Gli appunti che svelano Bergoglio
Il pensiero del Papa su realtà e conoscenza
Lo scorso 3 aprile è stato pubblicato su 'La Civiltà Cattolica' un dattiloscritto inedito risalente agli anni 1987-88, in cui il gesuita Jorge Mario Bergoglio appuntava alcune idee. Probabilmente alcune le aveva elaborate l' anno precedente, a Francoforte sul Meno, mentre studiava per quel dottorato mai concluso sulla figura del filosofo Romano Guardini. Si tratta di un testo che dovrebbe destare interesse, soprattutto per approfondire le sfumature del pensiero e del modo di porsi di papa Francesco di fronte alla realtà. Il titolo dell' articolo in cui padre Diego Fares presenta il testo è 'Interpretare la realtà', ma l' originale titolava 'Los parches existenciales; los parches lógicos, y las categorias de interpretación de la realidad', cioè 'I rattoppi esistenziali; i rattoppi logici, e le categorie di interpretazione della realtà', dove parches sta a indicare gli aggiustamenti o anche, letteralmente nello spagnolo sudamericano, le 'toppe', i 'cerotti'.
Bergoglio parte citando un articolo del pensatore uruguaiano Methol Ferré ('La Iglesia, el Minotauro y los Socialismos', in Nexo, 14 dicembre 1987) in cui si criticavano i «cristiani marxisti» denunciando l' inutilità di categorie ideologiche obsolete e proponendo di risalire al socialismo cristiano secondo la nuova prospettiva del «popolo di Dio» aperta dal Concilio. Di qui, il gesuita risale alle coordinate di fondo di una personale «ipotesi » sull' interpretazione della realtà, attuando una ricognizione di alcuni punti fermi in un testo denso proprio perché punto di partenza di una rielaborazione. Condensata in poche righe abbiamo un' idea in cui rintracciamo già molti sviluppi del pensiero di Bergoglio: «I princìpi interpretativi di una realtà devono essere ispirati dalla realtà stessa, così com' è. La realtà che è interpretata e la realtà di chi interpreta. Qui vale, in qualche modo, l' ad modum recipientis, ma al rovescio: ad modum develantis ». Sembra di ascoltare papa Francesco, soltanto con un lessico diverso. Il suo pensiero aperto al disvelarsi del reale, che pensa la realtà come superiore all' idea, è già annunciato in queste poche righe. Allora come oggi, Bergoglio invita a tornare alla realtà nel suo rivolgersi a noi in un possibile incontro. Infatti per lui, sempre in questo testo, «ogni realtà ha, in sé, il suo modo di svelarsi, che nasce dalle potenzialità stesse che le sono insite. Si svela in consonanza con ciò che è. È, senza dubbio, 'essere', e si svela come 'essere', ma è 'essere tale', 'essere qui', 'essere ora', 'essere per', e pertanto si svela come tale, qui, ora, per».
Alla luce di questa impostazione, proseguendo nel testo, Bergoglio ritorna sulle categorie inadeguate per interpretare la realtà che Ferré proponeva di superare, cioè su quei «rattoppi» da cui la realtà «trabocca», eccede irriducibilmente. Ne individua tre in particolare: l' ideologia, la fenomenologia e la gnosi. Rispettivamente: la proiezione dell' idea sulla realtà, la mera descrizione della realtà senza trascendenza, l' immanentismo strutturalmente panteista. Tutte e tre sono sempre superate, «colmate» da un «traboccamento» della realtà del «fatto storico, politico, religioso», che fa sempre «progressi». Questa strutturale irriducibilità ed eccedenza della realtà rispetto a ogni interpretazione pone quest' ultima in una posizione dialogica, cioè bidirezionale, interattiva, con la realtà stessa: c' è un «chi coglie questo svelarsi» di fronte a un «chi si svela». Di qui una conclusione personale di Bergoglio, che per esprimere questa eccedenza tematizza la necessità di superare la dimensione puramente concettuale andando verso quella poetica. Infatti il pensiero concettuale manca di «una certa apertura di chi conosce a lasciarsi 'toccare', 'impressionare' dalla realtà stessa, così com' è».
C' è bisogno dunque di altre «forme di espressione », come «l' antinomia», tipico concetto guardiniano, e insieme «la parabola, il mito». A proposito osserva come «in fondo a ogni parabola e mito c' è un' antinomia, una tensione»: la tensione polare del filosofo Guardini che proprio in quegli anni Bergoglio aveva studiato è in realtà il mistero interno di ogni racconto, di ogni epos. Un mistero paradossale che nel superare il concetto non cade in romantici estetismi, non si appiattisce nella pura intuizione: «Si esplicita una realtà per mezzo di un linguaggio che non è né meramente concettuale né meramente intuitivo», cioè «in senso etimologico, è poetico: dev' essere creatore dell' esplicitazione, di un modo di esplicitazione che comprenda sia il concetto sia l' intuizione che lo hanno avvicinato all' apprensione della realtà». È nota la sensibilità letteraria di Francesco. La creatività è per lui il punto cruciale dell' incontro con la realtà, nella quale si rende giustizia della sua concreta irriducibilità e compresenza di concetto e intuizione. Tornano in mente quei laboratori di scrittura creativa che nel 1964-65 Bergoglio aveva organizzato a Santa Fe, da giovane maestro di letteratura e psicologia, coinvolgendo addirittura Jorge Luis Borges. Con il già famoso scrittore Bergoglio condivideva probabilmente un amore per il paradosso interno a ogni creazione e a ogni creatura. Un paradosso che non giunge a nessun equilibrio statico, e che resta aperto, teso. La chiave di volta ermeneutica che gli appunti del 1987-88 abbozzano con precisione schematica è allora la «consonanza» fra realtà e conoscenza di essa, fra intuizione e concetto, nel sempre eccedente riferimento a una realtà che «si manifesta e impone la sua realtà all' apertura dell' intelletto conoscente». È già l' inizio del pensiero aperto di Francesco. (Avvenire)
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