approfondimenti

Il Leone e il Pellicano, simboli di Cristo

Redazione
Pubblicato il 30-11--0001



Se la duplice Basilica di San Francesco in Assisi fi gura indubbiamente come “la chiesa più decorata di tutto l'Occidente” (E. Battisti), il transetto nord della Basilica Inferiore fi gura come il diramato estuario dell'arte italiana del Duecento e del Trecento. In una stessa parete, in strettissima contiguità, possiamo ammirare simultaneamente gli esiti espressivi e più innovatori di Cimabue, Giotto, Simone Martini e Pietro Lorenzetti. Qui Giotto ha dato vita ad una delle più intense raffi gurazioni della Crocifi ssione di Cristo. Il corpo di Cristo, sublime nel disegno anatomico, fa vistoso contrasto con il duro legno della croce sulla cui cima è infi ssa la tabella damnationis. Ai piedi del Cristo, la fi gura della Maddalena, altro non è che un grido disperato di amore e di dolore. Intensa, nella sua laconica espressività, è la piega amara agli angoli della bocca del San Giovanni, che artiglia nervosamente il lembo del mantello con la mano sinistra. Il volo degli angeli, stampato contro il cielo di un azzurro intenso, che con la sua purezza minerale abolisce il fondo d'oro della pittura bizantina, forma, da solo, l'astratto sipario per una vera e propria “sacra rappresentazione”. Gli angeli, nella loro movenza teatrale, sembrano un volo di uccelli che abbiano smarrito la propria rotta.
La sequenza dei frati inginocchiati sul versante destro della scena, con i volti ritratti dal vivo e con le loro tonache stazzonate, saggiano tutta la tastiera del tipico “corrotto” (= cor ruptum) medievale, unendo così l'azione drammatica col canto monodico della “laude”. Particolarmente emblematico è poi il gesto impacciato dei due soldati disarmati che sembrano distaccarsi di proposito dal gruppo degli accusatori che confabulano animatamente, mentre sul margine estremo, appare inaspettatamente la fi - gura di una donna che ride o che irride. Il senso della Crocifi ssione non si esaurisce però qui, ma dilaga anche nella cornice che non ha solo valore decorativo, ma funge da ipertesto. Sul tratto della cornice in alto e in basso, in asse con il palo verticale della croce, sono infatti incastonati due emblemi cristologici: nella cornice superiore, svetta l'emblema del Pellicano; in quella inferiore, appare invece l'emblema del Leone. Secondo il Physiologus, testo paleocristiano variamente datato al II o al IV secolo d.C., il Pellicano si lacera il petto con il becco per nutrire con il proprio sangue i suoi piccoli (simbolo quindi del “devisceratus Christi amor”).
Il Leone, simbolo della potenza e della regalità, che nell'immaginario popolare si credeva cancellasse le sue orme con la coda, rappresenta Cristo, che nel mistero dell'Incarnazione sembra voler nascondere nella sua umanità le tracce della sua divinità. Inoltre, stando sempre alla “vulgata” popolare, era comune credenza che la leonessa partorisse sempre cuccioli morti, che sarebbero stati poi richiamati in vita, dopo il terzo giorno, dal fi ato potente del leone: chiaro riferimento, questo, al mistero della Redenzione.

di Luigi Marioli

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