religione

Papa Francesco in Iraq: 'Tacciano le armi'

Andrea Gagliarducci Andrew Medichini - Epa
Pubblicato il 05-03-2021

Francesco chiede di lavorare per la solidarietà fraterna

Arrivato in un Iraq scosso dagli attacchi terroristici – e però almeno un gruppo sciita ha dichiarato che le operazioni saranno sospese durante il viaggio – e ancora in via di ricostruzione dopo anni di guerre intestine culminate con l’invasione dell’ISIS, Papa Francesco pronuncia il primo discorso del suo viaggio in Iraq a diplomatici e autorità civili, e chiede a tutti loro di costruire un Paese unito, nel nome della fraternità e della solidarietà. E fa un appello: “Tacciano le armi! Cessino gli interessi di parte! Si dia voce ai costruttori della pace!”. Il viaggio in Iraq è il primo viaggio papale del tempo della pandemia. Un viaggio che il Papa ha voluto fortemente, e che ha luogo nonostante i nuovi picchi di COVID 19 che hanno portato il governo di Baghdad a estendere il coprifuoco e bloccare i movimenti intraregionali, e nonostante il fatto che il Papa arrivi in un Paese ancora scosso dai moti sociali che erano iniziati prima della pandemia, e che sono sfociati persino in operazioni militari interne. Più volte, il Papa ha lanciato appelli per il Paese. Più volte si è pensato che la situazione fosse troppo difficile per un viaggio del Papa.

Non era solo la Chiesa locale a volere il viaggio del Papa, però, ma anche il governo. Perché, dopo lo tsunami dell’ISIS, i cristiani tendono a non tornare nei luoghi della memoria che hanno dovuto lasciare, non hanno fiducia nel vicino musulmano che spesso li ha denunciati ai miliziani come “nazareni” dopo anni di convivenza pacifica. Ma dei cristiani c’è bisogno, per portare linfa vitale ad una società stanca di un conflitto che è iniziato nel 2003 e che poi è continuato sempre, con vari padroni ma sempre con lo stesso risultato: l’esasperazione della popolazione. Papa Francesco lo sottolinea nel discorso, avvenuto dopo un incontro privato con il presidente Barham Salih. Papa Francesco ricorda che “negli scorsi decenni, l’Iraq ha patito i disastri delle guerre, il flagello del terrorismo e conflitti settari spesso basati su un fondamentalismo che non può accettare la pacifica coesistenza di vari gruppi etnici e religiosi, di idee e culture diverse”, e questo ha portato “morte, distruzione, macerie tuttora visibili, e non solo a livello materiale”, ma anche nei cuori di tante persone, “comunità che avranno bisogno di anni per guarire”, come gli yazidi.

Papa Francesco sottolinea: “Solo se riusciamo a guardarci tra noi, con le nostre differenze, come membri della stessa famiglia umana, possiamo avviare un effettivo processo di ricostruzione e lasciare alle future generazioni un mondo migliore, più giusto e più umano”. Il Papa mette in luce che “la coesistenza fraterna ha bisogno del dialogo paziente e sincero, tutelato dalla giustizia e dal rispetto del diritto”, compito che “richiede impegno da parte di tutti per superare rivalità e odio, parlarsi e partire dall’identità più profonda che abbiamo, quella di figli dell’unico Dio Creatore”. La Santa Sede chiede alle autorità di Iraq di concedere “a tutte le comunità riconoscimento, rispetto e protezione”, sottolinea Papa Francesco. E aggiunge: “Una società che porta l’impronta dell’unità fraterna è una società i cui membri vivono tra loro in solidarietà”.

È la solidarietà, dice il Papa, che porta a compiere “gesti concreti”, perché “dopo una crisi, non basta ricostruire, bisogna farlo bene, in modo che tutti possano avere una vita dignitosa”. Papa Francesco invita politici e diplomatici a “promuovere questo spirito di solidarietà fraterna”, contrastando “la piaga della corruzione, gli abusi di potere e l’illegalità” e facendo giustizia in modo da far “crescere l’onestà, la trasparenza” e di “rafforzare le istituzioni incaricate di regolamentare le varie esigenze e provvedere all’ordine e alla pubblica sicurezza”, in modo da far “crescere la stabilità” e far sviluppare “una politica sana, capace di offrire a tutti, specialmente ai giovani, la speranza di un avvenire migliore”.

Papa Francesco sottolinea di essere nel paese “come penitente che chiede perdono al Cielo e ai Fratelli per tante distruzioni e crudeltà”, come pellegrino di quella pace che è stata tanto pregata, anche da San Giovanni Paolo II. Esorta Papa Francesco: “Tacciano le armi! Se ne limiti la distribuzione, qui ed ovunque! Cessino gli interessi di parte! Si dia voce ai costruttori, agli artigiani della pace! Ai piccoli, ai poveri, alla gente semplice, che vuole vivere, lavorare e pregare in pace. Basta violenze, basta estremismi, fazioni, intolleranze!”. Papa Francesco chiede ulteriormente di dare spazio “a chi si impegna per la riconciliazione, per il bene comune, ed è disposto a mettere da parte i propri interessi”. E sottolinea che per formare una società democratica “è indispensabile in tal senso assicurare la partecipazione di tutti i gruppi politici, sociali e religiosi e garantire i diritti fondamentali di tutti i cittadini”.

Ma per fare questo c’è bisogno anche dell’impegno della comunità internazionale, e non solo in Iraq, ma in tutto il Medio Oriente, per raggiungere una pace duratura anche nella vicina Siria e nelle varie tensioni regionali. Il Papa riconosce comunque il lavoro delle organizzazioni internazionali, che si stanno adoperando” per la ricostruzione, nonché gli Stati impegnati in Iraq, che auspica “non ritirino dal popolo iracheno la mano tesa dell’amicizia e dell’impegno costruttivo”. Ma, allo stesso tempo, sottolinea il lavoro delle organizzazioni religiose, e in particolare di quelle della Chiesa cattolica. “Anche in Iraq – afferma Papa Francesco – la Chiesa Cattolica desidera essere amica di tutti, e attraverso il dialogo collaborare, in spirito di rispetto nei riguardi delle altre religioni, per la causa della pace”, perché “l’antichissima presenza dei cristiani in questa terra e il loro contributo alla vita del Paese costituiscono una ricca eredità, che vuole poter continuare al servizio di tutti”. E chiede per i cristiani di poter partecipare “alla vita pubblica, da cittadini che godano pienamente di diritti, libertà e responsabilità”.

Accogliendo il Papa, il presidente Barham Salih ha ricordato che “malgrado le tempeste di violenza, di tirannia e di totalitarismo che hanno travolto il nostro Paese nelle fasi della nostra storia, gli iracheni sono fieri di aver vissuto, per molti secoli, in città ricche di grande varietà di appartenenze, dove vivono vicini in città o quartieri, musulmani, cristiani, ebrei, sabei e yazidi, fratelli gli uni degli altri”. Il presidente ha ricordato che “le chiese sono nelle immediate vicinanze delle moschee e delle hussainiyat [luoghi di preghiera], e il suono della campana si mescola con la chiamata alla preghiera nel cielo dell’Iraq”. Salih ha anche sottolineato che “gli iracheni sono fieri egualmente di essere i protettori delle chiese. Dopo l’attacco dei terroristi alla chiesa di Nostra Signora della Salvezza, i giovani musulmani si sono alzati fianco a fianco con i giovani cristiani, loro fratelli. Come se il musulmano iracheno, con questo gesto, fosse cosciente che la sua responsabilità patriottica e umanitaria gli imponesse di difendere la chiesa nello stesso modo in cui difenderebbe la sua casa e i suoi luoghi sacri”.

Il presidente, dopo aver parlato dei conflitti e del terrorismo che ha colpito l’Iraq, ha parlato anche del “sale” della terra di Iraq, i cristiani, i quali “sono stati fianco a fianco con i loro fratelli di tutte le confessioni per affrontare le varie sfide, e il loro contributo storico, di civiltà e di lotta, è stato molto influente e radicato, e si sono fusi nella costruzione delle nostre società e nel dare vita agli autentici costumi, tradizioni e valori orientali”. Il presidente ha ammesso che “i cristiani d’Oriente negli ultimi periodi hanno subito diverse crisi, che ne hanno ridotto la presenza e li hanno spinti ad emigrare. Indubbiamente, la continua migrazione di cristiani, insieme ad altre componenti religiose, etniche e nazionali, dai Paesi della regione avrà conseguenze disastrose per i valori di pluralismo e tolleranza, ma anche per la capacità di coesistenza dei popoli della stessa regione. L’Oriente non può essere immaginato senza cristiani”. Conclude il presidente: “In occasione di questa visita benedetta, mi auguro che venga portata avanti l’iniziativa per istituire la "Casa di Abramo per il dialogo religioso" e che sia istituita la conferenza o il simposio permanente per il dialogo, sotto la supervisione dei delegati del Vaticano, di Najaf, di Al-Azhar, di Zaytuna e dei principali centri religiosi che ricercano la storia comune e multiforme alla luce degli oggetti sacri e del patrimonio cuneiforme”. (Acistampa)

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