Chiara, l’utopia di Francesco ed entrambi utopia del Vangelo
Molti ricordano, almeno per il titolo suggestivo e ricco di risonanze L’utopia di Francesco si è fatta … Chiara
di Domenico Paoletti
Molti ricordano, almeno per il titolo suggestivo e ricco di risonanze L’utopia di Francesco si è fatta … Chiara, un Convegno per gli 800 anni della nascita di Chiara d’Assisi nel 1994. Da questo titolo prende le mosse la mia breve riflessione. L’utopia - un termine inventato da Tommaso Moro, che lo pose come intestazione del suo libro nel 1516, composto di due parole greche, ou (= non) e topia (= luogo) - significa il “non luogo”, il luogo che non esiste, qualcosa di irrealizzabile: nel linguaggio comune indica un ideale che non esiste nella realtà o, per dirla con il filosofo, “una realtà irreale”, “una presenza assente”, “un altrove nostalgico”. Ma nella prospettiva cristiana, l’utopia esiste veramente: è il Regno di Dio, un’utopia nel senso che non è realizzato da nessuna parte e tuttavia verrà, ed è già presente nelle sue premesse. L’utopia inoltre è estremamente utile perché, paradossalmente, è reale: può sembrare sogno ma è un sogno in cammino di incarnazione, un sogno che aspira a farsi progetto, specialmente nei tempi di forte trapasso storico com’è il nostro. Paolo VI, ripreso da papa Francesco, sosteneva il valore dell’utopia come il vero realismo nei periodi di transizione. In questo breve scritto mi soffermo sull’utopia del Vangelo che in Francesco e Chiara diventa topìa-segno, ossia luogo di anticipata concretizzazione, attendendo la pienezza che avverrà nel compimento (la fine-il fine) del cammino della Chiesa e della storia. L’utopia di Francesco, vivere il Vangelo “sine glossa”, è stato un ideale concreto nella sua persona, ma da subito nella sua stessa fraternità ha incontrato difficoltà di realizzazione.
Il Vangelo è una vera utopia, come si vede nel paradosso del Discorso della montagna, che capovolge la logica mondana del “conservarsi” nella logica del “perdersi per ritrovarsi”. L’utopia non è altro che il sogno, il progetto di Dio nel creare il mondo e l’essere umano per la comunione fraterna. Questa utopia comunionale agapica, che è Dio stesso, dall’egoismo e dalle paure degli uomini viene ostacolata nel suo farsi storia. Quando Francesco esce dal suo piccolo sogno di grandezza terrena (essere cavaliere), allora scopre la vera grandezza del sogno di Dio che abita nel profondo del suo cuore; nell’incontro con il Cristo Risorto, presente nella Chiesa, in particolare nel povero-lebbroso, contempla e accoglie con gioia l’utopia di Dio, il suo originario piano d’amore sull’umanità e sulla storia, e ne coglie la deformazione operata dall’uomo col peccato. Allora, collaborando con la Grazia, si libera dalla logica mondana (“…uscii dal mondo”), e si pone umilmente alla sequela di Cristo. Il suo carisma, fatto proprio da Chiara, è il sequi vestigia eius.
La vita di Francesco dopo la conversione è una “realtà irreale”, un’utopia, tanto che i suoi stessi frati, insistendo per una vita più vivibile e realistica, non lo comprendono. L’utopia evangelica di Francesco, non pienamente realizzata perché non realizzabile - altrimenti finirebbe di essere utopia - trova invece un’accoglienza piena, entusiasta e creativa in Chiara d’Assisi, fino a diventare, come si diceva, topìa-segno. Le scelte “utopiche” di Francesco, che diventano in Chiara “topici” segni del Regno, sono essenzialmente tre: la ricerca radicale di Dio, la fraternità e la povertà. La ricerca radicale di Dio. “Molto occupato con Gesù”, Francesco ha il cuore rivolto continuamente al Signore e desidera che questa sia anche l’unica occupazione dei frati: «Nella santa carità, che è Dio, prego tutti i frati, sia i ministri che gli altri, che, allontanato ogni impedimento e messa da parte ogni preoccupazione e ogni affanno, in qualunque modo meglio possono, si impegnino a servire, amare, adorare e onorare il Signore Iddio» (Rnb XXII: FF 60). L’amore di Dio è il cuore di Francesco e costituisce il tema più sviluppato e presente nei suoi scritti: più ancora della stessa povertà che è un valore strumentale. Il cuore di Francesco, innamorato ed acceso di ardore per Dio, trova una sintonia profonda, complementare ed unica con il cuore di Chiara, tutta incentrata sull’ascolto della Parola di Dio e nella gioia della contemplazione: «Chiara molto se dilettava de udire la Parola de Dio» (Proc X,8: FF 3076), vive unita al Signore fino a specchiarvicisi e lasciarsi trasformare dalla contemplazione nell’amore alle sorelle. Per Chiara la contemplazione significa porre la mente, il cuore e l’anima nell’immagine di Dio, nel Figlio, lasciando che lo Spirito Santo operi la trasfigurazione in Cristo. Rivolgendosi ad Agnese, Chiara dice: «Ama con tutta te stessa Colui che per amor tuo tutto si è donato» (3LAg 15: FF 2889).
L’utopia della fraternità. Francesco, avendo il cuore rivolto a Dio, riconosce e vive la fraternità universale, anzi cosmica. È il primo nella storia che designa con il nome di fraternitas il gruppo formatosi attorno a lui, e lo fa con insistenza. Francesco desidera e ammonisce che i frati siano veri fratelli, si amino e si prendano cura gli uni degli altri come, anzi più, di una madre che si prende cura del figlio. L’utopia della fraternità si esprime anche nel servizio dell’autorità. Tutti sono fratelli, nessuno dovrà essere chiamato superiore o padre, o portare titoli onorifici. Chi ha l’autorità sia ministro, e il suo incarico è quello di lavare i piedi degli altri. L’utopia della fraternità messa alla prova lungo la storia, in Chiara diviene la pratica del lavarsi i piedi e di avere cura amorevole e reciproca. In Chiara l’utopia della fraternità sororità appare portatrice di un valore aggiunto rispetto alla stessa fraternità che si realizza tra i frati minori: si caratterizza per maggiore attenzione e tenerezza, autenticità del servizio umile reso alle sorelle, corresponsabilità nel cammino sororale, unità degli spiriti, corresponsabilità di un cammino vissuto insieme, condivisione effettiva dell’esperienza ed incontri delle sorelle con l’abbadessa almeno una volta alla settimana (RsC 4,15-18: FF 2780). L’utopia della povertà, valore evangelico, viene talmente radicalizzato da Francesco da essere un’utopia eversiva e fonte di continua riforma nella famiglia francescana. L’utopia della povertà consiste nell’identificarsi con i più poveri fra i poveri, nel rifiuto assoluto di ogni proprietà (anche comunitaria) e nella proibizione di usare il denaro. Una vera ‘utopia’, tanto che la sua pratica sin dall’inizio ha richiesto vari adattamenti.
Chiara, invece, resiste tenacemente e con notevole audacia alle pressioni di papa Gregorio IX per vivere il privilegium paupertatis, il privilegio di non avere privilegi; ed ottiene di vivere questa utopia da Innocenzo IV con un documento solenne del 1253, a lei presentato pochi giorni prima della morte. La povertà di Chiara e della comunità di San Damiano è una povertà evangelica, scandalosa quindi allora come oggi. Studiando la figura di Chiara, anche in quest’ottica dell’utopia, emerge come sia riduttivo interpretarla come una seguace, una plantula, un ‘riflesso’ di Francesco (anche se l’idea è stata alimentata da lei stessa), mentre è una donna coraggiosa e originale nel dire e vivere l’utopia del vangelo e nient’altro. Questa passione e questa forza di libera determinazione costituiscono la chiave della sua attualità.
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