religione

Il Sole 24 Ore, Ravasi: Il Salterio spiegato da Origene

Gianfranco Ravasi Il Sole 24 Ore
Pubblicato il 25-04-2021

Le «Omelie sui Salmi» del teologo alessandrino e i «Sermoni per l’anno liturgico» di San Bernardo 

Oltre che a quelli pagani, anche ai «classici» cristiani - persino nelle Facoltà teologiche - si può ormai applicare la definizione ironica coniata da Chesterton in All Things Considered, secondo cui «un grande classico è uno scrittore che si può lodare senza averlo letto». Ancor più ruvido era stato Mark Twain nella sua Disappearence of Literature: «Un classico è qualcosa che tutti vorrebbero aver letto ma nessuno vuol leggere».

Cerchiamo, allora, di invitare qualche lettore a sfatare questa vulgata, proponendo loro un classico cristiano piuttosto arduo, anche perché l’autore non si curava eccessivamente di procedere secondo uno stile letterario e retorico raffinato. Ci riferiamo all’alessandrino (d’Egitto) Origene soprannominato Adamanzio, cioè uomo d’acciaio (o di diamante), morto nel 254 a 69 anni. Personaggio geniale ma anche così radicale da prendere alla lettera una metafora spirituale di Cristo: «Vi sono eunuchi nati così dal grembo materno, altri resi tali dagli uomini e ve ne sono altri che si sono resi tali per il regno di Dio» (Matteo 19,12). E, così, il ferreo Origene non esitò a evirarsi.

In realtà, come autore, fu particolarmente prolifico: egli, infatti, è stato teologo sistematico di alto livello speculativo, scrittore spirituale e mistico e soprattutto esegeta delle Scritture Sacre. Ed è in quest’ultimo campo che ci inoltriamo con l’imponente e mirabile edizione critica (quindi con l’originale greco a fronte) delle sue 29 Omelie sui Salmi, offerte ora in una prima serie di 13 discorsi dedicati a sei Salmi. Alla base di questi scritti origeniani c’è un’avventura che costituisce la felicità di uno studioso, anche a causa della sua rarità. Nell’aprile 2012Marina Molin Pradel scopriva queste 29 omelie inedite, mentre stava approntando un nuovo catalogo dei manoscritti greci della Bayerische Staatbibliothek di Monaco e aveva tra le mani il Codice greco 314. È nota, infatti, la complessità della trasmissione dei testi di questo «genio di prima grandezza del cristianesimo», come lo definisce il curatore Lorenzo Perrone, perché molti sono pervenuti o in forma frammentaria o in versione latina. Le risonanze tematiche di questa prima raccolta sono ampiamente identificate nella vasta introduzione (la sola bibliografia critica occupa più di trenta pagine).

La struttura dei sermoni è costante e lineare, articolata nella trilogia prologo - corpo del discorso - conclusione orante, così come netto e coerente è l’approccio ermeneutico: il Salterio è un libro di Cristo e della Chiesa, nonostante la sorprendente dipendenza di Origene dall’esegesi giudaica più che da quella cristiana a lui antecedente. I «dicitori» dei Salmi, secondo il metodo detto «prosopologico» che comporta effetti incisivi nella predicazione, sono appunto Cristo e la Chiesa, che sono loro a parlare, sono i locutori che porgono e orientano l’interpretazione del Salmo.

La fioritura delle applicazioni che sboccia da questo annuncio-commento si allarga a corolla nella quale i petali colorati sono l’amore di Dio rivelato in Cristo e l’uomo salvato da quell’amore. L’esegesi, quindi, sconfina in teologia e approda alla mistica, come si intuisce da certe professioni «cantate» di fede: «Quanto è grande l’immensità del tuo amore, o Signore, che tu hai nascosto per coloro che ti temono in Cristo Gesù».

Ovviamente molti altri sono i petali di quella corolla, non escluso quello autobiografico, persino con un risvolto autocritico verso l’attrazione giovanile esercitata sull’autore da scuole eretiche e dalla stessa inadeguatezza culturale delle comunità cristiane di allora. Lasciamo ai coraggiosi che abbiamo evocato in apertura di individuare quei temi attraverso la lettura delle parole del maestro di Alessandria. Molto più agevole è, invece, l’ascolto di un altro «classico» della letteratura cristiana, Bernardo di Chiaravalle (Clairvaux) vissuto nel XII secolo, definito il Doctor mellifluus per la sua dolce e intensa eloquenza, tant’è vero che sulle sue labbra Dante ha posto la celebre invocazione a Maria madre di Cristo nel canto XXXIII che suggella il Paradiso. Ora, all’interno dell’imponente progetto di edizione integrale in latino e in versione delle sue opere, appaiono i Sermoni per l’anno liturgico in un primo tomo che ne raccoglie ¬ , distribuiti nell’arco che va dall’Avvento alla Quaresima (17 di essi sono un commento al Salmo 90/91, titolato Qui habitat dall’incipit, un testo biblico usato da Satana per tentare Gesù nel deserto).


A guidare il lettore-uditore in questo piccolo mare oratorio, dal genere letterario piuttosto fluido che dal sermone può sconfinare nel trattato, è Domenico Pezzini che ha approntato una sontuosa introduzione che illustra l’intero panorama della predicazione di Bernardo destinata a completarsi nel successivo secondo tomo. Suggestiva è l’analisi dell’uso delle parole in un linguaggio capace, spesso, di «raggiungere un effetto incantatorio che non si fatica a chiamare mistico».

Analogo è il gioco delle immagini che generano cascate di variazioni lessicali. È un’immaginazione che non conosce confini e che rende il dettato di Bernardo un arcobaleno di simboli e metafore destinato ad aprire squarci luminosi nel mistero della fede. Alla fine è un dire Dio in modo bello oltre che vero, una sorta di «estetica teologica».
Da Il Sole 24 Ore del 25 aprile 2021

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