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Federico Caffè, l'economia dal volto umano

Carlo Galli Pixabay
Pubblicato il 10-02-2021

Grandissimo intellettuale, interdisciplinare e poliedrico

Grandissimo intellettuale, interdisciplinare e poliedrico nella sua attività di ricerca e di docenza (più di 1.200 i suoi laureati; decine i suoi allievi accademici illustri e civil servants come Draghi e Visco), teorico e storico dell' economia, consulente della Banca d' Italia, pubblicista e cittadino impegnato, Federico Caffè è stato un uomo sobrio e concreto, portatore, com' egli diceva, del buon senso dell' Italia povera del Sud, dove aveva le sue origini.

La sua sterminata cultura non era un vezzo, né un'erudizione compiaciuta e solitaria; gli serviva per lo scopo principale della sua opera scientifica, che è stata di dare una dimensione storica, e perciò concreta e problematica, all'economia: tanto all' analisi teorica quanto alla pratica che egli vi vedeva indissolubilmente legata. Era quindi insoddisfatto sia delle vertiginose astrazioni di una parte della scienza economica (di parti anche contrapposte, in verità: di Sraffa e anche del neoliberismo) sia delle velleitarie impazienze rivoluzionarie di chi profetizzava un avvenire economico utopico nell' attesa inconcludente del crollo del capitalismo.

Il riformismo che Caffè ha sempre perseguito e rivendicato non ha nulla di "moderato", di opportunistico, né di unilaterale - non era un fautore di "riforme impopolari" a senso unico, insomma, come non era un rivoluzionario da salotto -; è anzi la volontà di perseguire «quel tanto di socialismo che appare realizzabile nel contesto del capitalismo conflittuale con il quale è tuttora necessario convivere».

Un riformismo progressista, quindi, orientato da valori umanistici - che da giovane misero in contatto lui, demolaburista politicamente vicino a Meuccio Ruini, con una rivista cattolica di sinistra come Cronache Sociali di La Pira, Fanfani, Dossetti - e dalla convinzione che compito dell' economia non è l' apologia incondizionata del mercato (né, come avveniva in epoca fascista, dello Stato) ma la lotta contro quelli che Keynes, l'economista a cui si sentì più vicino, bollava come «i difetti più evidenti della società economica nella quale viviamo», cioè «l'incapacità di provvedere un'occupazione piena e la distribuzione arbitraria e iniqua della ricchezza e dei redditi».

Quindi, nella visione di Caffè, è centrale la politica economica, che dell' economia è per dir così il lato pratico - sorretto da un'analisi accurata del passato e del presente, e pertanto capace di interpretare il "capitalismo reale", non quello immaginato dalle teorie - ; una politica economica che, con le sue parole, «consideri irrinunciabili gli obiettivi di egualitarismo e di assistenza che si riassumono nell' espressione dello Stato garante del benessere sociale; che affidi all' intervento pubblico una funzione fondamentale nella condotta economica».

L'obiettivo della politica economica non è quindi, per lui, la deflazione, ma la piena occupazione e l'affermazione della dignità del lavoro come via per la promozione dell'intera persona umana, nonché la realizzazione, attraverso il pubblico intervento, di una "maggiore equità", per «portare a un più completo ed efficiente uso delle risorse di una nazione». Se si priva di questo spessore civile e umano, se rinuncia all'obiettivo dello Stato del benessere che assicura a tutti una uguaglianza di possibilità (c'è qui una buona anticipazione di Amartya Sen e di John Rawls), l'economia rischia di diventare una "scienza crudele"... (Repubblica)

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