Le visite dei pontefici
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L'hanno sorpreso tante volte, Massimo D'Alema, che, con i baffi chini per superare la noia delle riunioni fiume, si esercitava nell'antica pratica scintoista degli origami, ovvero nell'arte di piegare la carta. Se il lìder Massimo non ha dimenticato i passatempi d'antan, moltissimi sono i giochi praticati dai ragazzini di un tempo che sembrano perduti per sempre. Quali sono gli under dieci, o giù di lì, che passano le ore con le barchette di carta? E quali quelli che ancora si trastullano saltellando con la corda? Da un'inchiesta risulta che è scomparso pure il girotondo - alle elementari lo si fa un paio di volte a settimana, ma solo dietro pressione delle insegnanti - e che l'unico divertimento sopravvissuto è il nascondino (a Roma lo pratica il 54 per cento dei bambini tra i sei e i dieci anni, a Milano il 48 e a Palermo il 60).
A fornirci questi dati sugli intrattenimenti infantili e a raccontarci la storia di ruba-bandiera, della campana, del castello di carte e delle figurine, sono due studiosi piemontesi, i fratelli Alberto ed Elena Mora, nel «Dizionario dei giochi perduti» (Cairo editore, pp. 190, euro 10). Un libro che però si potrebbe intitolare l'Almanacco dei giochi ritrovati. Infatti ora gli aeroplanini di carta non sorvolano più la cattedra della maestra ma si esibiscono, per esempio, al PalaIsozaki di Torino. Già, proprio così. Qualche mese fa nel capoluogo piemontese si è conclusa una delle tappe di qualificazione del Red Bull Paper Wings e alcune decine di ventenni, dopo aver ascoltato una lezione sull'aerodinamica applicata ai simpatici velivoli cartacei, si sono cimentati in gare di distanza, tempo in volo e acrobazie. È solo una tappa di un campionato mondiale riservato agli apparecchi che un tempo finivano dietro la lavagna. Il record di distanza è dell'americano Stephen Krieger, con 63,19 metri, mentre in California quest'anno un aeroplanino ha percorso più di 69 metri all'interno di un hangar.
Così i riempitivi delle lezioni più noiose sono ora divenuti sofisticati protagonisti di sfide internazionali. Ma anche i bellissimi e leggiadri aquiloni, quelli che gli alunni delle elementari costruivano con forbici, colla, bambù e carta velina, sono diventati le star di certamen planetari. Spiagge di Ostia o di Cefalù addio, ma addio anche a «Urbino ventoso» («Sì, gli aquiloni! È questa una mattina che non c'è scuola. Siamo usciti a schiera tra le siepi di rovo e d'albaspina...», declamava Pascoli). Il primato si sposta in Oriente: un'unica persona in Cina ha fatto levare in cielo ben 43 aquiloni in contemporanea e 10.465 sono invece gli aerei di cellulosa che tutti insieme hanno affollato i cieli della provincia dello Shandong. Il più grande aquilone del mondo, lanciato a Kuwait City, ha una superficie che fa concorrenza ai maggiori saloni del Quirinale. In realtà nella Penisola si coltiva ancora con dedizione quello svago «che ruba il filo dalla mano» (sempre Pascoli): a Cervia il relativo festival internazionale ha raggiunto la 32esima edizione.
Quelli che un tempo erano i diversivi delle ore vuote hanno cambiato volto: tecnicizzati, professionalizzati, sono diventati campi di ricerca, sport agonistici e mondiali. Anche le biglie, sì, proprio le palline di vetro che facevamo rotolare su un circuito di sabbia costruito sulla spiaggia, adesso gareggiano superveloci sulle piste di Rimini, spinte da giocatori di cinque continenti. E da due anni le sfere rotolano in campionato sulle nevi d'Austria. L'arco e le frecce con cui ragazzini di più generazioni si sono immedesimati negli indiani, dal 1972 sono diventati fatiche olimpiche, anche se già nel 1931, al concorso ginnastico internazionale di Venezia, vi gareggiarono signore e signorine. Dalle frecce alle freccette il passo è breve: altro che divertissement riservato al garage o alla cantina. In Italia vi sono diverse federazioni e si compete in tornei nazionali, singoli o a squadre.
Il Meccano, quell'hobby che stimolava la manualità dei più piccini, è stato usato dall'artista Enrico Baj per realizzare molte delle sue opere, ma lo statunitense Chris Burden ha eretto al Rockefeller Center un grattacielo di venti metri di altezza con oltre un milione di pezzi. Un monumento al gioco old style e un tributo al fatto che bambini si rimane per sempre. (La Stampa)
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