Don Mimmo, arcivescovo di strada
'I miracoli? Devono farli i politici', dice don Battaglia, arcivescovo di Napoli
È già noto per aver citato Pino Daniele nel suo primo discorso da arcivescovo di Napoli. Ma questo è niente: per uno che viene da fuori, rendere omaggio all' orgoglio locale è quasi un atto dovuto, tant' è che il predecessore, il cardinale Sepe, scelse di andare a baciare l' asfalto di Scampia. Il meglio è venuto dopo, quando don Domenico Battaglia si è rivolto - prima a parole, poi con un gesto clamoroso - direttamente ai vertici della città. E quando si è spinto a prospettare un vertiginoso cambio di ruoli tra religiosità e politica. «Autorità! Che eccellente, immenso e invidiabile compito vi ha dato la vita: quello di fare miracoli concreti e immediati...». Miracoli. Ha detto proprio così, da uomo di fede a un pubblico di laici e per giunta nella città di San Gennaro. E non è tutto. Davanti, infatti, oltre a un bel po' di sindaci, magistrati e uomini in divisa, don Battaglia aveva non solo due ministri del governo dimissionario - Manfredi e Amendola - ma anche Vincenzo De Luca, ovvero il governatore che i miracoli crede di averli già fatti, nella lotta al Covid, autocertificandoli in diretta Facebook.
Ha dunque coraggio questo nuovo arcivescovo che fa il pellegrino di pace con il piglio del provocatore, nato a Satriano, in Calabria, abituato a darsi da fare in una comunità di tossicodipendenti; a resistere «a ogni forma di ingiustizia sociale» (il capitalismo distorto) e «di sopruso» ( i poteri criminali); e a scuotere gli animi con un vocabolario fuori dal comune. Addio formalità e riverenze, va bene il don, il «Sua Eccellenza» può attendere. Battaglia è fatto così. Come Mario Delpini a Milano, Corrado Lorefice a Palermo e Marco Tasca a Genova, anche lui fa parte della nuova Chiesa italiana che papa Francesco sta costruendo a partire dai territori, con più attenzione alle ragioni del servizio, dell' accoglienza, del partire dagli ultimi, che a quelle della gerarchia.
Don Battaglia, ma va bene anche don Mimmo, ha 58 anni e gli occhi e il sorriso di un ragazzo. Per questo Avvenire ha provato a punzecchiarlo presentandolo come il vescovo «giovane» in una Napoli «difficile», certo più impegnativa di Cerreto Sannita, sua precedente missione. Macché. Per lui «questi sono solo stereotipi, e gli stereotipi non aiutano a capire chi è l' altro, chi è davvero; mentre io vengo a Napoli senza false aspettative e per correggere lo sguardo». Questo dello sguardo da «convertire» è l' obiettivo che vale un intero programma pastorale. E don Battaglia lo ha appena dimostrato. Con La Pira crede a una politica «come impegno dì santità e umanità», per questo non lo appassiona l' idea di un partito dei cattolici, preferisce ribaltare la prospettiva e chiedere miracoli ai politici.
Ha parlato alle autorità il giorno dell' insediamento, in un salone dell' Arcidiocesi sobriamente arredato, prima di celebrare la messa di ingresso in una diocesi di 284 parrocchie, mille sacerdoti e 6 monasteri di clausura. E il vero colpo di scena c' è stato proprio quando si è scesi in Duomo per la cerimonia religiosa. Le prime panche erano ovviamente riservate alle autorità. Ma tra queste e l' altare, in una posizione di lampante privilegio, sono spuntate le sedie per gli ultimi, per quelli destinati all' evangelica rimonta, quelli che il Papa invita a non considerare gli scarti della società. Erano i familiari del vigilante ucciso da una baby gang in una stazione della metropolitana, una coppia di operai senza più lavoro della Whirlpool, e una ragazza nigeriana arrivata in Italia attraverso tutte le vie dello sfruttamento e ammalatasi di Aids.
Don Battaglia era andato a trovarli nelle loro case, quindi se li era portati in Duomo facendoli accomodare lì, davanti a tutti, perché tutti potessero vederli. Anche a rischio di aderire a un cliché anti-casta? Sì, certo. L' obiezione viene infatti respinta nel solco del magistero di Francesco: «In quei volti c' è il volto di Cristo, ed è lì che bisogna guardare, perché quando un uomo ha lo sguardo spento e un cuore che non desidera più, sta cedendo alla fatica della storia». Don Battaglia sa bene che la Chiesa di Napoli è quella di sant' Alfonso Maria de' Liguori, l' autore di Quanno nascette Ninno , il più augurale dei canti natalizi, ma è anche quella di Corrado Ursi, il cardinale che, appena uscito dal Concilio Vaticano II, lanciò una straordinaria campagna per la bonifica sociale della città povera e delle periferie. Dopo più di mezzo secolo quella bonifica resta incompiuta, a riprova di una Storia che ancora affatica la città e l' intero Mezzogiorno. Con lui a Napoli, forse la politica si sentirà ulteriormente osservata. Perciò, se dice che «le periferie devono essere il centro del nostro impegno» è chiaro cosa intende. Convertire lo sguardo per convertire l' azione. San Gennaro non basta. (Corriere della Sera)
Cari amici la rivista San Francesco e il sito sanfrancesco.org sono da sempre il megafono dei messaggi di Francesco, la voce della grande famiglia francescana di cui fate parte.
Solo grazie al vostro sostegno e alla vostra vicinanza riusciremo ad essere il vostro punto di riferimento. Un piccolo gesto che per noi vale tanto, basta anche 1 solo euro. DONA