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C’era una volta il futuro

Luca Goldoni Pixabay
Pubblicato il 27-07-2020

Aspettavamo il Duemila,senza smartphone né paure. Ed eravamo felici

Fra le innocue manie che hanno segnato la mia esistenza c’è la devozione per la carta stampata: nella mia cantina sono custodite annate di settimanali e periodici vari. Non immaginavo che mi avrebbero fatto compagnia nei giorni dell’isolamento anti virus, quando ero depresso dalle letture quotidiane. Nulla più di una vecchia rivista illustrata può garantirci un tuffo in un passato recente che però sembra già preistoria.

La prima riflessione è questa: c’era una volta il futuro.

Non faceva paura e non aveva bisogno di astrologi per essere divinato.In tanti si contendevano il vocabolo «futuro»: saggisti e registi, stilisti ed ecologisti, illuministi e oscurantisti. Il futuro aveva un nome, Duemila, numero così perfetto che non si esauriva nel concetto di un anno, ma era il sogno di un’epoca. Una combinazione così eccitante che tanti, ripeto, se ne impadronivano per battezzare le loro iniziative. Progetto Duemila, Alfa Duemila, bar Duemila, vacanze Duemila, lavasecco Duemila.

Il progresso era un «dono del signore», non esistevano mostri come Aids, Califfato col suo esercito di tagliagole, fumo che uccide, stragi del sabato sera, e men che meno pandemia. La guerra era finita da poco, le notti erano senza coprifuoco e senza bengala, sotto casa c’era parcheggiato un sogno realizzato: la 500, che — stracarica di bagagli e passeggini — pendeva come la torre di Pisa.

Eravamo troppo felici per sentirci cattivi, per immaginare che un giorno sarebbe nata la categoria degli hater, gli odiatori. Il massimo della rivalità era fra vespisti e lambrettisti, bartaliani e coppiani, ma nessuno si sognava di far analizzare le loro pipì. Fra i più piccoli c’era qualche teppista, non esistevano i baby criminali. Fra le date da ricordare non c’era il 2 agosto di Bologna, l’11 settembre delle torri gemelle, il 13 novembre del Bataclan a Parigi. E la borsa era quella della spesa: per sfidare la fortuna c’era il Lotto. Sfoglio una «Scienza illustrata» del 1950 e trovo in quelle pagine la fremente aspettativa di questo futuro che la scienza, appunto, stava covando. Gli articoli divulgativi commuovono con il loro candore.

Eccone uno sulle fatiche degli atleti e sul micidiale acido lattico che li intossica. Come correre ai ripari? Elementare: basta un po’ di zucchero. Furoreggiavano le invenzioni. Allettati dalle quindicimila lire in premio, i lettori si contendevano le pagine della «bottega delle idee». Qualcuno con anticipazione geniale di mezzo secolo inventava il bracciale fosforescente per i ciclisti notturni. Lo scolapasta inserito nella pentola.

Il materasso che oggi è un’ovvietà: un lato per l’estate e uno per l’inverno. La strepitosa valigia con le rotelle (premiata però da quegli spilorci redattori con sole tre mila lire). Non mancavano le proposte squilibrate, come la «bambinaia meccanica» che «protegge il sonno della mamma», cioè una fascia per neonato in tessuto speciale che alla prima pisciatina accendeva un neon sopra la culla e azionava una sirena. Esiste risveglio più confortevole? Che ne sarà dell’uomo con tutti questi robot?, si chiedeva un titolo accorato, bella domanda, esimio collega. Eccoci qua felicemente approdati al terzo millennio, imbottiti di fantastiche invenzioni mirate a semplificarci la vita. Una volta in treno si conversava, si sonnecchiava, si rideva leggendo le gag del Giovane Holden.

Un viaggio era una pausa rilassante ma, in fondo, una perdita di tempo. E infatti adesso non perdiamo un minuto solfeggiando sulla tastiera del pc. Anche una passeggiata era tonificante, ma tremendamente inoperosa. Oggi, deambulando con il telefonino satellitare se ne possono sfruttare le mille funzioni: conoscere quanto il listino di Hong Kong risente degli ultimi disordini. Adulare il nuovo manager americano con un cerimonioso happy birthday Mr. President.

Fischiettare un motivo e imparare che si tratta di Mozart, concerto in La maggiore K 488. Intortare una fanciulla o liquidarla definitivamente (e pazienza se lo smart conserva puntigliosamente quel messaggino che speravano di aver cancellato). È vero che tutto ciò non è riposante, ma noi siamo contenti così, perché con il relax si rischia di uscire dal giro. Osserva Michel de Montaigne, filosofo del XVI secolo: di «mille nostri pensieri quotidiani non ce nèuno solo che riguardi la nostra condizione umana».

Quasi che l’esistenza fosse il fatto più ovvio del mondo. E così ci si ricollega al tema del Futuro saccheggiato, quel futuro che significava fantasia della mente, sogno dell’anima. Cari redattori della «Scienza illustrata» — siamo tentati di scrivere con un’ombra di risentimento — nonostante tutto il vostro futuribile non avete previsto l’effetto serra, i ghiacciai che si sciolgono, le foreste che s’incendiano come zolfanelli, la terra che ha la febbre, l’umanità a rischio estinzione per pandemia.

Ma umanità è un concetto così smisurato da apparirci astratto: siamo miliardi, perché proprio noi dobbiamo correre ai ripari? A noi, più che vivere di speranza non resta che convivere con un isterico presente. Nessuno si azzarda a inaugurare un «progetto Tremila», un «Tremila». Il futuro non va più in là della prossima movida senza mascherina. (Corriere della Sera)

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