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Il grido della poesia contro la violenza

Redazione Ansa - ZURAB KURTSIKIDZE
Pubblicato il 01-03-2022

La denuncia contro la guerra

La poesia non è solo la voce di un singolo uomo. La poesia è anche espressione dell’universo attorno a quell’uomo che - a un certo punto della sua esistenza - prende carta e penna e scrive ciò che il cuore detta, ciò che la mente elabora, ciò che la sua anima sente. Quell’uomo viene definito dalla società con un nome, poeta. Versi e parole, metafore e giri vorticosi di aggettivi e avverbi, si incanalano e si raggruppano in un foglio. Respirano sì di una vita propria, ma rappresentano le parole che il lettore stesso vorrebbe dire, scrivere. Nella poesia ci si rispecchia. “E’ quello che io sento” ora, qui, nel mio cuore. È un hic et nunc senza tempo e spazio.

Le guerre - purtroppo - ci sono sempre state. Così come le nefandezze che ha prodotto e molti sono stati i poeti che hanno voluto registrare questa non-umanità con uno dei mezzi più umani: la poesia, appunto. Le poesie di guerra, cartine tornasole dei momenti più bui della storia umana, ma anche i più luminosi.

Si pensa che la prima poesia di guerra sia di Enheduanna, una sacerdotessa del XXIV secolo a.C. di Sumer, l'antica terra che ora è l'Iraq. Sembrano versi scritti oggi: “Sei sangue che scorre giù da una montagna, / Spirito di odio, avidità e rabbia, / dominatore del cielo e della terra!”. Da quelle parole tante altre ne sono nate che hanno percorso i secoli e le guerre.

È stato però il Novecento il secolo che ha prodotto - ovviamente - una vastità di poesie sulla guerra senza pari. Travagliato il XX secolo, e molto: fumi di macerie e fuochi di guerra, ma non solo. In questo desolante panorama, una luce si è fatta portatrice di altra luce: è la poesia nata dalle menti di uomini e donne che hanno vissuto nel loro animo i conflitti e ne hanno fatto poesia di denuncia, poesia di speranza. La speranza si chiama pace. Fare un elenco di questi personaggi sarebbe assai difficile perché vorrebbe dire scrivere un libro con migliaia di pagine. Ma, fra i nomi, uno risuona in particolar modo: Bertolt Brecht con la sua scarna poesia fatta di parole vere, dal suono di ritmo serrato. I versi, cingoli di carri armati. Versi essenziali, quelli di Bertolt Brecht, quasi ridotti all’osso. La guerra non ha bisogno - di sicuro - di giri di parole ma soprattutto di verità. Una verità denunciata al mondo.

La poesia del drammaturgo tedesco ha descritto il nostro drammatico “secolo breve”, consacrando così Brecht come intellettuale non al servizio del potere, ma come poeta degli uomini soprattutto. In lui, la denuncia dell'ingiustizia e della disumanità della guerra diviene il grido di tutti gli uomini. Esiste una raccolta di versi che rappresenta la summa delle sue poesie di guerra che si scagliavano contro il regime nazista della sua Germania. La raccolta è del 1939 e ha come titolo Poesie di Svendborg. Non sono parole di ieri, purtroppo. Sarebbe bello poterle prendere in considerazione solo per il loro aspetto letterario, ma non è così. I versi sono scritti oggi, e Brecht rivive così in quei carri armati al confine di Kiev, in quelle immagini che la televisione ci propone in un anacronistico 2022.

Generale, il tuo carro armato/ è una macchina potente/ Spiana un bosco e sfracella cento uomini. / Ma ha un difetto:/ ha bisogno di un carrista. / Generale, il tuo bombardiere è potente. / Vola più rapido d’una tempesta e porta più di un elefante./ Ma ha un difetto:/ ha bisogno di un meccanico./ Generale, l’uomo fa di tutto./ Può volare e può uccidere./ Ma ha un difetto:/ può pensare.

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