SPIRITUALITÀ DI FOLIGNO/TREVI
Uomo semplice, umile, libero
Nel “firmamento” dei santi splende come “un sole” Francesco d’Assisi: “uomo semplice, umile e
libero”. La sua “disarmante semplicità” manifesta, come canta Iacopone da Todi nella lauda a lui
dedicata, “la smesurata amanza de lo cor enfocato” dalla ricerca dell’unum necessarium. San
Francesco splende tra i santi come “uomo umile”; la sua vita testimonia che l’umiltà, “porta di ogni
virtù” e “sorella gemella della mitezza”, annienta ogni inganno del nemico. L’umiltà è il cemento
della concordia, è l’olio che lubrifica i processi del dialogo e rende fecondo il cammino
dell’obbedienza. San Francesco, icona del vero cristiano, si distingue come “uomo libero”; egli
insegna che la libertà, se sganciata dalla verità, diventa un “pretesto per la carne” (cf. Gal 5,13) o
un “velo per coprire la malizia” (cf. 1Pt 2,16). Al contrario, se illuminata dalla verità (cf. Gv 8,32), la
libertà si apre alla dimensione che la realizza in pieno, quella del dono di sé.
La Liturgia ritrae Francesco non solo come “uomo semplice, umile e libero”, ma anche come
“uomo cattolico e tutto apostolico”. La latitudo cordis è l’unità di misura della carità apostolica di
Francesco, che fa pensare a un avvenimento verificatosi nel 1207: il sogno di Innocenzo III, il quale
vede la basilica di San Giovanni in Laterano puntellata dal Poverello con le sue spalle. Giotto
raffigura Francesco intento a sollevare, con l’argano della povertà, la “Chiesa madre di tutte le
chiese”, “colonna e sostegno della verità” (cf. 1Tm 3,15). In Francesco la povertà non ha un valore
sociologico, ma ha un significato teologale: è un modo radicale di imitare Cristo il quale, “da ricco
che era, si è fatto povero” (cf. 2Cor 8,9). La povertà, vissuta sine glossa, è la regola del suo
rapporto con Dio senza mediazioni. “Nulla tra lui e Dio – scrive Romano Guardini nell’opuscolo in
cui traccia il profilo di Francesco –; di questo è forma la povertà. La sua povertà è libertà. Questa
libertà è tuttavia amore”. Interamente riferito a Dio, perfettamente libero per Lui: così Francesco
intende Madonna Povertà. Egli, sposandola, si spoglia di tutto, persino di se stesso (cf. Fil 2,7), e
sperimenta che la povertà è, al tempo stesso, condizione di vera libertà e presupposto della carità
fraterna.
La spogliazione di San Francesco avviene in tre atti: a Foligno vende tutte le stoffe e persino il
cavallo, con l’intenzione di restaurare la chiesa di San Damiano; davanti a Guido, Vescovo di Assisi,
si spoglia dei suoi abiti e rinuncia all’eredità paterna; al rientro dal pellegrinaggio in Terra Santa,
consegna il governo dell’Ordine al suo vicario, fr. Pietro Cattani, mentre papa Onorio III affida la
protezione dell’Ordine al card. Ugolino, futuro Gregorio IX. Con questa definitiva spogliazione
Francesco attua l’obbedienza nella sua forma più pura, l’obbedienza nuda, confermata dalle
stimmate, ricevute “due anni prima della sua morte” presso il Sasso Spicco della Verna, ove
sperimenta la profonda unità tra “sequela, imitatio e conformatio Christi”. “L’esser una cosa sola
col Crocifisso – precisa Romano Guardini – adempie qui la sua consequenzialità estrema”.
(Gualtiero Sigismondi, Vescovo di Orvieto-Todi)