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Padre Gambetti: uno scatto di civiltà, da fare

Mauro Gambetti
Pubblicato il 18-07-2018

La legge 194 in qualche modo perseguiva questi fini. Se venisse applicata sempre integralmente, forse si potrebbe ancora evitare la scomparsa degli italiani

Nello speciale di luglio della rivista san Francesco una riflessione di padre Mauro Gambetti, Custode del Sacro Convento di Assisi su "un'altra" vita: quella nascente

Il 25 maggio scorso, nella “cattolica Irlanda” due cittadini su tre hanno votato a favore dell’abrogazione dell’ottavo emendamento della Costituzione irlandese, che vietava l’interruzione volontaria di gravidanza. I vincitori hanno festeggiato, con enfasi.

Ma il risultato referendario significa fondamentalmente questo: un popolo ha riconosciuto di non saper educare all’affettività e alla responsabilità e di non essere in grado di prendersi sempre cura della vita nascente. L’aborto è sempre una sconfitta, personale e sociale. Festeggiare è la messa in scena dell’assurdo. Orrido. Salutare la vittoria come una svolta storica è quantomeno temerario.

In Italia la legge sull’aborto fu introdotta nel 1978 (n. 194), per la “tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria di gravidanza”. Certo, ci fu una svolta storica. Da quel momento, i dati sono divenuti impietosi. Conclusosi il baby boom degli anni ’60, fino al 1978 in media sono nati 800.000 bambini all’anno. Nel 1980 sono scesi a circa 600.000. Nel 2017 si sono ridotti a 365.000, cui vanno aggiunti i quasi 100.000 nati da genitori stranieri. D’altro canto, in quarant’anni si contano 6 milioni di morti acclarati per interruzione volontaria di gravidanza, cui andrebbero sommati i bimbi mai nati per l’utilizzo delle pillole del giorno dopo o dei 5 giorni dopo e quelli stroncati tramite l’aborto clandestino, mai debellato.

I dati sono chiari. Noi italiani, per ora, siamo votati all’estinzione. Cosa sta accadendo? La svolta storica del ’78 che cosa ha provocato? Furono sciorinati numeri da capogiro – da 1 a 3 milioni di aborti clandestini ogni anno e 20-25.000 donne morte per mancanza di condizioni sanitarie adeguate, si diceva –, e i principi furono falsificati ad arte: “Per una maternità libera aborto libero”; “Scelgono le donne”; “Decido io”.

Il clamore della propaganda abortista ci ha confusi. A me pare ingannevole affermare che le donne sono diventate libere di scegliere. Quanta solitudine e quanta paura entrano in gioco davanti al dramma di un possibile aborto? I condizionamenti sociali, le problematiche familiari e le questioni economiche quanto influenzano la decisione? Se la gravidanza è frutto di una violenza, o se la scarsa consapevolezza di sé, del proprio corpo e della propria sessualità ha reso irresponsabile il gesto sacro dell’unione di un uomo e di una donna; se non vi è la capacità di assumersi la responsabilità di crescere un figlio o semplicemente c’è il desiderio di dedicarsi ad altro nel proprio futuro… quanta e quale libertà di scelta restano? Lungi dall’essere “liberate”, le donne sono state caricate di tutto il peso di una grave decisione; la loro libertà si è ridotta, tanto che è diventato più difficile per le donne scegliere la maternità.

In realtà, decidere di abortire è solo un esercizio di libero arbitrio, non un atto di libertà, se non altro perché si usurpano il diritto alla vita del nascituro e la sua libertà. In termini di principio, solo la maternità può essere un atto di libertà. Per questo, la legislazione dovrebbe porre le basi sociali ed economiche per far crescere la libertà delle future madri e dei futuri padri. La legge 194 in qualche modo perseguiva questi fini. Se venisse applicata sempre integralmente, forse si potrebbe ancora evitare la scomparsa degli italiani. Cosa attendiamo a fare uno scatto di civiltà? Forse viviamo ancora nell’inganno, per il credito che continuiamo a dare alla grande menzogna sulla libertà. Ma nemmeno le favole raccontano che la libertà consiste nel poter fare ciò che si vuole. In Assisi, ad esempio, è possibile abortire nel piccolo ospedale cittadino, ma ancora non è stato possibile aprire contestualmente un punto di promozione e sostegno alla vita. Come mai?

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