fede

Il Vangelo, 'Meravigliosa materia d'arte'

Damiano Felice Unsplash
Pubblicato il 10-06-2021

Gli studi su Gesù di Gabriele D'Annunzio

«Accennavo ieri anche a una "Vita di Gesù" che medito e preparo, e alla quale mi darò con ardore nell' estate prossima perché il libro sia pronto nell' autunno». È il 7 marzo del 1893 e Gabriele d'Annunzio scrive una lettera al suo editore Emilio Treves. Annunciandogli l' intenzione di dedicarsi alla stesura di una vita di Cristo. Un Vangelo secondo Gabriele che non vedrà mai la luce ma sul cui lavoro di ricerca restano come testimonianza diversi appunti, carte sparse principalmente al Vittoriale e finora inedite, oltre a una serie di tracce nelle opere pubblicate. Materiale che ha raccolto - riorganizzandolo cronologicamente e mettendo in fila frammenti d' archivio, articoli, testi - Angelo Piero Cappello, direttore del Centro per il libro e la lettura del ministero della Cultura e, da italianista, autore da trent' anni di studi dannunziani.

Il volume è appena uscito per Ianieri Edizioni e si intitola Gabriele d' Annunzio - Studi su Gesù. Appunti, taccuini, parabole , con la prefazione di Giordano Bruno Guerri, presidente del Vittoriale. Gli appunti mai pubblicati finora sono poco più che lampi da cui il Vate svilupperà poi i temi: «Gesù fu crocifisso il 6 di aprile», «La vita e la morte del figliuol d' uomo in Giudea - evento meraviglioso! La fatalità d' Italia è la fatalità della fenice. La fatalità non è quella della Resurrezione dopo la croce. Per ciò il Calvario del Carso è sublime». In un foglio butta giù una lista di nomi femminili ebraici che gli servirà per la Parabola delle vergini fatue del 1897. Accanto a questi tasselli, il volume accosta testi su un filo lungo cinquant' anni, dagli esordi giornalistici e da Il libro delle Vergini del 1884 fino a Il libro segreto del 1935. 

Che d' Annunzio fosse affascinato dalla figura di Gesù lo conferma nella stessa lettera a Treves: «Nella vita del Galileo c' è una meravigliosa materia d' arte. Come mai nessun artefice della parola ha pensato che si potrebbe, fuor d' ogni critica e d' ogni esegesi, scrivere una vita di Gesù secondo la leggenda e la tradizione ma ornandola con tutte le bellezze d' uno stile possente? Io vorrei scrivere la vita del Cristo con lo stesso metodo con cui scrivo i miei romanzi: cercare di rendere quella figura quanto più viva mi fosse possibile». D' Annunzio, che già adolescente viene bollato dall' istitutore al Cicognini di Prato perché «l' unico difetto ch' ei mostri apertamente è d' essere ateo», non ha, ovviamente, un approccio religioso. Lo affascina la tradizione apocrifa, la versione non canonica dei Vangeli. E i suoi scritti, fra l' altro, finiscono all' Indice dei libri proibiti dalla Chiesa nel 1911. Ma è «innegabile - scrive Cappello - una particolare attenzione da lui rivolta verso i temi sacri e specialmente verso figure specifiche della storia del cristianesimo, figure "umane" e "divine" al contempo, quali sono stati Gesù di Nazareth e Francesco d' Assisi, uomini che hanno saputo indovinare in se stessi, nel profondo inintellegibile della propria interiorità, il punto di contatto con l' infinito e la deità che in ognuno di noi si nasconde».

C' è una vasta aneddotica che dipinge d' Annunzio, sottolinea Giordano Bruno Guerri nella prefazione, come «esteta superficiale del bel gesto e della bella parola, l' amante, divo e superuomo, disinvolto protagonista di torbide storie d' alcova, il leggendario combattente, l' eroe; e, nei casi peggiori, il vuoto retore dilettante di poesia, vizioso quanto basta per assecondare l' immaginario erotico del trivio da bar». Oppure «lo si vorrebbe anche, contro ogni evidenza, come il Giovanni Battista del fascismo». Ma al contrario era un «puntiglioso e profondo lavoratore della parola». In questo senso, afferma Guerri, «l' uomo Gesù non avrebbe potuto essere escluso dalla scrittura dannunziana, essendoci in quell' uomo, e nella sua vita terrena "una meravigliosa materia d' arte"». Certo, l' approccio di d' Annunzio a Cristo non è convenzionale, sfiorando più volte la blasfemia. Agli esordi, fra il 1884 e il 1910, la sua attenzione è tutta all' aspetto estetico. Come quando affronta fra il 1897 e il 1898 tre parabole evangeliche (le riproporrà nel 1924 all' interno delle Faville del maglio , precedute da Il Vangelo secondo l' Avversario ). La prospettiva è ribaltata: il premio non è quello ultraterreno, ma la vita che ci si può godere ora. Il figliol prodigo dannunziano, per fare un esempio, viene esaltato non perché si penta, cosa che non fa, ma proprio perché vive fra i lussi.

L' attenzione morale arriverà in seguito, in opere come la Contemplazione della morte del 1912. Un «risveglio "etico" che non necessariamente significa correzione e ravvedimento, e ancor meno "conversione", quanto piuttosto indica una nuova dimensione da accogliere nella scrittura», spiega ancora Cappello. Infine, c' è un' ultima fase, che copre gli anni fra il 1916 fino alla morte, nel 1938. «L' improvvisa irruzione della guerra nella vita e nell' opera di d' Annunzio contribuì alla definitiva evoluzione del tema del religioso e delle figure della religione verso esiti ancora più intensi e intimamente sentiti», sottolinea il curatore del volume. «La figura del Cristo, fino ad allora vissuta e studiata prima sotto la specie dell' arte, poi sotto l' aspetto e con l' impegno di un più diretto coinvolgimento etico, con la guerra e la morte vista direttamente nelle trincee e nei campi di battaglia, diviene elemento "profetico", metafora più consapevolmente dolorosa del mistero della vita e della morte». (Corriere della Sera)

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