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La pandemia e l'isolamento, a lezione di solitudine

Maurizio Ferraris Unsplash
Pubblicato il 24-02-2021

L'insegnamento di Blaise Pascal

«Tutta l' infelicità dell' uomo sta nel non saper restare quieti in una stanza». Immagino di non essere stato l' unico a ricordare questo passo dei Pensieri di Blaise Pascal (1623-1662) quando, un anno fa, ma sembra un secolo, venne decretato il primo lockdown. E, come tanti altri, beninteso quelli che disponevano di una casa abbastanza grande o almeno di una stanza tutta per loro, mi sono chiesto se non fosse la volta buona per interrompere la corsa del criceto da cui mi ero fatto travolgere negli ultimi decenni, con un crescendo direttamente proporzionale al miglioramento dei treni, alla riduzione dei prezzi degli aerei. Questo però non era certo il caso di Pascal, coinvolto in questioni di trasporto solo per ragioni di carità cristiana, essendo stato l' inventore del primo servizio pubblico urbano della storia, fondando nel 1661 con l' aiuto di un suo amico, il duca di Roannez, un sistema di carrozze che per cinque soldi portavano dalla Porte de Saint-Antoine al Palais du Luxembourg (nei cui pressi abitava Pascal), poi integrato con una seconda linea che collegava la Porte de Saint-Antoine con la Rue Saint-Denis, e con una terza dal Luxembourg a Montmartre.

Per Pascal, nel momento in cui scrisse quelle parole, restare quieti in una stanza significava restare soli con Dio, e questa, come sappiamo, era stata - nella sua vita breve almeno per i nostri standard - una conquista tardiva. Pascal conosceva benissimo i motivi che possono condurre un essere umano fuori della sua stanza, o almeno alcuni, quelli a cui pochi di noi penserebbero. Perché in effetti per la maggior parte dell' umanità restare quieti in una stanza significa non poter guadagnare il necessario per vivere: è una pratica avviata dai nostri antenati cacciatori e raccoglitori, per i quali la stanza era una spelonca, e perfezionata dai nostri contemporanei produttori e consumatori. Quanto dire che per quasi metà dell' umanità, quella col sangue rosso, la scelta di Pascal non era un' opzione praticabile, dovendo guadagnarsi il pane, e per un' altra quasi metà dell' umanità, le donne, del cui bonheur non sembra preoccuparsi, trattandosi di restare in casa ma non in pace.

Per Pascal, così come per sua sorella, a cui dobbiamo la sua prima biografia, le cose andavano altrimenti. Nato da una ricca famiglia provinciale trapiantatasi a Parigi quando era bambino, conobbe l' orgoglio della mondanità e della fama scientifica, affermandosi sin da ragazzo come matematico. Nel 1642, per aiutare nelle sue incombenze il padre, grand commis dello Stato, inventò la prima calcolatrice della storia (almeno così si credeva, ne aveva fatta un' altra, e migliore, un tedesco, vent' anni prima di lui) e certo la più famosa, poiché Pascal la magnificò a destra e a manca presentandola a Corte, regalandone un esemplare a Cristina di Svezia e ad altri aristocratici, diffondendola tra le accademie.

Quando Pascal parla degli uomini che giocano a paume al solo scopo di potersi vantare dei loro successi, che brigano per ottenere incarichi e titoli, che sono più nobili nella loro noia che nei mezzi a cui fanno ricorso per porvi rimedio, sa di che cosa parla. E nel momento in cui descrive un re, che per lui era il Re Sole, malgrado questo insoddisfatto al punto di dover cercare consolazione in un nuovo passo di danza, Pascal descrive con esattezza la società dell' Ancien Régime descritta da Taine nelle Origini della Francia contemporanea , quella società in cui non si poteva restare soli un momento, e ci si doveva vestire di fronte a mezza Versailles (ciò che, come sappiamo, provocò un crollo nervoso a Maria Antonietta, che a Vienna si era abituata a una maggiore riservatezza, o normalità).

«Si consumava in pubblico la propria candela», a quei tempi e in quella classe, e Pascal ci si mise d' impegno almeno nella prima parte della sua vita, la seconda essendo stata un andirivieni tra il monastero di Port Royal, la casa al Luxembourg e qualche salotto, dove però, notavano, non era più troppo brillante, un po' come, secoli dopo e più o meno dalle stesse parti, Proust quando ritornava in società lasciando la stanza in cui lo aveva rinchiuso non il lockdown, ma la Recherche. Come Proust, Pascal aveva ritrovato la sua solitudine, che tuttavia per lui consisteva nel colloquio con un unico interlocutore: «Oblio del mondo e di tutto, tranne Dio», come scrisse dopo la crisi mistica che, il 23 novembre 1654, poneva termine a un processo di conversione che risaliva al 1646. Da quel momento Pascal si sarebbe misurato solo con il dio che atterra e suscita, convinto, da giansenista quale era, che l' uomo non possa salvarsi con le proprie opere ma sia totalmente in balìa dell' Onnipotente, e dunque della predestinazione e della grazia.

Che la nostra solitudine non abbia provocato conversioni di massa (come qualcuno si aspettava, non senza ingenuità) dipende da due elementi che non si possono trascurare. Il primo, teologico, è che la solitudine di Pascal era il risultato di una conversione già avvenuta, e pensare che lasciare qualcuno chiuso in casa per qualche settimana ne accresca la spiritualità è avere un concetto singolare tanto dello spirito quanto della carne. Il secondo, tecnologico, è che, nel caso del lockdown, la reclusione non ha in alcun modo coinciso con la quiete e l' isolamento. La maggior parte di noi ha certo cambiato abitudini e modi di lavorare e di vivere, ha avuto forse tempo per riordinare le proprie idee, ma certo sola non è stata, perché ovunque, anche nel più stretto o remoto degli isolamenti, ci raggiungeva il web, e soprattutto la novità del momento, l' uso massiccio di videoconferenze che ha fatto sì che per molti ci siano stati più incontri virtuali in questi ultimi mesi che incontri reali nell' anno precedente, quando per incontrarsi bisognava comunque viaggiare, o quantomeno spostarsi. Convinto come sono che per arricchirsi spiritualmente non sia necessario isolarsi nel deserto della Tebaide, credo che un altro insegnamento del virus sia consistito meno nell' insegnarci a star chiusi nelle nostra stanza che non nel capire quanti viaggi si possano fare intorno alla propria stanza. (Repubblica)

 

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