parità con ogni altra cultura e religione. Nel racconto biblico, Abramo (padre di tutte le nazioni) inizia il suo percorso ricevendo una promessa: «tu dovrai essere la benedizione per tutte le famiglie della terra».
Torniamo all' uscita dall' Egitto ed alla sua problematica sostanziale. Durante 400 anni gli ebrei sono rimasti in Egitto, prima come stranieri (comunque inquadrati), in seguito come doppiamente schiavi (schiavi in una società di schiavi) ed infine brutalizzati e nullificati, perché privati di ogni identità umana. Nei secoli, i Maestri hanno definito questa caduta progressiva ed inesorabile: «l' esilio della consapevolezza e del mettersi in relazione ». In questa prospettiva, l' entrata e la permanenza in Egitto risultano molto più problematiche e determinanti dell' uscita dall' Egitto.
La domanda segreta della festa di Pesach è: «benissimo, siamo contenti di essere usciti dall' Egitto, ma dovevamo proprio entrarci?». Infatti la traccia che il racconto biblico costruisce con evidenza, sottintende proprio questo problema: perché per acquisire una coscienza umana ed una identità compiuta, bisogna vivere la consapevolezza della schiavitù? Questo discorso è ben strutturato nella logica del racconto biblico, e costituisce la lettura esistenziale di gran parte del libro di Bereshith ( Genesi). Il patto fondativo che investe Abramo come primo patriarca del popolo ebraico, stabilisce che un lungo periodo di esilio-schiavitù, è una condizione necessaria ed assoluta, una vera predestinazione, per la nascita del popolo ebraico. Questa scelta è tanto incredibile che Abramo nell' accettare questo patto doloroso e spezzante, precipita in una dimensione di terrore ed ha la visione più numinosa della sua vita. Cerchiamo di approfondire il punto. L' esperienza profonda ed obbligata della schiavitù corrisponde al dover sentire, per sempre dentro la propria anima cosa significhi essere privato della propria volontà e persino della capacità di mantenere una propria intenzionalità umana.
È un paradosso etico, pesante ma comprensibile: per essere liberi bisogna capire cosa vuol dire essere schiavi; naturalmente esserlo in prima persona ma ugualmente diventarlo, nel rischio di asservire altre persone. Sempre nel testo biblico esiste un piccolo mistero linguistico, che è stato oggetto diverse discussioni talmudiche: la festa Pesach dura 7-8 giorni. Il primo giorno di Pesach viene curiosamente chiamato anche Sabato, per quanto possa capitare anche negli altri giorni della settimana. Da notare che l' assoluta astensione dal lavoro prevista per il Sabato ebraico, è anch' essa motivata con il ricordo dell' uscita dall' Egitto «affinché il tuo schiavo e la tua serva possano riposare proprio come te». È abbastanza utile sviluppare questo ragionamento con un' ultima aggiunta. L' attività lavorativa che il Sabato ebraico delimita, non è soltanto il lavoro da soma, pesante e faticoso ma, più esattamente, individua il lavoro progettuale, intenzionale e creativo; cioè il lavoro che costruisce il libero pensiero umano. In sintesi, sembra che gli ebrei festeggino l' uscita dall' Egitto una volta l' anno, a Pesach. Con maggiore insistenza, gli ebrei ricordano l' entrata e la permanenza in Egitto ogni settimana, per una intera giornata. Astenendosi il Sabato da ogni attività lavorativa gli ebrei ricordano che nessun essere umano può essere o diventare schiavo di un altro essere umano. (Repubblica)
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