La Novena di Natale - La Natività
Continuiamo il viaggio alla scoperta delle scene dell'infanzia di Gesù
«Stupore e meraviglia». A descrivere sensazioni, sentimenti ed emozioni che si provano di fronte alla scena della natività, davanti a quel «mirabile segno del presepe» che rappresenta la nascita di Gesù, è papa Francesco, nella sua lettera apostolica Admirabile signum. Stupore e meraviglia accompagnano il nostro sguardo, che, sempre rivolto in alto, volge a destra e si sposta dalla scena dell'Annunciazione verso quella della Natività. «Rappresentare l’evento della nascita di Gesù – prosegue papa Bergoglio – equivale ad annunciare il mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio con semplicità e gioia». Proseguiamo così il nostro cammino tra gli episodi dell'Infanzia di Gesù e, con semplicità e gioia, andiamo incontro a «Colui che si è fatto uomo per incontrare ogni uomo» Lo facciamo con la consapevolezza di chi questo Natale lo vive, lo pensa e lo sente con un'affermazione: tu ci sei necessario. Sono parole tratte dalla poesia Alla vigilia di Natale, di Bertolt Brecht: «Oggi siamo seduti, alla vigilia di Natale, / noi, gente misera, / in una gelida stanzetta, / il vento corre fuori, il vento entra. / Vieni, buon Signore Gesù, da noi, / volgi lo sguardo: / perché tu ci sei davvero necessario».
(...) Mi sono sempre chiesto perché i più grandi sconvolgimenti della fede, come il passaggio del Mar Rosso, la notte di Natale e la notte di Pasqua, avvengano di notte. Una risposta la trovo nell'esperienza, che credo ciascuno di noi ha vissuto e che i grandi santi ci insegnano: le nostre notti diventano l'occasione di Gesù per essere luce per noi. Inoltre, le notti di Gesù ci dicono che anche lui le ha attraversate. E chi si fa compagno di viaggio nelle notti buie della nostra vita. Egli nasce di notte e risorge di notte, perché anche la nostra notte possa farci rinascere e risorgere. Ecco perché possiamo far nostro il salmo: «Anche se vado per una valle oscura, non temo alcun male, perché tu sei con me». «Apriamo il cuore a questa grazia semplice, lasciamo che dallo stupore nasca una preghiera umile: il nostro “grazie” a Dio che ha voluto condividere con noi tutto per non lasciarci mai soli». Accogliamo la speranza di papa Bergoglio: avviciniamoci alla Natività e al presepe con lo sguardo di san Francesco. È il cardinal Ravasi a ricordarci come il centro del racconto della Natività non sia solamente la nascita di un bambino. L'elemento fondamentale sta «nell'incrociarsi del cielo e della terra, della storia e della trascendenza, della geografia e dell'infinito. Un testo apocrifo egiziano (gnostico) del III secolo mette in bocca a Gesù queste parole che riassumono il senso della Natività: “Io divenni piccolo perché attraverso la mia piccolezza potessi portarvi in alto, donde siete caduti”».
Il cielo incontra la terra, l'Altissimo incontra il piccolissimo. Ma qual è la nostra attitudine, la nostra capacità di accogliere il Signore, il grado di apertura del nostro cuore? Quanto spazio riserviamo agli altri? “Per loro non c'era posto nell'alloggio”, ricorda l'evangelista Luca al termine della sua narrazione. «Questo deve farci pensare, per rimandarci al rovesciamento di valori che vi è nella figura di Gesù Cristo, nel suo messaggio. Fin dalla nascita Egli non appartiene a quell'ambiente che, secondo il mondo, è importante e potente. Ma proprio quest'uomo irrilevante e senza potere si rivela come il veramente Potente, come Colui dal quale, alla fine, dipende tutto. Fa quindi parte del diventare cristiani l'uscire dall'ambito di ciò che tutti pensano e vogliono, dai criteri dominanti, per entrare nella luce della verità sul nostro essere e, con questa luce, raggiungere la via giusta». Uscire dagli schemi di pensiero tradizionali, accogliere l'altro, sussurrare all'orecchio degli ultimi, divenire “piccoli”, sentirsi tali per potersi avvicinare al Signore. Dio si è manifestato in Cristo e, qualche secolo dopo, Cristo si è manifestato in un altro uomo, un altro “piccolino” che cambierà nuovamente le sorti dell'umanità. “Piccolino”, così Francesco scriveva di sé, in quel suo Testamento, nel quale benedice e invita i propri fratelli a seguire il suo cammino: «E chiunque osserverà queste cose, sia ricolmo in cielo della benedizione dell’altissimo Padre, e in terra sia ricolmo della benedizione del suo Figlio diletto con il santissimo Spirito Paraclito [termine con cui l'evangelista Giovanni indica lo Spirito Santo, ndr] e con tutte le potenze dei cieli e con tutti i santi. E io frate Francesco piccolino, vostro servo, per quel poco che posso, confermo a voi dentro e fuori questa santissima benedizione. Amen».
Ecco la «scuola di san Francesco», ecco che torna il ruolo del presepe, come «dolce ed esigente processo di trasmissione della fede. A partire dall’infanzia e poi in ogni età della vita, ci educa a contemplare Gesù, a sentire l’amore di Dio per noi, a sentire e credere che Dio è con noi e noi siamo con Lui, tutti figli e fratelli grazie a quel Bambino Figlio di Dio e della Vergine Maria. E a sentire che in questo sta la felicità». È Dio che in quella notte ha messo la sua dimora in mezzo a noi. Non sempre però siamo in grado cogliere l'importanza dell'abbraccio che il Signore ci tende. «Ma non v'è pace nel cuore dell'uomo (...) Ma c'è chi ascolta il pianto del bambino / che morirà poi in croce fra due ladri?», si chiede il grande poeta Salvatore Quasimodo. La svolta segnata dall'Avvento di Gesù, dal suo pianto di neonato, protetto dall'amore di Maria, rischia di restare inascoltata, se non mettiamo i nostri cuori in ascolto. Per celebrare davvero il Natale, occorre mettersi in ascolto del pianto del Bimbo, mettersi in ascolto di coloro che sono in solitudine, dell'affanno degli oppressi, della fame dei poveri, della disperazione degli ultimi. «“Ascoltare il pianto del Bambino” e dei bambini vittime, vuol dire cercare la pace nel cuore e col prossimo».
Di certo i cuori in ascolto “sintonizzati” verso l'Altissimo li ebbero i partecipanti al presepe di Greccio, episodio narrato da Tommaso da Celano, al termine del quale «ciascuno tornò a casa sua pieno di ineffabile gioia». La Natività, il presepe francescano, ci commuove, non ci lascia indifferenti, in quanto «manifesta la tenerezza di Dio. Lui, il Creatore dell’universo, si abbassa alla nostra piccolezza. Il dono della vita, già misterioso ogni volta per noi, ci affascina ancora di più vedendo che Colui che è nato da Maria è la fonte e il sostegno di ogni vita. In Gesù, il Padre ci ha dato un fratello che viene a cercarci quando siamo disorientati e perdiamo la direzione; un amico fedele che ci sta sempre vicino; ci ha dato il suo Figlio che ci perdona e ci risolleva dal peccato».
È ancora papa Francesco a ricordare che «fin dall’origine francescana il presepe è un invito a “sentire”, a “toccare” la povertà che il Figlio di Dio ha scelto per sé nella sua Incarnazione. E così, implicitamente, è un appello a seguirlo sulla via dell’umiltà, della povertà, della spogliazione, che dalla mangiatoia di Betlemme conduce alla Croce. È un appello a incontrarlo e servirlo con misericordia nei fratelli e nelle sorelle più bisognosi. In «questa notte Gesù fa compagnia / al povero, al fringuello, al camminante / che come foglia fluttua per la via»58, impariamo anche noi, a partire dalle scene della Natività, a partire dalla notte del presepe, a sentirci prossimi agli ultimi, a camminare al fianco del povero, a guardare in faccia i dimenticati. Solo così possiamo davvero comprendere che il Natale, per usare le parole di Benedetto XVI, non è una favola per bambini: «Oggi, come ai tempi di Gesù, il Natale non è una favola per bambini, ma la risposta di Dio al dramma dell’umanità in cerca della vera pace. “Egli stesso sarà la pace!” – dice il profeta riferendosi al Messia. A noi spetta aprire, spalancare le porte per accoglierlo. Impariamo da Maria e Giuseppe: mettiamoci con fede al servizio del disegno di Dio. Anche se non lo comprendiamo pienamente, affidiamoci alla sua sapienza e bontà. Cerchiamo prima di tutto il Regno di Dio, e la Provvidenza ci aiuterà». Un'ultima suggestione riguarda la cappella della natività di Betlemme, entrando nella quale siamo chiamati ad abbassarci. C'è infatti una piccola porticina che ci invita a chinare il capo. Così anche il mistero del Natale ci invita a chinare il capo: ogni ragione, di fronte a questo mistero, si infrange. (Dal libro Il Natale di Maria, di padre Enzo Fortunato)
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