La nostalgia degli imperi
Il 'caso' del Nagorno-Karabakh
Osserviamo il Nagorno-Karabakh. Osserviamolo tutti e attentamente, perché in nessun' altra parte del mondo come in questo microterritorio di tutte le passioni religiose, culturali e nazionali si vede con tanta chiarezza la profondità dell' evoluzione di un mondo divenuto così assolutamente improbabile.
Nel Nagorno-Karabakh, l' Azerbaigian è riuscito a prendere il sopravvento grazie alla Russia, la Turchia e Israele, cioè grazie a tre Paesi che quasi tutto separa: eppure la convergenza dei loro interessi è stata tale che l'Armenia ha perduto questa battaglia. È contro Recep Tayyip Erdogan, Vladimir Putin e Benjamin Netanyahu che gli armeni hanno perso: ma perché?
Per quel che riguarda la Turchia, è evidente. Fornendo all'Azerbaigian armi e ausiliari provenienti dalla Siria, Erdogan è volato in soccorso di un Paese di religione islamica, con una lingua molto vicina a quella turca e una storia intimamente mescolata con quella dell' Impero Ottomano, a cui era stato incorporato in due occasioni. Il presidente turco in questo modo si è affermato come protettore dell'umma , la comunità dei credenti, e come il nuovo capofila dell' islam rinascente in concorrenza con l'Arabia Saudita, un ruolo che era stato interpretato tradizionalmente da un impero scomparso di cui lui è l'erede. Per Erdogan, sostenere l'Azerbaigian è come tornare a fare di Santa Sofia una moschea, è come contestare il limite delle acque greche o approfondire le divisioni di Cipro. È un nuovo modo di proclamare un "ritorno" della Turchia un secolo dopo che la fine della Prima guerra mondiale l'aveva ridotta al territorio attuale. Niente di sorprendente, dunque, nel fatto che il "sultano" abbia attivamente aiutato gli azeri a preparare la loro riconquista del Nagorno-Karabakh.
Ma la Russia? Come si spiega che questo protettore storico dell'Armenia cristiana abbia scelto di chiudere gli occhi sui preparativi dell'offensiva azera contro il suo alleato? Come si spiega che Vladimir Putin non solo non abbia stroncato sul nascere questa riconquista del Nagorno-Karabakh, ma non abbia nemmeno, per così dire, aiutato l'Armenia prima di imporre un cessate il fuoco che ratifica a questo punto la vittoria dell' Azerbaigian? Dal punto di vista della ragion di Stato è incomprensibile, ma lasciando infliggere una sconfitta tanto crudele a un bastione dell'influenza russa nel Caucaso, Putin aveva un obbiettivo: voleva indebolire il primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, colpevole di aver sfruttato una rivolta popolare, nel 2018, per arrivare al potere, spodestando un protetto del Cremlino. Pashinyan oggi è contestato dalla piazza e dall' opposizione, che gli rimproverano di aver dovuto accettare la perdita della maggior parte del Nagorno-Karabakh, territorio dell' Azerbaigian per il diritto internazionale, ma storicamente armeno, e da dove gli armeni avevano cacciato gli azeri con la forza dopo lo sgretolamento dell' Unione Sovietica. Il calcolo del Cremlino è stato giusto, perché in questo modo Putin, confrontato a una grave crisi economica, a una situazione di stallo in Ucraina e a gravi difficoltà in Bielorussia, ha ricordato al suo "estero vicino" e ai russi stessi che chi lo sfida lo fa a suo rischio e pericolo. Insomma, non è più sorprendente dell' atteggiamento di Erdogan.
Ma Israele? Perché gli israeliani hanno fornito all' Azerbaigian i droni che hanno deciso l' esito di questa guerra quando le relazioni tra Israele e Turchia sono diventate pessime e i genocidi subiti dagli ebrei e dagli armeni dovrebbero creare una solidarietà fra lo Stato ebraico e l' Armenia? La ragione in questo caso è che la priorità di Israele è di avvicinarsi al maggior numero di Stati musulmani possibile e che l'Azerbaigian non è in buoni rapporti con il suo vicino iraniano, il più grande avversario di Israele. In questa crisi, l'Armenia è stata anche la vittima collaterale del grande gioco che oggi fa convergere Israele e gli Stati sunniti, accomunati dal timore per l' Iran, e che sta ridisegnando il Medio Oriente, e adesso anche i suoi margini caucasici. È evidente che non sono più i blocchi dell' altro ieri che fanno la storia. E non è nemmeno la contrapposizione fra dittature e democrazie, o anche semplicemente fra gli occidentali e gli altri. No, è la nostalgia dei territori perduti e la volontà di resurrezione degli imperi sconfitti, la competizione tra potenze regionali, l' impotenza crescente delle grandi potenze e di conseguenza il caos montante della scena internazionale. (La Repubblica, traduzione di Fabio Galimberti)
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