Dieci anni di “faccia a faccia” con il mondo
"non esiste una storia umana che non sia grande"
Il 13 marzo 2013 Jorge Mario Bergoglio si è affacciato dalla loggia della Basilica di San Pietro e si è presentato al mondo.
Il suo pontificato ha prodotto molti “effetti” verso molteplici direzioni in questi primi dieci anni, effetti che continueranno a svilupparsi nel tempo futuro.
Molte direzioni dunque; si potrebbe provare a tracciare una mappa evidenziando le parole-chiave di questo pontificato e scopriremmo che sono tante: misericordia, gioia (Evangelii Gaudium), fratellanza (Fratelli tutti), creato e cura della casa comune (Laudato si'), pace, incontro tra generazioni e popoli, racconto, dialogo, sogno, chiesa in uscita, poveri e scartati, tenerezza, camminare insieme, sinodo e sinodalità... Vorrei prendere in esame non una parola-chiave ma un aspetto trasversale che quindi tocca tutti gli altri: il linguaggio.
Nella prefazione del libro Una trama divina, recentemente pubblicato, che raccoglie le meditazioni di padre Antonio Spadaro sui testi dei vangeli della domenica, il Papa invita tutti i cristiani alla ricerca di un linguaggio nuovo per la missione dell’evangelizzazione. Un linguaggio non “dell'abitudine” che è «stantio, noioso, cerimonioso, ovvio». La Chiesa infatti, dice il Papa, «deve stare attenta a non cadere nella trappola del linguaggio banale, della frasi che si ripetono in modo meccanico e stanco» e per far questo deve far ricorso al linguaggio della vera tradizione che «è vivo, vitale, capace di futuro e di poesia».
Forse l'impatto più forte di questi primi dieci anni di pontificato è da ricercare nella “rivoluzione linguistica” realizzata da Papa Francesco. Qualcosa che ha a che fare più con lo “stile” che con la “sostanza”. Il caso emblematico è quello del prossimo sinodo sulla sinodalità: detta così sembra uno scioglilingua e, anche, un enigma incomprensibile.
Molte resistenze che ancora esistono rispetto al processo sinodale richiesto dal Papa nascono spesso dal fatto che la richiesta del Papa non riguarda direttamente una questione contenutistica quanto piuttosto una questione stilistica. La domanda non è “cosa” ma “come dobbiamo fare?”. Lo stile infatti non è un dettaglio superficiale, ma tocca il cuore dell'essere cristiano. Lo stile quindi, ovvero il linguaggio, la modalità umana di comunicare.
Una cosa che trova tutti d'accordo è che Bergoglio possiede una grande potenza comunicativa, il suo linguaggio fresco e diretto, arriva subito al cuore e alla mente delle persone, “toccandole”. Se c'è un senso, tra i cinque, che contraddistingue Papa Francesco, questo è il tatto. Ho sempre visto nel brano Vangelo di Marco del miracolo alla donna emorroissa, il miracolo del tatto, il ritratto del Papa: quel suo voler cercare di vedere tra la folla lo sguardo di ogni singola persona per trovare la prossimità, il contatto, il rapporto “faccia a faccia”. Il linguaggio del Papa è così, crea un contatto, non sono solo parole, poco “testo” e molto “gesto”, e quelle poche parole connesse strettamente con la vita, con l'esperienza, concreta, di ogni persona che lo ascolti.
Una parola che scaturisce dalla vita e ritorna alla vita, rigenerandola. A partire dalla vita, spesso infatti il Papa fa ricorso alla sua esperienza, ai suoi ricordi, alle parole della nonna Rosa, a quello che ha visto e lo ha toccato. Parte dalla vita e arriva, “impatta”, sulla vita dell'ascoltatore che in quelle parole si ri-conosce. Sono parole le sue, inoltre, piene di immagini, che posseggono una vis comunicativa sempre superiore a quella dei concetti astratti. Esattamente come nella Bibbia e come, in particolare, nelle parabole di Gesù. Quest'ultime sono al tempo stesso immaginifiche e realistiche, cioè raccontano della realtà, dell'esistenza quotidiana, piccola se vogliamo, di ciascun essere umano. E qui mi viene in mente una battuta, brevissima ma illuminante, del Papa. Eravamo in aereo, di ritorno dal viaggio ad Abu Dhabi, dove il 4 febbraio 2019 aveva firmato il Documento sulla fratellanza umana. Il direttore della Sala Stampa, Alessandro Gisotti, aprendo la conferenza stampa con i giornalisti, parlò di “evento storico, di momento grande della storia” e il Papa subito precisò: «Sì, certamente dal punto di vista giornalistico è stato un grande evento, ma non esiste una storia umana che non sia grande. Ogni storia umana, anche la più piccola e miserevole, è una storia grande perché ogni uomo è una creatura di Dio e possiede una dignità incommensurabile che non può mai perdere». Una breve battuta che dice molto del pensiero e del cuore di questo Papa.
Le parabole quindi, e il loro linguaggio pieno di immagini e di concretezza, di quella vitalità e di quella poesia che sono necessarie per accendere i cuori dell'umanità smarrita e dolente di oggi, che ha bisogno di uno sguardo di misericordia e di incoraggiamento, lo sguardo che si può trovare negli occhi di un Papa che cerca di incontrare l'uomo, incontrarlo “faccia a faccia”.
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