speciali

L'inizio di una nuova era. Giovanni XXIII: il Papa viaggiatore - Per i nostri lettori le foto e un video esclusivo

Redazione online
Pubblicato il 30-11--0001

50 anni fa, a sorpresa, Giovanni XXIII si reca pellegrino ad Assisi sulla Tomba di San Francesco.

Quando i treni partivano ancora spinti dal fascino del loro mito, poteva capitare di correre alla stazione, incontro ai vagoni in arrivo, a veder per primi il suo volto sbucare dal finestrino e così salutarlo festanti, chiamandolo sopra lo stridore metallico dei freni, a viva voce, con la gioia di chi rivede un amico. Poteva capitare di accogliere così il proprio parroco di ritorno da un viaggio. Poteva capitare, certo. Solo che....quello era il Papa. Il Papa?! A sorpresa, il 2ottobre 1962, dalla sala stampa del Vaticano era stato diffuso il comunicato ufficiale. "Nell'imminenza del Concilio Ecumenico Vaticano secondo, il Sommo Pontefice ha deciso di recarsi in pellegrinaggio a Loreto, giovedì 4 ottobre, festa di san Francesco di Assisi e, nel viaggio di ritorno, di sostare nella città del Serafico". Un bravo direttore non si fa cogliere di sorpresa, le sue capacità si misurano anche nel saper mobilitare in un attimo tutta la redazione. Un bravo cronista sa di dover correre all'improvviso lasciando a metà il piatto o il sonno se gli eventi lo richiedono.

Il Papa saliva su un treno e andava a Loreto e ad Assisi. Tutto il mondo dei media entrò in fibrillazione. Coprire l'evento richiedeva l'impegno immediato di un gran numero di giornalisti e questo era facile da ottenere. Capire l'evento richiedeva la calma necessaria per riflettere. Questo era un po' più difficile da ottenere pur con l'impegno delle migliori firme. Non ci fu più quella calma, non nel senso in cui la si intendeva prima. Cominciava una nuova era, appresso al Papa viaggiatore anche le idee viaggiavano veloci. Considerata fino a quel momento come un risultato marginale, per non dire inutile, del Concordato, la stazione di San Pietro si ritrovava ora al centro del mondo.

Dalla piccola stazione del Vaticano partiva il primo treno e partiva con a bordo il Papa in persona, diretto verso Ancona. C'erano tante altre stazioni da attraversare, da Trastevere a Narni, a Terni, Foligno, Fabriano, Falconara, Loreto, Assisi. Le Ferrovie dello Stato, italiano, avevano predisposto dieci vagoni e il massimo della comodità per il passeggero più illustre della loro storia. C'erano diversi salotti a disposizione, era pronto un inginocchiatoio di velluto rosso. Anche se brillava un sole ancora tiepido d'autunno, un vagone in testa garantiva il riscaldamento a tutto il convoglio. Un altro vagone in coda garantiva la sicurezza del Pontefice e dei cardinali.

Giovanni XXIII non ebbe modo di saggiare tutta quella comodità. Praticamente fece quasi tutto il viaggio in piedi al finestrino. I primi a capire che una nuova era stava iniziando furono tutti quelli che accorsero festanti nelle varie stazioni, incontro al treno, come per una gara a veder sbucare il volto del Papa e così salutarlo per primi, festanti, chiamandolo a viva voce. Cronisti e cineoperatori rimasero colpiti da un entusiasmo non previsto. La gente correndo sulle banchine, lungo i binari, conquistava un ruolo da protagonista, testimoniato per sempre dal filmato in bianco e nero di quel giorno. Era una folla che cresceva ad ogni tappa, ma Giovanni XXIII non la trattò mai da folla, anzi sembrava che in mezzo a tante teste riuscisse a vedere il singolo individuo e a parlargli come fosse stato il suo parroco o un suo amico. Correre ad ogni stazione era il modo d'essere partecipi di quell'evento, quasi come aver fatto un tratto di strada con Giovanni XXIII, con la sua individuale simpatia diventata un'empatia di massa, la certezza di incontrare qualcuno che ti capiva e la sensazione netta di capire ciò che anche lui provava.

No, quelle non erano più folle radunate per ricevere un messaggio. Erano tanti protagonisti che vivevano un'emozione collettiva. Cominciava l'epoca dei viaggi papali con un primo viaggio che riprendeva lo spirito di San Francesco, partito da Ancona nel 1219 per raggiungere il sultano Kamil Al-Malik, e già comprendeva Benedetto XVI in Libano. Per quanto l'elemento estetico fosse eccezionale, si capiva subito che non si trattava soltanto di attraversare un territorio incrociando paesi e città, campi coltivati e boschi, fiumi e ponti. La politica del tempo aveva la P maiuscola, grande come un'antenna, e infatti Fanfani, presidente del Consiglio, salì sul treno del Papa e fece il viaggio con lui. Fanfani tentava di varare i governi di centrosinistra e il Papa aveva aperto la Chiesa ai problemi delle classi lavoratrici.

Dialogo in un tempo segnato da tante asprezze. Alla festa di San Nicola, a Bari, il sindaco socialista s'era dovuto allontanare perché l'arcivescovo gli aveva ricordato pubblicamente che il divieto a partecipare emesso dal sant'Uffizio valeva anche per lui, alleato degli scomunicati comunisti. E al centro la situazione era anche più dura. Uscendo da Roma quel treno del Papa viaggiava attraverso una società, i suoi problemi, la politica, il lavoro, per incontrare coscienze intorpidite dalla paura del nuovo, del diverso, del futuro. C'erano stati scontri in piazza per fermare il governo Tambroni sostenuto dalla destra.

Qualcuno vedeva un pericolo sociale nelle masse di operai in sciopero. L'Italia si affacciava al balcone di un boom economico che sembrava risollevare i destini dell'Europa martoriata da troppe guerre, eppure nell'annunciare il prossimo Concilio, durante il giorno di Natale, Giovanni XXIII aveva detto: "La Chiesa assiste oggi a una crisi in atto della società. Mentre l'umanità è alla svolta di un'era nuova, compiti di una gravità e di un'ampiezza immensa attendono la Chiesa, come nelle epoche più tragiche della sua storia». Profetico, a dir poco.

È la storia a dirci della velocità con cui passò quel boom economico e dei danni che fece sul carattere e sullo spirito degli italiani, dei meccanismi perversi che innescò, a partire dalla bislacca idea che la ricchezza possa crescere passando impunita di padre in figlio, è la storia a dirci delle generazioni educate fuggiasche al solo sentir pronunciare la parola sacrificio. Qualche salice tra gli ulivi e tra i pioppi della campagna umbra anticipava il prossimo passaggio a livello e anche lì si accalcava una folla fatta di tante persone. Ormai c'era gente anche sui prati lungo la linea ferroviaria e pur senza cellulari e senza e-mail la voce correva più veloce del treno così che al suo passare suonavano le campane più lontane. Raccontano i cronisti di quel giorno d'aver sentito persino le sirene di qualche fabbrica.

Si, perché viaggiare è incontrare e per dialogare bisogna andare incontro all'altro e capire la sua ragione. Tra i tanti suoi meriti, aldilà della simpatia, Giovanni XXIII aveva il dono della semplicità. O forse non era un dono ma uno sforzo costante a capire e farsi capire. Se l'ideologia comunista era errata i movimenti sociali e politici che a quell'ideologia si ispiravano potevano essere portatori di istanze giuste. Su quel treno del 4 ottobre 1962 c'era già il "cortile dei gentili", c'era la volontà di dialogare con i non credenti, il "cortile di Francesco" del 2012 ad Assisi. Non è un azzardo e non sono troppi cinquanta anni perché il dialogo è un viaggio e siamo noi a decidere quanta parte ne faremo assieme.

Cari amici la rivista San Francesco e il sito sanfrancesco.org sono da sempre il megafono dei messaggi di Francesco, la voce della grande famiglia francescana di cui fate parte.

Solo grazie al vostro sostegno e alla vostra vicinanza riusciremo ad essere il vostro punto di riferimento. Un piccolo gesto che per noi vale tanto, basta anche 1 solo euro. DONA