cronaca

L'abbraccio di Brindisi all'Albania, 30 anni dopo

Valeria D'Autilia Ansa - Andrea Di Liberto
Pubblicato il 15-03-2021

Il ricordo del sindaco di allora: 'Aprimmo le porte a un esercito disperato e in fuga: feriti, sporchi, denutriti'

«Hanno rotto gli argini del porto e sono usciti. Si sono riversati in città. Stiamo mandando pattuglie a chiudere tutti i bar e gli alimentari». La comunicazione gli arriva all' improvviso. Lui è sindaco di Brindisi da pochi mesi. Non sa che sta per attraversare un pezzo di storia. Deve decidere in fretta. «No, facciamo il contrario. Apriamo tutto, dobbiamo farli mangiare». Con i suoi 37 anni, Giuseppe Marchionna sceglie la strada del cuore. È il 7 marzo del 1991 quando la città si sveglia attraversata da migliaia di albanesi in fuga. «Feriti, sporchi e denutriti. Qualcuno aveva la scabbia» come ricordano i tanti testimoni di quell' esodo. Profughi scappati dalla povertà e dalla dittatura. «Non abbiate paura, hanno solo fame e freddo. Aiutateli, vi saranno riconoscenti». In ogni casa, riecheggia il messaggio di palazzo di Città. Tutte le radio locali trasmettono l' appello, ogni quarto d' ora. «Volevo che i miei concittadini si orientassero verso l' accoglienza e non il pregiudizio» ricorda oggi Marchionna a trent' anni da quella data. «All' epoca le radio erano come i social di oggi. E soprattutto le casalinghe seguivano le trasmissioni». È a loro che si rivolge. «Passarono alcune ore, le più difficili della mia vita. Avevo il terrore che potessero scoppiare tafferugli. Una discussione anche per una sciocchezza sarebbe diventata una guerra incontrollabile. Ho trascorso quei giorni senza mangiare né dormire. Arrivarono anche altri mercantili. In tutto 27mila persone. Ed erano disperate». Qualcuno, alla vista della costa, si lancia in mare. Gli ultimi metri a nuoto, con le ultime forze rimaste.

Il centro della solidarietà arriva dalle periferie. All' ora di pranzo, dalle finestre dei quartieri popolari, la gente lancia sulla folla buste di plastica con cibo e abiti usati. Brindisi aveva risposto. «Quella stessa sera decisi di usare le scuole per dare a tutti un posto caldo. Non avevamo brandine e dormivano a terra, ma almeno avevano un tetto. Ricordo la pioggia e la tramontana che sferzava sulla città». Anche le fabbriche dell' area industriale si mobilitano. «Chiesi alle mense aziendali di aumentare la produzione, riuscimmo ad aggiungere oltre 3mila pasti». E si attrezzano anche le famiglie brindisine. «Anzichè mezzo chilo di pasta al sugo, ne fecero 3, anche 5. Sia a pranzo che a cena, le massaie arrivavano nelle scuole con pentoloni caldi». La solidarietà era stata più forte della diffidenza. Molti aprono anche le porte di casa, soprattutto agli albanesi con bambini piccoli. Finalmente possono lavarsi e indossare abiti puliti. Nel frattempo, tutta la macchina dei soccorsi e del volontariato è in prima linea.

«Furono cinque, lunghissimi, giorni. Nel silenzio e nell' assenza del governo. Ce la vedemmo da soli, ma non potevamo reggere ancora per molto in quella situazione. L' esercito arrivò soltanto dopo, allestendo le tende da campo. Queste persone erano davvero in condizioni spaventose, sembravano degli zombi. Poi si muovevano in gruppo e questo faceva paura, ma dovevamo evitare che la gente si barricasse, pensando di essere in pericolo». Marchionna sapeva perfettamente che, tra loro, potevano esserci anche criminali. Il rischio maggiore erano possibili scontri tra la malavita locale e i rifugiati più facinorosi. «In quegli anni Brindisi era la città del contrabbando di sigarette, avevamo un' economia sommersa spaventosa. Temevo che in ogni momento potesse accadere qualcosa». Tutto era emergenza. Anche le famiglie che, involontariamente, erano state separate e sistemate in scuole diverse. «Avevamo diviso i mariti dalle mogli, i genitori dai figli. E allora la radio ci venne di nuovo incontro: chiamammo quei pochissimi albanesi che conoscevano l' italiano e così, con il loro aiuto, riuscimmo a fare il ricongiungimento familiare».

Brindisi ricorda quei giorni con orgoglio. Al porto, una targa nel punto dello sbarco è un invito all' accoglienza. «Uniti dallo stesso mare» si legge da sabato scorso in quello che è stato rinominato «Portico degli albanesi», in occasione del trentennale. Da queste parti nessuno ha voglia di dimenticare. Al punto che il primo ministro dell' Albania Edi Rama, in Puglia per le celebrazioni, ha annunciato di voler istituzionalizzare il 7 marzo, immaginando che- ogni anno- una delegazione del Paese delle Aquile possa tornare «per dire grazie». E poi l' idea di un Museo della memoria per far conoscere ai più piccoli quello che hanno fatto nonni e genitori. Da Rama un pensiero anche per Marchionna: «Quello che all' epoca era un ragazzo, ci ha messo un giorno a diventare il simbolo della libertà del nostro popolo». Quattro anni fa ha ricevuto la cittadinanza onoraria di Valona e l' emozione è ancora viva. «Persone che mi abbracciavano- ricorda Marchionna- e ringraziavano. Ci conoscono, hanno scolpito nella memoria la mia faccia. Per loro siamo stati l' approdo verso una nuova vita». E ora che quei profughi hanno messo radici, parlano il dialetto brindisino e sono diventati padri di famiglia, condividono con la gente del posto l' amarezza di un riconoscimento mai arrivato. «Una medaglia d' oro al valor civile della Repubblica italiana- ricorda quel vecchio giovane sindaco- che abbiamo chiesto, ma senza risposta. Pazienza. La nostra unica medaglia resta l' omaggio del popolo albanese: nel loro cuore siamo i fratelli che li hanno aiutati mentre stavano per morire». (La Stampa)

 

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