PAROLA POVERA: Nascere
Che cosa è una nascita? A questa domanda crediamo di poter rispondere di
getto e in modo ovvio: siamo certi di conoscere il significato della parola e
non sembrano esserci dubbi sul senso che dobbiamo darle. In genere è
tradotta come ‘venire al mondo’. Ma appena cominciamo a cercare di capire
meglio anche quest’ultima espressione, le cose, come spesso accade con la
riflessione sulle parole e sui concetti che esprimono, si fanno subito meno
scontate, meno confortevoli.
L’origine è sanscrita, ed è la radice Gan trasposta poi in Gna che vuole dire
generare o anche produrre (in latino: gignere). Ma essere generati,
evidentemente, non è ancora nascere. Altrimenti non si userebbero
espressioni come ‘nato due volte’ o ‘nato ieri’. “Nasciamo da qualche parte,
per così dire provvisoriamente – scrive Rainer Maria Rilke –; solo a poco a
poco andiamo formando in noi il luogo della nostra origine, per nascervi
successivamente e, ogni giorno di più, definitivamente”. Fino a morire della
nostra nascita, si potrebbe chiosare.
Non c’è consenso nemmeno sul momento esatto della nascita, sul quando
dell’essere generati: è il momento del concepimento? O quello in cui i nostri
polmoni si formano definitivamente? Senza quell’apparato non potremmo
letteralmente vivere. È per questo che, nel complesso sistema del corpo
umano, esiste un meccanismo, estremamente complesso ma ovviamente
imperfetto, di alert, come potremo dire oggi, che serve proprio a coordinare il
momento della nascita con quello in cui il piccolo è in grado di respirare. È da
questo momento che inizia il ‘travaglio’, una parola spia di una delle inevitabili
caratteristiche della nascita che unisce gioia a dolore, silenzio a rumore, pace
a violenza, sofferenza a stupore. E’ quello che il pessimismo leopardiano ha
elevato a metafora della vita stessa: “Nasce l’uomo a fatica / ed è rischio di
morte il nascimento. / prova pena e tormento / per prima cosa; e in sul
principio stesso / la madre e il genitore/ il prender a consolar dell’esser nato”.
Tanto da definire ‘funesto’ il giorno in cui si nasce.
Eppure la nascita segna una delle meraviglie più straordinarie della vita su
questa Terra: la separazione tra un prima e un dopo, la percezione stessa del
tempo che è la dimensione strutturale della nostra esistenza. È da questo
momento che acquisiamo anche il concetto, se non l’esperienza,
dell’irreversibile (che è poi una dimensione determinante del tempo, almeno
per come lo viviamo al nostro livello: la dimensione divina e quella delle
particelle sono una cosa diversa) grazie a un meccanismo che la biologia è in
grado di spiegare e che è stato illustrato chiaramente da Edoardo Boncinelli.
Si chiudono un paio di passaggi cardiovascolari e si attiva il circolo cardiaco
polmonare fino a quel momento bloccato. Il livello di ossigenazione nel
sangue si innalza e innescano unna serie di processi che sono, appunto,
irreversibili. È così che letteralmente ‘si viene alla luce’, uscendo da uno
spazio che era invece buio, protettivo, silenzioso, pressoché immobile.
Ma neanche la metafora della luce ci dice tutto sul nascere. O meglio, non
la esaurisce. Se fosse solo quello non si potrebbe ‘nascere due volte’ (visto
che si viene alla luce una sola volta) o, come un termine che oggi usiamo
molto, ri-nascere. La psicanalisi sostiene la verità alla nascita, cioè la
consapevolezza di noi stessi alla vera nascita. È questa consapevolezza, per
gli analisti, la vera luce. Max Scheler, ebreo convertito al cattolicesimo,
studioso di medicina e poi filosofo, ha scritto qualcosa di molto simile a Rilke:
per lui “l'animale nasce una volta per tutte, l'umano invece non è mai nato del
tutto. Deve affrontare la fatica di generarsi di nuovo o sperare di essere
generato. La speranza è fame di nascere del tutto, di portare a compimento
ciò che portiamo dentro di noi solo in
modo abbozzato. La sua nascita è incompleta e così il mondo che lo aspetta.
Deve dunque finire di nascere interamente e crearsi il proprio mondo, il
proprio posto, il proprio luogo”. La meraviglia dell’umano sta anche in questa
capacità ‘plastica’, di cui il cervello è ovviamente la guida e l’esempio, di poter
nascer più volte, di adattarsi e di rigenerarsi, di essere nuovo sempre di
nuovo.