Il Leone e il Pellicano, simboli di Cristo
Se la duplice Basilica di San Francesco in Assisi fi gura indubbiamente
come “la chiesa più decorata di tutto l'Occidente”
(E. Battisti), il transetto nord della Basilica Inferiore fi gura
come il diramato estuario dell'arte italiana del Duecento e
del Trecento. In una stessa parete, in strettissima contiguità,
possiamo ammirare simultaneamente gli esiti espressivi e
più innovatori di Cimabue, Giotto, Simone Martini e Pietro
Lorenzetti. Qui Giotto ha dato vita ad una delle più intense
raffi gurazioni della Crocifi ssione di Cristo.
Il corpo di Cristo, sublime nel disegno anatomico, fa vistoso
contrasto con il duro legno della croce sulla cui cima è infi ssa
la tabella damnationis.
Ai piedi del Cristo, la fi gura della Maddalena, altro non è
che un grido disperato di amore e di dolore.
Intensa, nella sua laconica espressività, è la piega amara agli
angoli della bocca del San Giovanni, che artiglia nervosamente
il lembo del mantello con la mano sinistra.
Il volo degli angeli, stampato contro il cielo di un azzurro
intenso, che con la sua purezza minerale abolisce il fondo
d'oro della pittura bizantina, forma, da solo, l'astratto sipario
per una vera e propria “sacra rappresentazione”. Gli angeli,
nella loro movenza teatrale, sembrano un volo di uccelli che
abbiano smarrito la propria rotta.
La sequenza dei frati inginocchiati sul versante destro della
scena, con i volti ritratti dal vivo e con le loro tonache
stazzonate, saggiano tutta la tastiera del tipico “corrotto” (=
cor ruptum) medievale, unendo così l'azione drammatica col
canto monodico della “laude”.
Particolarmente emblematico è poi il gesto impacciato dei
due soldati disarmati che sembrano distaccarsi di proposito
dal gruppo degli accusatori che confabulano animatamente,
mentre sul margine estremo, appare inaspettatamente la fi -
gura di una donna che ride o che irride.
Il senso della Crocifi ssione non si esaurisce però qui, ma
dilaga anche nella cornice che non ha solo valore decorativo,
ma funge da ipertesto. Sul tratto della cornice in alto e
in basso, in asse con il palo verticale della croce, sono infatti
incastonati due emblemi cristologici: nella cornice superiore,
svetta l'emblema del Pellicano; in quella inferiore, appare
invece l'emblema del Leone.
Secondo il Physiologus, testo paleocristiano variamente datato
al II o al IV secolo d.C., il Pellicano si lacera il petto
con il becco per nutrire con il proprio sangue i suoi piccoli
(simbolo quindi del “devisceratus Christi amor”).
Il Leone,
simbolo della potenza e della regalità, che nell'immaginario
popolare si credeva cancellasse le sue orme con la coda, rappresenta
Cristo, che nel mistero dell'Incarnazione
sembra voler nascondere nella sua
umanità le tracce della sua divinità.
Inoltre, stando sempre alla “vulgata” popolare,
era comune credenza che la leonessa
partorisse sempre cuccioli morti, che sarebbero
stati poi richiamati in vita, dopo
il terzo giorno, dal fi ato potente del leone:
chiaro riferimento, questo, al mistero della
Redenzione.
di Luigi Marioli
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