La benedizione delle case in tempo di Covid
Uno sguardo amico entra nelle abitazioni, riallaccia le relazioni
Con grande gioia, nella parrocchia di montagna che servo da tanti anni, ho ripreso la 'benedizione delle case'. Nelle terre cristiane, questo rito serve da tempo immemorabile a rinnovare i legami religiosi e fraterni. Uno sguardo amico entra nelle abitazioni, riallaccia le relazioni, verifica la propria sintonia con le vite e i sentimenti del popolo, aggiorna il quadro delle necessità, rimedia a dimenticanze e distrazioni verso i più piccoli e verso gli anziani.
Nel passato le 'rogazioni', le preghiere processionali che invocavano buoni raccolti, servivano pure a verificare le condizioni lavorative delle varie famiglie e suggerivano interventi solidali. Oggi la benedizione delle case è rimasto l'unico strumento per una conoscenza aggiornata delle comunità.
L'anno scorso avevo combattuto l'isolamento forzato con una lettera di incoraggiamento alle famiglie. Oggi, grazie ai vaccini e al distanziamento responsabile, si è riaperto questo grande canale di comunicazione. Ho iniziato a percorrere a piedi, tra prati e castagneti, i 'quartieri' in cui la parrocchia è tradizionalmente divisa, negli stessi giorni in cui il Parlamento valutava il piano degli investimenti europei. Seguivo al mattino (dovere civico) la discussione sul futuro dell'Italia fatta nella sede che rappresenta la prima linea delle decisioni politiche fondamentali.
Iniziavo il mio pomeriggio di visite dopo avere scorso le notizie riguardanti l'altra prima linea, quella degli uomini e delle donne che faticano e rischiano la vita negli avamposti della fede, che sono pure le trincee della sofferenza. E ho sentito la responsabilità e l'orgoglio di tenere viva questa piccola trincea della fraternità cristiana.
Sento parlare di rinnovamento della pastorale e - ne sono convinto - nessuna seria proposta deve essere disprezzata, ma non sarebbe saggio trascurare le occasioni di conoscenza dialogo e incontro che la pratica tradizionale ha collaudato. Sono i rappresentanti di una 'piccola Italia' questi uomini e queste donne (giovani e meno giovani) che ricevono sull'entrata di casa il mio augurio di pace.
Ma tra loro ci sono i volontari dell'assistenza che in queste settimane hanno assicurato il funzionamento di tanti piccoli centri vaccinali. Sono quelli che, conoscendo il territorio, hanno raccolto le informazioni sugli anziani e sulle persone fragili (anch' io ne ho segnalato) che un 'algoritmo' un po' distratto aveva dimenticato. E mi viene da concludere che, forse, dovremmo considerare tutte le periferie geografiche ed esistenziali come le prime linee dell'umanità in cammino. Allora non succederà che qualcuno venga trascurato perché non compare negli elenchi ufficiali o perché non ha potuto rispondere alla telefonata regolamentare dell'ufficio sanitario 'dedicato'.
Da parte mia, spero di poter continuare ancora per molti anni a percorrere questi sentieri erbosi, a bussare alla porta dei casolari isolati, a ripetere più e più volte in poche ore: «Pace a questa casa e a tutti i suoi abitanti». (Avvenire)
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