cronaca

SPECIALE TERREMOTO: LA NOSTRA GENTE, FERITA AL CUORE

Enzo Fortunato Roberto Pacilio
Pubblicato il 30-11--0001

Chiese ferite dal terremoto del centro Italia. Mai un terremoto aveva distrutto così tanti luoghi religiosi. ECCO COME RICEVERE LA NOSTRA RIVISTA

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Santa Maria, San Benedetto, Santa Rita, San Salvatore, San Francesco... Non è una litania di santi, ma l'elenco delle chiese ferite dal terremoto del centro Italia. Mai un terremoto aveva distrutto così tanti luoghi religiosi. Don Marco Ruffini, parroco di Norcia, ci mostra la cattedrale sventrata con il pensiero alla sua gente che rischia di abbandonare per sempre queste terre. Poi si riprende: "la gente dell'Appennino ha la pelle dura è un tutt'uno con la terra, la montagna e la natura che li circonda". Ecco perché in ogni frazione ci sono gli "irriducibili" che non vogliono abbandonare il loro paese che conserva i ricordi. I ricordi di una vita.  E' proprio Luca Cari, responsabile Comunicazione Emergenza dei Vigili del Fuoco, che ci accompagna tra le macerie della città di San Benedetto a farci notare come "anche il recupero di una foto diventa importante per lenire il dolore di chi ha perso tutto".


Prosegue il nostro cammino e con Don Marco, prima di recarci a San Pellegrino ci fermiamo davanti alle chiese di Santa Rita e San Francesco. Ritornano parole antiche e nuove che rivoluzionarono la vita della Chiesa e che ora diventano  un imperativo: "va e ripara la mia casa che come vedi è in rovina".



Giunti nella tendopoli di San Pellegrino veniamo accolti dalla popolazione. Trenta persone, per lo più anziani. Ti  accorgi come il nostro Paese è fatto di gente buona, ruvida e genuina che dalle Alpi alla punta dello stivale "accudisce" l'Italia. Ci sediamo per condividere un pasto frugale, francescano. Ascolti paure e preoccupazioni. "Venti anni ci vorranno per far rinascere questo paese, troppa burocrazia rallenta tutto, ma non molliamo" così ci dice Pietro tra un boccone e l'altro e con uno sguardo al tempo che minaccia pioggia. Tutti mangiano velocemente, gli animali e i campi attendono. Devono essere "coccolati", accuditi e soprattutto devono ritornare a fiorire. Così Castelluccio, città fantasma che intravediamo da lontano dove vennero girate alcune delle immagini del film di Zeffirelli 'Fratello sole, sorella luna'. Ed io faccio fatica a dire "madre terra"



La zona della Valnerina è blindata tra macerie, frane e voragini ovunque. Ci  spingiamo verso Magione dove sono state trasferite molte persone da Norcia. Il paesaggio ci lascia senza fiato. Squarci nella terra e nelle montagne ricordano la potenza e la forza della natura. I nostri occhi non riescono a staccare lo sguardo dal finestrino. Ed è qui che scopriamo la vera forza di questa gente: chi lavora la terra, chi accudisce le mucche, chi è intento a pascolare con il suo gregge e chi prova a far ripartire le proprie aziende.



Norcia, Preci, Ussita, Arquata, Castelsantangelo sul Nera, Castelluccio, San Pellegrino, Amatrice, Accumoli non sono solo una lista di paesi che questa gente, la nostra gente, rammenta ma l’Italia piagata nel cuore. C’è paura e speranza, disorientamento e voglia di ricominciare negli occhi di chi incontri. Hanno perso tutto. Entro in uno dei tanti hotel del lago Trasimeno che in questi mesi dà accoglienza ai fratelli terremotati. Seduti, intenti a parlare tra loro, incontro Ilda e Benedetto di 86 anni con la figlia Sabrina. Mi inginocchio per parlare con loro mentre lascio delle coroncine benedette. Le stringono a sé, le baciano, ripongono lì speranze e desideri. La fede come ultima fortezza.



Raccontano di quel giorno, del boato e dicono colmi di emozione “dobbiamo ricostruire Norcia o perderemo la nostra identità”. La forza che esce dai loro volti segnati dalle lacrime ti fa sentire fragile. Stringo le loro mani e prego “andrà tutto bene”. Qui sono 83 tra loro Cherubino detto Primo di 82 anni e la moglie Elvira di 78. Lui norcino in pensione, lei casalinga da sempre. Prendiamo un caffè e iniziano a parlare di “Norcia. La bella Norcia. E’ una settimana che siamo qui – racconta  Elvira con la voce rotta dalle lacrime – ma sembra ieri”.



Troppa emozione, troppo dolore per lei che decide di far parlare Primo: babbo, nonno, nato e cresciuto a Norcia che di terremoti ne ha visti quattro. “Come questo mai. E’ stato il più forte. Ricordo quelli del 1971 e del 1979 che ci distrussero casa. Poi quello del 1997. E ora questo. Siamo scappati lasciando tutto. Il terremoto ci ha distrutto. A quando la normalità? Noi vogliamo tornare a Norcia, la nostra terra è quella”. Ma gli occhi diventano lucidi e il cuore si stringe perchè sanno che non la vedranno più.



Al momento della scossa del 30 ottobre erano a letto “è stato come una bomba. Poi la terra ha tremato e ci ha buttato giù”, dice Elvira. Ogni frase che ricorda quel drammatico giorno è seguita da istanti interminabili di silenzio che pesano come un macigno. “Le figlie hanno paura di tornare a casa, ma Norcia è la nostra terra” ripete Primo. Gli chiedo quale sia il loro pensiero: “vorrei ritornare su anche per vedere con i miei occhi quello che è successo”. Mi ripete più volte “non ci rendiamo conto, quello che sappiamo ce lo dice la televisione”.



In tanto dolore Primo ed Elvira trovano la forza di ringraziare chi ora li sta aiutando. E' per tutti una lezione di vita, è la nostra gente, i nostri fratelli terremotati. “Qui stiamo benissimo. Ci trattano con grande generosità, sono persone impagabili. Le persone del posto ci vengono a trovare, ci hanno rivestito”. Abbraccio Elvira che non riesce a trattenere le lacrime e singhiozzando: “non abbiamo più niente. Non riusciamo nemmeno a dormire la notte”. Mentre parliamo arriva una famiglia con loro la figlia che incuriosita si avvicina. Li porto con me. Tutti con me nella preghiera sulla tomba di san Francesco.    

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