Olivuccio di Ciccarello, il pittore amato da Papa Francesco
Le sue Opere di Misericordia ci presentano gli scartati della società
"I poveri ci rammentano l’essenziale della vita cristiana. Questa povertà è necessaria perché descrive ciò che abbiamo nel cuore veramente: il bisogno di Lui. Perciò andiamo dai poveri, non perché sappiamo già che il povero è Gesù, ma per tornare a scoprire che quel povero è Gesù”. Queste parole del pontefice sembrano riecheggiare della figura del santo di Assisi. L’incontro con il Cristo, è l’incontro con il povero. Concetto quanto mai semplice, ma difficile “da attuare”. I muri che ci poniamo sono sempre alti e forti. Il timore verso l’altro - e la pandemia sta accentuando questo, purtroppo - è stato sempre così presente nella nostra vita. E l’arte, se ci pensiamo bene - per sua definizione - è, invece, un mezzo di “incontro” tra spettatore e pittore, tra oggetto del quadro e suo fruitore. In due parole, in una tela, in una tavola, troviamo non un muro, bensì un possibile specchio.
La povertà e il segno pittorico, affascinante percorso per comprendere meglio una realtà che ci è sempre dinanzi. Da tempo, infatti, la povertà è stata al centro di alcuni quadri che hanno segnato la storia dell’Arte. Fra questi, dobbiamo ricordare - in particolar modo - la serie pittorica delle Opere di Misericordia di Olivuccio di Ciccarello. L’artista non è tanto famoso al grande pubblico, eppure nelle sue forme riusciamo a trovare un vero e proprio saggio critico sulla povertà, sui diseredati, sui poveri.
La storia di Olivuccio - definito il “pittore senza opere” - è stata riscritta a partire dal riconoscimento della firma di un Crocifisso di Macerata Feltria del 1396. Olivuccio, è la figura principale della Scuola di Ancona, attiva tra XIV e XV secolo in ambito tardo-gotico. Punti di riferimento probabilmente furono le opere di Giotto, Simone Martini ed Ambrogio Lorenzetti, per giungere ad uno stile personale e inserirsi nel gotico internazionale. Fra le opere realizzate, importante ricordare le sue Opere di Misericordia. Ma cosa hanno di tanto particolare queste tempere su tavola dipinte da Olivuccio fra il 1410 e il 1420? Non certamente gli elementi stilistici, comuni ad altri dipinti del tempo. un’intuizione geniale: l’aureola connota non chi fa la carità, ma chi ne è oggetto, in ciascuno di quei poveri c’è Lui, Cristo.
I poveri, nelle sue opere, rappresentano - per citare le parole del pontefice - gli “attori principali della rappresentazione”. Olivuccio ci offre un punto di vista radicalmente evangelico - rivoluzionario per i suoi contemporanei - perché pone le aureole di santità proprio sul capo dei poveri. Ci vengono, così, in mente le parole delle Beatitudini: “[In quel tempo] vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo: "Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati quelli che sono nel pianto, perché saranno consolati. Beati i miti, perché avranno in eredità la terra. Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati”. E’ Matteo, al capitolo cinque.
Olivuccio, nelle sue Opere di Misericordia, guarda proprio a questi beati. Li pone in “proscenio” per essere quasi “contemplati” così come si contempla un Crocifisso. Le piaghe del costato sono le mani dei bisognosi, l’acqua e il sangue sono le lacrime versate dai miseri. Sono i miseri che non incontriamo solo nelle tavole del pittore marchigiano, ma nelle vie che percorriamo ogni giorno. Su queste strade, Cristo ci insegna a camminare e a volgere lo sguardo verso di loro.
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