Salvate il soldato Aytac
L'Europa deve salvare il giovane avvocato se vuole essere credibile sulla tutela dei diritti umani
Mettiamola così: se l’Europa, questa comunità che si vuole fondata su valori democratici e liberali, sarà in grado di strappare alla morte uno, almeno uno, degli avvocati turchi impegnati in un inesorabile sciopero della fame, allora la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione non sarà solo stucchevole retorica.
Uno, almeno uno: come il 32enne Aytac Ünsal, condannato a 10 anni e 6 mesi, ora nell’ospedale Kanuni Sultan Süleyman di ?stanbul. Ünsal ha iniziato lo sciopero della fame il 2 febbraio scorso insieme alla collega Ebru Timtik, 42 anni, che ha finito di vivere cinque giorni fa, dopo 238 giorni di digiuno.
Entrambi appartenenti allo Studio legale del popolo, erano stati condannati il 20 marzo 2019 (sentenza confermata in appello) insieme a numerosi colleghi a seguito di un dibattimento che non ha rispettato alcuna delle garanzie proprie di uno stato di diritto.
Un “processo farsa”, come è stato definito da osservatori internazionali, che ha visto giudici sostituiti d’autorità, testimoni anonimi e non sottoposti a controinterrogatorio, e l’accusa trasformare l’ordinaria attività di assistenza legale in materia di reato e fattispecie penale. Per protesta contro questa sentenza iniqua, Aytac Ünsal ed Ebru Timtik hanno intrapreso lo sciopero della fame, proseguendolo anche dopo che altri sei avvocati lo avevano sospeso per gravi motivi di salute; e dopo che il 29 luglio l’Istituto di medicina legale aveva dichiarato l’incompatibilità delle condizioni psicofisiche dei digiunatori con la detenzione in carcere, il trasferimento dei due avvocati in un reparto ospedaliero si è risolto in un ulteriore peggioramento del loro stato di salute: clima gelido a causa dell’aria condizionata, luce sempre accesa, finestre serrate. Ma tutto ciò non ha fiaccato la loro volontà di resistenza. Lungo i tornanti più erti della storia individuale e collettiva, si danno circostanze che impongono scelte estreme. Come quella che, per affermare la vita e la sua irriducibilità ai dispotismi di ogni natura, porta a considerare la morte come un’occasione di liberazione. Accade così che la sovranità sul proprio corpo passi attraverso la più inerme esposizione alla violenza di chi, quella sovranità, vuole mortificare. In altre parole, per affermare la dignità della vita può diventare necessario accogliere la morte.
Questa sembra essere la sorte di Aytac Ünsal, se non gli verrà resa giustizia. Da parte del presidente Erdogan e delle autorità politiche e giudiziarie turche non si è manifestata la più esile disponibilità a un gesto di conciliazione e, al contrario, si sono moltiplicati i segnali (e i concretissimi atti) di una ancor più crudele repressione.
E i Paesi democratici e gli organismi internazionali? Per carità di patria, qui si tace dell’Italia, ma a colpire, in particolare, è l’afasia dell’Europa. Eppure sono in gioco, palesemente, il patrimonio di credibilità dell’Unione e il suo sistema di valori.
La Turchia è Europa per mille ragioni storiche, culturali e geo-politiche. Non fa parte dell’Unione, delle sue istituzioni e dei suoi organismi, ma la rete di rapporti e di interessi comuni è fitta e robusta. Si pensi solo all’enorme massa di risorse economiche che la Turchia riceve dall’Unione Europea per “contenere” all’interno dei propri confini (e in condizioni spesso disumane) centinaia di migliaia di migranti e profughi. E si pensi al ruolo crescente che il regime di Erdogan va conquistando all’interno dello scenario mediorientale e, in specie, di quello libico.
Dunque, le autorità europee, se lo volessero, potrebbero esercitare — proprio in ragione di quei molti legami — una funzione di concreto controllo sugli standard di tutela dei diritti umani in quel Paese, e non limitarsi a deprecare.
L’occasione è questa, e si presenta ora con una vividezza quale forse mai in passato. Se l’Europa non sarà in grado di strappare al regime di Erdogan e alla morte annunciata almeno questo giovane avvocato, tutte le sue nobili parole si riveleranno carta straccia: e il suo intero discorso pubblico sui diritti umani apparirà come una miserevole ideologia.
Cari amici la rivista San Francesco e il sito sanfrancesco.org sono da sempre il megafono dei messaggi di Francesco, la voce della grande famiglia francescana di cui fate parte.
Solo grazie al vostro sostegno e alla vostra vicinanza riusciremo ad essere il vostro punto di riferimento. Un piccolo gesto che per noi vale tanto, basta anche 1 solo euro. DONA