Il progetto in periferia a Torino tra riqualificazione e inclusione
L’obiettivo è andare in aiuto di persone con disagio psichico e rigenerare una delle aree più critiche della città
A Torino la riqualificazione urbana e sociale della sua suburbia più difficile passa per una cooperativa sociale, un laboratorio di cosplay, un Parco del fantastico, un Museo della fantascienza e una canzone di David Bowie. Potrebbero sembrare elementi avulsi l’uno dall’altro, ma non è così: ciascuno di essi compone, infatti, un grande e ambizioso progetto che intreccia cura, formazione professionale, creatività, tecnologia e partecipazione (e che non vede l’ora di ripartire dopo essersi attrezzato per la pandemia). Il suo nome è Loving the alien, proprio come il brano di Bowie, ed è stato creato dallo psicologo Davide Monopoli insieme con Silvia Casolari – direttori del Mufant, il Museo del fantastico e della fantascienza di Torino – e un altro psicologo, Antonello Raciti, vicepresidente della coop sociale Altra Mente, allo scopo di favorire l’inclusione di persone con disagio psichico attraverso laboratori di costumi, cosplay e scenografie e la rigenerazione di una delle aree più critiche della città: la periferia nord. Cofinanziato dalla Ue, il progetto interpreta le azioni di cura in un senso molto ampio: non solo assistenza e lavoro manuale ma anche produzione di arte e di cultura e, inoltre, attuazione di interventi urbani collettivi, grazie ai quali contrastare il degrado delle periferie e renderle più attrattive.
«Meno aliene, potremmo anche dire, perché le periferie sono sentite come un 'Altrove' da chi vive al centro: ciò vale anche per le persone con disabilità psichica, erroneamente avvertite dai 'normodotati' come 'Alieni'», spiega Davide Monopoli, che nell’ex quartiere operaio a nord del capoluogo sabaudo vive e lavora. Considerato una sorta di touch-point tra le diverse anime di Loving the alien – «sono impegnato sia in Altra Mente e sia nel Mufant, due realtà che condividono l’amore per l’ 'Alieno' e l’ 'Altrove'» – , Monopoli racconta con entusiasmo quanto è stato fatto in questi anni. «Dal 2018, grazie a bandi promossi dalla Città di Torino nell’ambito dei progetti di innovazione sociale Pon Metro 2014-2020, Torino Social Factory, Co-City Torino e AxTo, abbiamo costituito due laboratori artigianali di costumi e scene, in ciascuno dei quali lavorano cinque unità (due tecnici e tre persone con disagio psichico provenienti da gruppi appartamento e da comunità del territorio) opportunamente formate: creano costumi, scenografie e teche espositive per il Mufant e per piccole realtà culturali della città. Qualcuno ha pure fatto strada», continua lo psicologo: «Marco, per esempio, ha cominciato con noi, poi si è iscritto alle Scuole tecniche San Carlo per frequentare il corso di Scenografia e di recente è pure andato a vivere da solo».
Il Mufant e la onlus Altra Mente coltivano la medesima idea di impresa sociale quale realtà economica capace di creare benessere, innovazione, lavoro e di migliorare la qualità della vita delle persone e dei territori. «Abbiamo anche avviato un programma di riqualificazione compartecipata del giardino adiacente al museo che ha previsto la realizzazione di una Piazza dell’immaginario e di un Parco del fantastico, con sette grandi installazioni a tema fantascientifico in ferro corten realizzate dai laboratori, e la messa a dimora di piante ed essenze. A queste prime statue, alte tre metri, ne aggiungeremo molte altre perché puntiamo a rendere questo luogo uno spazio attraente per i turisti, sullo stile del 'Tarot Garden' di Niki de Saint Phalle a Grosseto. La scorsa estate, inoltre, grazie ad un crowdfunding siamo riusciti ad organizzare un festival dedicato non solo al fantastico e alla fantascienza ma anche alla trans-medialità, alle pari opportunità, alle identità di genere, alla rigenerazione urbana, con una settantina di eventi tra mostre, tavole rotonde, proiezioni». Purtroppo la pandemia ha creato più di qualche problema, osserva ancora il cofondatore del Mufant, soprattutto ai 'loro' ragazzi, trovatisi all’improvviso senza più attività diurne e costretti a restare chiusi in casa. «Abbiamo però lavorato sull’incremento dell’inclusione ricorrendo maggiormente al digitale e, partendo dal giardino, ci siamo aperti ancor più al quartiere, alle associazioni, all’ospedale Regina Margherita, alle scuole e alle università». (Avvenire)
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