Nei luoghi dei massacri, nei luoghi del dialogo
Continua il nostro reportage della visita, in collaborazione con Huffington Post
Ci vuole coraggio, in piena pandemia, con incontri senza folle e abbracci, presenze contingentate e procedure di sicurezza senza precedenti, ad affrontare un viaggio sotto l'attenzione mediatica del mondo intero. Ci vuole fiducia per parlare di pace e fraternità in situazioni drammatiche, dove questi termini sembrano utopie.
Mentre scriviamo, papa Francesco sta costruendo la Storia. Lo fa andando nei luoghi dei massacri, che hanno visto decenni di spargimenti di sangue, terrore, esodi “biblici” e persecuzioni subite dai cristiani.
La pagina di ieri, primo giorno della visita in Iraq, costituisce un segnale decisamente forte. Non è un messaggio di riconquista territoriale, ma di riaffermazione, di quanto è stato detto nei vari sinodi cattolici del Medioriente. Il papa è consapevole che l'unica via d'uscita per l'Iraq, ma anche per i Paesi limitrofi, è nella ricostruzione e costituzione di Stati basati sull'imprescindibile e totale uguaglianza di tutti i cittadini, senza distinzione alcuna di tipo religioso, culturale o etnico.
Ecco perché oggi, l'incontro con il grande Ayatollah Al Sistani, uomo chiave in Iraq, colui che aveva esortato il mondo islamico a debellare l'Isis, rappresenta il rafforzamento del dialogo. Papa Francesco avrebbe potuto incontrarlo a Baghdad, ma ha preferito recarsi a Najaf, città simbolo dello sciismo, perché sia chiara la volontà del dialogo tra cristiani e musulmani, indicando la strada da proseguire.
Il papa al contempo incoraggia il dialogo tra le due anime dell'islam. Avendo già incontrato il grande imam di Al Azhar, massima autorità del sunnismo, è come se oggi volesse invitare e incoraggiare le due parti a dialogare, per costruire una società migliore. Bergoglio sottolinea, come già fatto nella Fratelli tutti, l'importanza che può avere la religione nel creare una condizione di fratellanza nella gestione della vita politica. È stato questo il vero significato dell'incontro, durato 45 minuti, con Al Sistani. Un vertice interreligioso che ha permesso al papa di ringraziarlo, perché assieme alla comunità sciita, di fronte alla violenza e alle grandi difficoltà degli anni scorsi, ha levato la sua voce in difesa dei più deboli e perseguitati, affermando la sacralità della vita umana e l'importanza dell'unità del popolo iracheno, come ha riferito il direttore della Sala Stampa Vaticana, Matteo Bruni, al termine del vertice.
I network internazionali hanno rilanciato le immagini della piana di Ur, terra di Abramo e patria delle tre religioni monoteiste. Un incontro che serve chi aiuta a sminare il clima di sfiducia. C'è un proverbio che viene narrato qui in Iraq: “Quando ti ha morso un serpente, hai paura anche di una corda”. Un incontro che aiuta ad affrontare le tracce della paura, un incontro che aiuta a incontrarsi, a rispettarsi, ad amarsi.
Ed è interessante che il papa abbia voluto all'incontro interreligioso anche altre minoranze, come quella del mandeismo e dello yazidismo, anch'essi perseguitati e vittime di atrocità in Iraq durante il quinquennio di Daesh. Si sono intervallate letture di passi della Bibbia e del Corano.
Lo stesso cardinal Sako ci ha detto che da Ur parte un messaggio che valorizza la dimensione fraterna e il riconoscersi fratelli nella figura di Abramo. Da questo luogo non solo parte la parola chiave, fratellanza, ma anche una figura chiave, Abramo. Una visione che proietta il pontificato di Francesco al di là del perimetro cristiano e cattolico. Una lungimiranza contrapposta a quella del terrorismo, che abusa della religione e divide nel nome religioso. Non a caso, per capire quello che sta accadendo oggi, dobbiamo tornare al 25 gennaio 2020, quando Francesco aveva espresso al presidente iracheno Barham Salih uno specifico desiderio, dallo straordinario valore simbolico: il dono di una carta d'identità irachena, con la scritta “Jorge Maria Bergoglio, figlio del figlio del figlio del figlio...di Abramo”.
E domani Mosul, dove le chiese cristiane sono state trasformate in carceri; Qaraqosh, città dei martiri che chissà se rinascerà; Erbil, che potrebbe rappresentare la ripartenza, la resurrezione. Un papa che non ha paura di toccare le ferite della Storia, per "adorare Dio, amare il prossimo...e rispettare i diritti fondamenti".
di padre Enzo Fortunato
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