religione

Messa Natale, Fra Marco: 'Il Vangelo si compia in noi e nel mondo'

Redazione Mauro Berti
Pubblicato il 25-12-2020

L'omelia del Custode del Sacro Convento durante la messa della notte di Natale

Cantate al Signore un canto nuovo. Sono le parole con cui inizia il salmo responsoriale che abbiamo ascoltato in questa celebrazione. Si tratta di un invito, un’esortazione, una raccomandazione.

 

Cantate al Signore un canto nuovo. Sì una raccomandazione a cantare, prima di tutto. Io spero che non esista nessuno al mondo a cui non piaccia cantare. Ci potranno essere persone stonate, persone che hanno perso la voce, persone alle quali la vita ha tolto la gioia del canto. Ma immagino che anch’esse portino in sé, magari nascosto chissà dove, questo desiderio di canto. E non necessariamente un canto ad ugole spiegate, da soprani raffinati o da eleganti tenori, ma magari un sussurro, un lieve mormorare, un fremito del cuore prima ancora che delle corde vocali.

Cantare è dare respiro alla nostra interiorità, a ciò che portiamo nell’animo. E sappiamo che nel cuore possiamo trovare sentimenti contrastanti, il giubilo, la tristezza, la rabbia, l’ilarità, la rassegnazione, la felicità…

Quei sentimenti, venendo a contatto con l’aria emessa dai polmoni, diventano voce e così la voce si fa espressione del cuore. Penso a una madre che canta la ninnananna al proprio bimbo, mentre lo tiene stretto a sé piena di sogni e di dolcezza, e mi par di vedere Maria a Betlemme e di scovare tutta la tenerezza, il timore, le domande.

Così sorge in me il desiderio di cantare con lei, con voce leggera, per accompagnare il suo respiro senza svegliare il Bambino, e dirle: ci sono, all’unisono con te.

 

Cantate al Signore un canto nuovo. Il salmo ci invita appunto a rivolgere il nostro canto al Signore. Lui è all’origine del nostro poter cantare, lui il destinatario del nostro canto. Il nostro canto non si fermerà alla ninnannanna, ma di volta in volta assumerà le tonalità gravi del lamento, gioiose della lode, i ritmi sincopati del tormento, le dolci melodie della serena fiducia. E se sarà rivolto al Signore non sarà un semplice flatus vocis, troverà in lui un interlocutore attento e amichevole, pronto ad ascoltare e ad accogliere, a realizzare tutto ciò che è secondo il suo cuore. E diventerà necessariamente canto di gloria e annuncio di pace, come quello dei pastori.

Così sorge in me il desiderio di cantare con tanti fratelli e sorelle, perché i cuori si possano fondere senza confondersi e ciascuno nella sua unicità possa farsi voce di tutti, esprimendo così nuove armonie. Ci accorgeremo così di non aver cantato invano. Cantate al Signore un canto nuovo. Il salmo invita a cantare un canto nuovo. Quanta novità è presente nel mistero del Natale: provo a pensare: un Figlio di Dio nato durante un viaggio, in un luogo senza importanza, Betlemme, il più piccolo capoluogo di Giuda; nato da una madre “poverella”, secondo una bella espressione di san Francesco; posto in una mangiatoia, riscaldato dal fiato degli armenti; nato in una famiglia fuori dal normale, con un padre sognatore e una madre vergine. Quanta novità in questi fatti! È tutto nuovo, inaudito!

E quanta novità c’è in questo Natale, un Natale che non avremmo mai pensato di vivere, dentro una pandemia che ha sconvolto i nostri orizzonti, le nostre abitudini, le nostre certezze, che ha portato e sta portando desolazione, dolore, sofferenza e morte; una pandemia della quale non si vede la fine e che nessuno sa bene, fino in fondo, come affrontare alla quale governi, amministrazioni locali, autorità sanitarie, economisti e tanti altri cercano di dare risposte in mezzo all’accrescersi dei drammi familiari e sociali.

Certo, se guardiamo semplicemente ai fatti del mondo c’è molta novità. E non quella che avremmo desiderato. Eppure c’è una novità che è quella di sempre: la novità del Vangelo. Sì, perché il Vangelo offre continuamente uno sguardo nuovo, una diversa prospettiva. E da esso possiamo cogliere le note di questo canto nuovo. Un canto nuovo perché non possiamo accontentarci di cantare rivolti al passato, di cantare, potremmo dire, la solita solfa, di guardarci indietro e di dire che vogliamo tornare alla vita di prima.

È il momento di aprirci, ce lo chiede la novità del bambino di Betlemme, a un modo nuovo di pensare e di agire perché il Vangelo si compia in noi e nel mondo. L’esperienza storica che stiamo vivendo rappresenta una formidabile occasione di cambiamento delle nostre abitudini. È il momento di fare come dopo il diluvio, quando Noè e i suoi ripresero a popolare la terra, si diedero regole nuove, instaurarono rapporti differenti tra loro e con la terra. È il momento opportuno di attivare processi nuovi, direbbe papa Francesco, di mettere in atto quella fantasia della carità di cui parlava papa Giovanni Paolo, rinnovando il nostro vivere in maniera creativa, nuovamente improntata al messaggio evangelico.

E così sorge in me il desiderio che il mio canto sia davvero nuovo, che esprima la decisione di non rimanere attaccato alle consuetudini, al “si è sempre fatto così”, di investire tutti i doni ricevuti per convertirmi, finalmente!

 

Che il Bambino di Betlemme, così tanto amato di tenero affetto da san Francesco d’Assisi, doni a ciascuno di noi il suo stesso sguardo sulla vita, sugli altri, sul mondo; lo sguardo riconoscente e pieno di confidenza nel Padre, pieno di tenerezza verso tutti e ci renda capaci per questo di cantare insieme con lui un canto nuovo.

 

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