Le visite dei pontefici
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La Fondazione Giambattista Vico di Vatolla e il Laboratorio di Cartografia e Toponomastica Storica (LA.CAR.TOPON.ST.) dell'Università degli Studi di Salerno, nella comune finalità di contribuire alla scoperta dell'identità del Cilento, intercettano l'esigenza, oggi fortemente avvertita, di schiudere nuovi orizzonti culturali e socio-economici attraverso l'approfondimento delle ‘radici' territoriali. E lo fanno con la realizzazione di un prestigioso volume – Il Territorio del Cilento nella Cartografia e nella Vedutistica (secc. XVII-XIX), a cura di V. Aversano (Palazzo Vargas Edizioni, 2009) – che, con gusto iconologico e interessi diversi (scientifici, esornativi, antiquari), offre le riproduzioni commentate di carte geo-topografiche e vedute prospettiche, esposte in una Mostra itinerante allestita nell'autunno del 2007. Inizialmente basata sulla presentazione di opere originali e a stampa provenienti dalla dotazione acquisita negli ultimi anni dalla dirigenza della fondazione vichiana e progressivamente arricchitasi di ulteriori ‘pezzi' (grazie all'instancabile ricerca di Nicola Ventre), la Mostra, attraverso questo splendido volume, diventa visitabile a tutto tondo, rendendo fruibili anche al grande pubblico molti mirabili esempi di paesaggi cilentani a varia scala dei secoli passati.
La sezione cartografica (affidata a Vincenzo Aversano) commenta 39 carte prodotte tra età moderna e contemporanea che, al di là dell'estensione e della scala del contesto rappresentato, della visione empirica o del rilevamento geodetico zenitale, rivelano costantemente, con sempre maggiore precisione tecnica (una volta superata, a tre quarti dell'Ottocento, la soglia della rappresentazione pre-geodetica) il carattere aspro e selvaggio della subregione cilentana che, unita ai pericoli provenienti dal mare, costringe la popolazione (provata da guerre, carestie, pestilenze e fiscalità) ad accentrarsi in compatti abitati, sotto la ‘protezione' del castello baronale e delle sedi d'autorità religiosa, lasciando poco spazio produttivo-abitativo sia alle aree distanti dai centri, sia alla costa (punteggiata infatti da poche marine e moltissime torri di avvistamento e difesa).
Meno realistica e ‘oggettiva' nella visione d'insieme, in quanto consumata nel giro dell'orizzonte visivo e vincolata a precisi canoni di rappresentazione sette-ottocentesca, è l'immagine del Cilento emergente dalla sezione vedute (commentata da Antonio Capano), composta di 29 pezzi, quasi tutti provenienti dalla collezione privata di Nicola Ventre, nella quale compaiono e spesso si esaltano, alla luce della tradizione classicistico-archeologica e/o romantica, i paesaggi del litorale pestanoagropolitano-velino-palinurense, talora circoscritti ad aspetti architettonico-naturali delle singole marine o a singoli particolari reperti di archeologia antica o tardomedioevale.
Anche se il coronimo “Cilento” si lascia spesso desiderare, ‘sciolto' all'interno del Regno di Napoli o della provincia di Principato Citra (nome storico della provincia di Salerno), un'idea del funzionamento territoriale e della gerarchia dei centri di una ‘patria' Cilento comunque si ricava, già a partire dai reperti seicenteschi, dai simboli cartografici del potere religioso «secolare», di quello baronale e statale. Un ruolo particolare, in tal senso, è svolto dai toponimi (censiti e interpretati da Silvia Siniscalchi), che nella loro espressione nominale manifestano le complesse vicende dell'occupazione del suolo, da quella greco-lucana a quella romana, fino alla componente bizantina (e sporadicamente araba), in strati tutti esemplificativi delle identità locali, ma non a discapito di una connotazione geografica di scala più ampia e, complessivamente, cilentana. Storia a sé sotto il profilo estetico-ideologico fanno gli stemmi di nove comuni cilentani, quasi tutti lontani dal mare (ad eccezione di Pisciotta) e l'albero genealogico dei re di Napoli e Sicilia, sontuosissimo, ricco di notizie e concepito anche per dare un'idea cartografica del Mezzogiorno continentale e insulare. Ciò non toglie che questi esempi (dettagliatamente spiegati da Maurizio Ulino), espositivamente parlando, contribuiscano a offrire alla riflessione alcuni elementi identitari o presunti tali nelle intenzioni degli autori.
Sebbene si sia voluto lasciare al lettore il gusto della scoperta delle straordinarie sorprese che questi capolavori della cartografia e della vedutistica contengono, tuttavia, di massima, i commenti che seguono la schedatura e illustrano le immagini sono lunghi e dettagliati, per volontaria e anche un po' polemica determinazione. Dopo anni di esperienza geo-cartografica, infatti, il curatore del volume ha maturato la convinzione che, per un verso, si debba rifuggire dal ‘comunicazionismo' facile e a effetto (oggi tanto di moda) e, per l'altro, non si possa più seguire il modello tradizionale (di solito attento più alla ‘specie' che all''individuo') delle brevi e generiche didascalie riservate ai prodotti cartografici, peraltro spesso riprodotti in dimensioni che non consentono di leggerne i particolari. Qui si è inteso dunque superare questa tradizione, attraverso un tentativo di lettura profonda, in chiave interdisciplinare ma soprattutto geografico-storica, sì da offrire al lettore vere e proprie ‘monografie' interpretative, attraverso un serio impegno di ricerca della sostanza e forma di ciascuna carta, corredato da selezionata e specialistica bibliografia.
Alla fine sarà chiaro a tutti che la natura, le finalità e l'efficacia rappresentativa di questi prodotti iconici, troppo spesso confinati nel versante puramente collezionistico o, all'opposto, geometrico-tecnocratico asservito a una bieca committenza, restino sempre un atto di conoscenza umana e umanistica del territorio, finalizzata anche alla progettazione di uno spazio meglio organizzato e di un mondo più giusto e vivibile.
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