religione

Giuseppe, l'uomo che passa inosservato

ORAZIO LA ROCCA
Pubblicato il 19-03-2021

Papa Francesco ci ricorda che le nostre vite sono 'sostenute da persone comuni, solitamente dimenticate'

Carpentiere onesto”. “Lavoratore instancabile dal coraggio creativo”. “Papà premuroso, fermo, dolcissimo”. Ed ancora: “Figlio di Dio rispettoso, padre amato nella tenerezza, nell'obbedienza, nell’accoglienza”. Soprattutto, “padre putativo di Gesù e sposo fedele di Maria di Nazareth, che pur nell'umiltà, nella riservatezza e nelle difficoltà” è assurto a “pilastro” della Chiesa di Cristo.

Sono questi i sentimenti che papa Francesco prova per la figura di san Giuseppe, al punto da avergli dedicato dallo scorso dicembre uno speciale Anno giubilare. Quasi un fiume in piena di riconoscimenti riservati al papà “adottivo” di Gesù Bambino per onorarlo con 12 mesi di preghiere specifiche, pellegrinaggi, possibilità di ottenere indulgenze in tutte le chiese cattoliche. Un anno interamente “giuseppino” delineato con parole sincere e profonde, e che offre lo spunto a Papa Bergoglio di rilanciare Urbi et Orbi l'opera lavorativa, la figura paterna e la testimonianza evangelica di san Giuseppe “in modo tenero e toccante”, commenta significativamente VaticanNews, sito informativo della Santa Sede.  Suggestioni, parole e sentimenti che emergono nella Lettera apostolica Patris corde firmata dal Pontefice per celebrare il 150esimo anniversario della proclamazione di San Giuseppe a Patrono della Chiesa col decreto Quemadmodum Deus firmato da Pio IX l’8 dicembre 1870. Uno speciale “Giubileo” che si concluderà l'8 dicembre 2021, quasi a due anni dall'esplosione del Covid-19, tragedia epocale per la quale Francesco è stato sempre in prima fila con preghiere e richiami, che cita anche nella Patris corde, scrivendo, tra l'altro, che “la pandemia ci ha fatto comprendere l’importanza delle persone comuni, quelle che, lontane dalla ribalta, esercitano ogni giorno pazienza e infondono speranza, seminando corresponsabilità. Proprio come san Giuseppe, l’uomo che passa inosservato, l’uomo della presenza quotidiana, discreta e nascosta”, ma dotato di un “protagonismo senza pari nella storia della salvezza”.

Il primo tratto caratterizzante di san Giuseppe evidenziato dal Papa è il suo essere “un padre amato ed obbediente” che accoglie senza condizioni Maria, sua sposa, e suo figlio Gesù “come suo figlio” tramite quel “suo Fiat” che “salva Maria e Gesù” ed insegna a suo Figlio a “fare la volontà del Padre”. Chiamato da Dio a servire la missione di Gesù, san Giuseppe “coopera al grande mistero della Redenzione ed è veramente ministro di salvezza”. In pratica, col suo esempio – nota Bergoglio  — è come se il Signore ci ripetesse: “Non abbiate paura!”, perché “la fede dà significato ad ogni evento lieto o triste” e ci rende consapevoli che “Dio può far germogliare fiori tra le rocce”. Non solo: Giuseppe – aggiunge Francesco  — “non cerca scorciatoie”, ma affronta la realtà “ad occhi aperti, assumendone in prima persona la responsabilità”. Per questo, la sua accoglienza “ci invita ad accogliere gli altri, senza esclusione, così come sono”, con “una predilezione per i deboli”. “Il carpentiere di Nazaret – spiega ancora il Papa – sa trasformare un problema in un’opportunità anteponendo sempre la fiducia nella Provvidenza”. Egli affronta “i problemi concreti” della sua Famiglia, esattamente come fanno tutte le altre famiglie del mondo, in particolare quelle dei migranti. In questo senso, san Giuseppe è “davvero uno speciale patrono” di chi, “costretto dalle sventure e dalla fame”, deve lasciare la patria a causa di “guerre, odio, persecuzione, miseria”. Custode di Gesù e Maria, Giuseppe “non può non essere custode della Chiesa”, della sua maternità e del Corpo di Cristo: ogni bisognoso, povero, sofferente, moribondo, forestiero, carcerato, malato, è “il Bambino” custodito da Giuseppe, che così ci insegna ad “amare la Chiesa e i poveri”.

Quanto al suo mestiere di falegname, il Pontefice ne elogia l'onestà, la perizia e la costanza, perseguite con instancabile fatica quotidiana “per garantire il sostentamento della sua famiglia”, insegnandoci anche “il valore, la dignità e la gioia” di “mangiare il pane frutto del proprio lavoro”, così come è raccontato nei Vangeli, ma facendone anche motivo di analisi e di approfondimento per i problemi dei giorni nostri, lanciando un appello in favore del lavoro divenuto – lamenta il Papa  — “una questione sociale urgente” persino nei Paesi con un certo livello di benessere. Da qui l'esortazione a “comprendere il significato del lavoro che dà dignità”, che “diventa partecipazione all’opera stessa della salvezza” e “occasione di realizzazione” per se stessi e per la propria famiglia, “nucleo originario della società”. Per il Papa, san Giuseppe insegna che chi lavora collabora con Dio perché diventa “un po’ creatore del mondo che ci circonda”. Ecco perché – avverte Francesco rivolgendosi a lavoratori, sindacati, istituzioni – è vitale “riscoprire il valore, l’importanza e la necessità del lavoro”, in maniera da “dare origine ad una nuova normalità in cui nessuno sia escluso”. Guardando, in particolare, all’aggravarsi della disoccupazione a causa della pandemia da Covid-19, il Papa richiama tutti a “rivedere le nostre priorità” per impegnarsi a dire: ”Nessun giovane, nessuna persona, nessuna famiglia senza lavoro!”.

Quanto al rapporto tra san Giuseppe e Gesù, il Papa, richiamandosi all’opera L’ombra del Padre dello scrittore polacco Jan Dobraczyński, descrive la paternità di Giuseppe come “l’ombra sulla terra del Padre Celeste”. Per poi ricordare che “padri non si nasce, lo si diventa”, perché “ci si prende cura di un figlio” assumendosi la responsabilità della sua vita. Purtroppo, oggi “spesso i figli sembrano orfani di padri”, e di padri in grado di “introdurre il figlio all’esperienza della vita”, senza trattenerlo o “possederlo”, bensì rendendolo “capace di scelte, di libertà, di partenze”. In questo senso, san Giuseppe ha l’appellativo di “castissimo” che è “il contrario del possesso”: egli, infatti, “ha saputo amare in maniera straordinariamente libera”, “ha saputo decentrarsi” per mettere al centro della sua vita non se stesso, bensì Gesù e Maria. Francesco confessa, infine, che “da più di 40 anni” ogni giorno recita un’orazione a san Giuseppe “tratta da un libro francese di devozioni, dell’800, della Congregazione delle Religiose di Gesù e Maria”, che contiene anche una “certa sfida” perché si conclude avvertendo “che non si dica che ti abbia invocato invano, mostrami che la tua bontà è grande quanto il tuo potere”. Sfida-implorazione sempre di grande attualità.

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