SPIRITUALITÀ DI ALESSANDRIA

Il “gusto” dell'ospitalità

Francesco nel suo predicare in Italia arriva ad Alessandria, oggi in Piemonte ma all'epoca Lombardia, e trova conforto in una casa, dove viene fatto sedere a tavola e sfamato.
Leggendo l’episodio delle Fonti Francescane, è chiaro che il Santo di Assisi sia stato ad Alessandria per predicare e abbia trovato gentilezza. Cos'è, secondo lei l’ospitalità francescana?

Alessandria ha un po’ dimenticato la tradizione di san Francesco. Il Santo ha predicato nella chiesa che attualmente è a lui intitolata e che purtroppo adesso è chiusa. La struttura fu deturpata e trasformata in ospedale militare da Napoleone, e così è rimasta fino agli anni ’70 del novecento. Parlando di ospitalità francescana, non posso non pensare alle Giornate Mondiali della Gioventù. Siamo stati accolti in famiglie dell’altro capo del mondo, da persone che non ci conoscevano: a Panama nel 2019 è stata una bellissima esperienza. Ricordo con piacere anche l’Australia, le persone che ci hanno accolto sono poi venute a trovarmi ad Alessandria. Sono esperienze arricchenti, sia per chi ospita che per chi viene ospitato: è un mutuo legame.

Quindi ospitalità per intessere relazioni…

Quando c’è un interesse comune l’ospitalità acquista un “gusto” particolare. Ricorda l’esperienza di Gesù e degli apostoli: Cristo girava e veniva ospitato.

Oggi, nel 2021 alla luce della situazione attuale – la pandemia, il Mediterraneo che è diventato un cimitero… –, quanto è importante essere ospitali?

È fondamentale. Con la pandemia si è creata un’abitudine “ai muri”, però bisogna imparare l’ospitalità e farlo, soprattutto, in modo diretto: condividere con gli altri. Saper compartecipare, almeno nel mangiare, è un atteggiamento importante. Quando parlo di condividere l’ospitalità, non significa semplicemente dare da mangiare a chi ne ha bisogno, ma mangiare assieme, farli sentire parte di una famiglia: un valore necessario in cui crescere e fare esperienza.

Sono sotto gli occhi di tutti le lunghe code che si formano fuori dalle mense Caritas, persone che ricevevano il sacchetto col cibo da asporto, perché non era possibile sedersi ai tavoli all’interno, annullando così il momento di socialità che si crea attorno ad una tavola.

Non dico solo tra le persone che chiedono un pasto. Quello che sto cercando di realizzare, con molta fatica, che ci siano persone, coloro che non hanno bisogno di affidarsi alla Caritas per mangiare, che si siedano a mangiare con i bisognosi. Questa condivisione del pasto è la forma di ospitalità importante: fa sentire le persone bisognose esseri normali. In diocesi sto chiedendo alle parrocchie turni alle mense della Caritas. Per ora lo facciamo una volta alla settimana ma mi piacerebbe che potesse essere fatto tutti i giorni: persone che invece di servire sono sedute a mangiare, a parlare, a fare compagnia e mantenere relazioni.

Se oggi sulla piazza di Alessandria tornasse a predicare Francesco – un personaggio sui generis già al suo tempo, figuriamoci oggi –, troverebbe qualcuno disposto ad ospitarlo e offrirgli il pranzo?

Sicuramente sì. Le persone buone ci sono, esistono e hanno un fiuto particolare. Le persone buone attirano altre persone buone. Un santo trova sempre qualcuno disposto a dargli una mano; trova la Provvidenza che si esprime nei modi più inconsueti, inimmaginabili ma veri, reali e concreti.

(di Andrea Cova)