Santa Caterina da Siena patrona d'Italia insieme a San Francesco
Il saluto del Custode fra Marco Moroni a Siena
Il Signore vi dia pace!
È questo il saluto che Francesco d’Assisi chiedeva ai suoi frati di donare a quanti incontravano. È lo stesso saluto, che è insieme un augurio, che rivolgo a voi, sorelle e fratelli tutti, a nome della fraternità del Sacro Convento di Assisi che ha l’onore di custodire le spoglie di quell’uomo di Dio che condivide con Caterina da Siena il titolo di patrono d’Italia.
Sono molti gli elementi di somiglianza tra questi due santi: il grande amore a Cristo, la profondità della preghiera, la predilezione per i poveri e gli svantaggiati, il coraggio della parola franca – ma al contempo sempre rispettosa – anche nei confronti di chi detiene una forma di potere, civile o religioso che sia, e rischia di servirsene per affermare sé stesso e non – viceversa – per servire. C’è poi un’altra particolare affinità tra Caterina e Francesco: lo spirito di pace e la mediazione per la riconciliazione tra città, istituzioni, famiglie e persone divise dall’odio, dalla sete di rivincita, dalla competizione che è brama di annientamento dell’altro. Diversi sono gli episodi e gli aneddoti che di Caterina e di Francesco si potrebbero raccontare da questo punto di vista, ma non voglio soffermarmi su di essi.
Vorrei piuttosto sottolineare come – sia nel caso di Caterina sia in quello di Francesco – il desiderio di pace e l’invito ai rivali a compiere gesti di riconciliazione abbia una radice autenticamente e profondamente religiosa, di fede.
Rivolgendosi a coloro che detengono il potere e che quindi più di altri possono agire per la pace, i due santi non si soffermano a dare consigli di tipo diplomatico o politico come li intenderemmo oggi, ma propongono piuttosto la stessa via, lo stesso itinerario, quello della conversione e della fedeltà all’unico Signore. Francesco scrive nella “Lettera ai reggitori dei popoli”: «Considerate e vedete che il giorno della morte si avvicina. Vi supplico perciò, con tutta la reverenza di cui sono capace, di non dimenticare il Signore, assorbiti come siete dalle cure e preoccupazioni di questo mondo, e di non deviare dai suoi comandamenti». E Caterina a sua volta: «piuttosto dobbiamo eleggere di perdere le cose temporali e la vita del corpo, che le cose spirituali e la vita della grazia…».
Il sostegno a tutto questo è la vita sacramentale: anche qui troviamo una assonanza assai sorprendente e significativa. Dice Francesco: «Perciò io con fermezza consiglio a voi, miei signori, che, messa da parte ogni cura e preoccupazione, riceviate volentieri il santissimo corpo e sangue del Signore nostro Gesù Cristo in sua santa memoria», mentre Caterina invita ad adorare il «dolcissimo Sangue (di Cristo)… nel quale si spegne ogni odio e guerra… si pacifica il cuore e l’anima».
In questo modo per i due santi potranno crescere nei singoli e nelle società le virtù di chi può farsi operatore di pace: una giusta valutazione di sé, l’umiltà, la pazienza, la misericordia…
Noi oggi, con la stessa mentalità dei nostri contemporanei, potremmo forse non ritenere sufficienti queste indicazioni, potremmo addirittura restarne delusi, perché non hanno un’immediata ricaduta pratica, non prospettano soluzioni politicamente “spendibili”, produttive ed efficaci, anzi possono apparirci ingenue e troppo “devote”.
Dovremmo provare piuttosto a ribaltare la questione: pensando ai loro risultati e agli strascichi di ingiustizia e di morte che si portano appresso, non sono forse ingenue e poco efficaci le operazioni belliche, la corsa agli armamenti, la crudeltà insita nell’uccisione anche di un solo uomo, civile o militare che sia?
Le vie tracciate da Caterina e Francesco rappresentano di fatto l’unica concreta possibilità per “vincere la pace” e non semplicemente per vincere una guerra. Piuttosto, se c’è una guerra da vincere, da parte dei singoli e delle società, è quella contro il proprio orgoglio, la propria cupidigia, la prepotenza e il bisogno di affermazione che sempre tentano il cuore dell’uomo.
Solo così, imparando gli stessi atteggiamenti che furono di Cristo crocifisso, colui che «svuotò sé stesso assumendo una condizione di servo… e si fece obbediente fino alla morte» (Cf Fil 2,7-8), potremo adoperarci per realizzare un mondo dove «misericordia e verità si incontreranno, giustizia e pace si baceranno» (Sal 85).
fra Marco Moroni
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