esteri

Tra Camerun e Nigeria il dramma di una lunga guerra

Luca M. Possati UNHCR/ACNUR Américas Flickr
Pubblicato il 20-11-2020

Conflitti intrecciati, con ragioni di territorio,cultura ed etnie

Migliaia di civili innocenti uccisi o costretti alla fuga, famiglie distrutte, bambini privati dei beni più importanti: la stabilità, l’istruzione, il futuro. Negli ultimi undici anni una guerra lenta ma feroce ha segnato profondamente le regioni al confine tra Camerun e Nigeria. Quel che è peggio è che in realtà non si tratta di una sola guerra, ma di due conflitti intrecciati, ognuno dei quali con ragioni legate al territorio, alla cultura locale e alle dinamiche etniche. Nel nord del Camerun le forze governative stanno combattendo contro i terroristi di Boko Haram, le cui operazioni si sono intensificate a partire dal 2009 molti dicono grazie all’aiuto di intelligence straniere. Maroua, capoluogo della provincia nord del Camerun, dista poche centinaia di chilometri da Maiduguri, una delle città nigeriane più colpite dai jihadisti. Oltre 430.000 civili nigeriani e camerunensi sono stati costretti a lasciare le proprie case per cercare la salvezza da una parte o dall’altra del confine. La tensione è aumentata alla fine del 2019 dopo la brutale uccisione di dieci cristiani da parte della Provincia dell’Africa Occidentale dello Stato islamico, un ramo di Boko Haram.

Ogni settimana, nella zona della diocesi di Maiduguri, in centinaia attraversano il confine verso il Camerun. Altrettanti dal Camerun fanno lo stesso, ma in direzione opposta. Il caos è totale. Nel 2015, nell’area di Minawao, è stato allestito un campo sul lato del confine camerunense per ospitare 7.000 profughi nigeriani. La diocesi di Maiduguri ha costruito una cappella nel campo e ha inviato un sacerdote per fornire assistenza quotidiana. Il campo ospita sfollati camerunensi e nigeriani. Il vescovo Bruno Ateba, responsabile della diocesi di Maroua-Mokolo, dove è stato costruito il campo, e il vescovo Oliver Doeme, responsabile della diocesi di Maïduguri, sono in prima linea nel fornire aiuto e conforto. «Boko Haram è come le bestie dell’Apocalisse, come un’Idra dalle tante teste. Appena gliene tagli una, ne ricresce immediatamente un’altra» dice Ateba. «Non passa giorno in cui non vi sia notizia di nuovi attacchi e incursioni dei terroristi dalla frontiera tra Camerun e Nigeria». Il campo di Minawao è come una “terra di nessuno” dove le persone possono sentirsi al sicuro, ricevere cibo e acqua potabile, e usare servizi igienici adeguati. I bambini, inoltre, possono andare a scuola e accedere a un’istruzione di base. Domenica 21 settembre si è svolta una grande celebrazione eucaristica nelle due lingue parlate dai rifugiati: Hausa e Fulfulde. È stato un momento di pace e riconciliazione.

Nel sud est del Camerun, sempre al confine con la Nigeria, si combatte invece un altro conflitto, altrettanto sanguinoso. È il conflitto che oppone le minoranze anglofone al governo centrale di Yaoundé. Tutto è iniziato nel 2016 con manifestazioni di avvocati, insegnanti e studenti che chiedevano di mantenere i curricula inglesi nelle regioni anglofone. Il governo ha risposto con la forza scatenando una serie di reazioni incontrollabili, alimentate da storiche rivendicazioni di autonomia. Il conflitto ha visto una pericolosa escalation nel 2017, quando le regioni anglofone hanno proclamato l’indipendenza annunciando la nascita di un nuovo stato: l’Ambazonia. Oltre 3.000 civili sono stati uccisi negli scontri finora. Più di 2 milioni hanno bisogno di assistenza umanitaria. Si contano oltre 700.000 sfollati interni ed esterni. Più di 855.000 bambini - secondo i dati Unicef - sono stati privati dell’istruzione; l'80% delle scuole nelle regioni anglofone sono state chiuse e quasi 150.000 minori sono stati costretti a lasciare tutto e fuggire in Nigeria. Una tragedia che si consuma lontano da riflettori della stampa internazionale, e di cui il terrorismo sta approfittando.

In questo contesto l'arcidiocesi cattolica di Calabar, nello stato di Cross River, e la diocesi di Makurdi, nello stato di Benue, entrambe in Nigeria, stanno rispondendo ai bisogni dei rifugiati. In queste aree, soprattutto nel Cross River, la povertà è dilagante. Decine di camerunensi arrivano qui senza nulla e non sanno a chi affidarsi. Le diocesi fanno fronte alla situazione attraverso la Catholic Caritas Foundation Nigeria (CCFN), la Justice Development Peace Commission (JDPC) e la Fondazione per lo sviluppo della giustizia e la pace (FJDP). Tuttavia, le violenze dilagano giorno dopo giorno e stanno sempre di più interessando le regioni nigeriane al confine.

I vescovi della Conferenza episcopale provinciale di Bamenda, la zona del Camerun dalla quale proviene la maggioranza dei rifugiati, hanno lanciato un appello per fornire aiuti ai rifugiati. «La crisi socio-politica nel nostro paese è stata causata soprattutto dallo spostamento delle persone in fuga dalle violenze; alcuni sono rifugiati in regioni molto lontane in Nigeria. Al momento non vediamo alcun progresso e potremmo dover gestire la crisi ancora a lungo» afferma il vescovo George Nkuo, responsabile della diocesi di Kumbo. L’unico punto di riferimento in tutto questo — dicono i vescovi — è il messaggio della Pacem in Terris: l’appartenenza comune alla famiglia umana, il richiamo al dialogo, al negoziato, alla pace, e il diritto alla libertà di movimento. (Vatican News)

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