Al Po non arriva più l’acqua del Monviso
Il Po nasce sul Monviso e in questa stagione, dopo 33 chilometri, è già morto. Secco. Prosciugato. All’altezza di Revello, provincia di Cuneo, a 45 minuti di strada in macchina e a qualche ora di cammino a piedi, il suo alveo è un bel paesaggio di pietre arse dal sole e vegetazione rigogliosa.
Altro che chiare, fresche e dolci acque di montagna che, sorgendo dalle Alpi Cozie e lambendo i territori della città di Saluzzo, arrivano fino in pianura. Torino, delle acque del Pian del Re, da giugno e per tutta l’estate, non vede nemmeno un goccio. Le coltivazioni agricole, dai frutteti al mais, si stanno mangiando sempre più centimetri cubi di fiume. Seccando anche il letto di molti affluenti: il Pellice, il Chisone, il Varaita, il Maira, il Sangone. Le acque del Po riprendono a scorrere verso Staffarda, dopo 10 chilometri di black out. Sono acque delle risorgive, che riaffiorano da sottoterra.
A denunciare l’emergenza è Legambiente, che in questi giorni ha ricevuto numerose segnalazioni dai paesi del cuneese e del torinese, da Revello a Rivalta, da Garzigliana a Campiglione: il Po, il «dolce gigante» della Pianura Padana e i suoi fratelli minori che gli portano acqua, sono asciutti. «L’eccesso di prelievi irrigui e idroelettrici spinge il sistema idrografico della regione vicino al collasso ambientale e al peggioramento della qualità dell’acqua, per mancanza di auto depurazione», spiega in termini tecnici Fabio Dovana, presidente di Legambiente Piemonte e Valle d’Aosta. Tradotto: «È ora di alzare la voce, Torino deve prendere in mano la situazione, far rispettare le regole e sanzionare i trasgressori». In primis i consorzi irrigui, come puntualizza Massimiliano Borgia, che sul tema ha scritto un libro, «Fiumi senz’acqua»: «Perchè ci troviamo in questa situazione? A causa dei prelievi per bagnare i campi di mais che spesso sono superiori al limite consentito. La maggior parte dei canali irrigui non è dotata di un misuratore di portata, è impossibile stabilire se la quantità prelevata sia quella legalmente concessa oppure no».
Va bene che è stato un anno poco piovoso e che le riserve perenni dei ghiacciai sono in costante diminuzione, ma il fenomeno del «disseccamento» del Po e degli affluenti, che va avanti dalla fine degli anni ’80, ma che pian piano sta peggiorando, non è solo estivo. La legge regionale, di per sé, stabilisce i valori del flusso minimo vitale dei fiumi, ma di fatto non sono rispettati. E le multe, in capo alla Città Metropolitana, non scattano. Mancanza di personale da dedicare ai controlli, ma non solo. La caccia ai furbetti è partita. Più che nei confronti dei consorzi agricoli, delle ditte che si occupano di produzione di energia idroelettrica: «Nell’ultimo anno sono stati controllati circa 30 impianti di derivazione, per la maggior parte dedicati alla produzione di idroelettrico - spiega Giuseppe Formichella, direttore generale della Città Metroppolitan di Torino -. Di solito, facciamo prima verbali di accertamento, le sanzioni scattano solo se gli impianti non si adeguano». Ma quali sono le conseguenze di questo fenomeno? «Prelevare più acqua del dovuto e seccare i fiumi significa far morire la fauna ittica, oltre che diminuire la possibilità di diluire le sostanze inquinanti presenti». Se il fiume rimane asciutto «si potrebbe prefigurare anche il reato di disastro ambientale», aggiunge Borgia. Le multe, come si diceva, sarebbero salate, dai 2 mila ai 20 mila euro, per tutelare le acque dolci del Po.
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