I francescani a Trastavere: Aiutiamo i giovani ad uscire fuori dal tunnel
Nel cuore di Roma a Trastevere, c'è un gruppo di francescani che già da due anni ha recepito il messaggio lanciato da Papa Francesco, cioè quello di tenere i conventi aperti per aiutare i più bisognosi. Sono i frati dell'antico convento di San Francesco a Ripa Grande, che custodisce la cella dove San Francesco d'Assisi sostava durante i suoi soggiorni romani. Qui il "poverello" accudiva i lebbrosi che ricorrevano al suo aiuto e l'odierno refettorio era il lebbrosario.
RIPA PER AIUTARE I PIU' DEBOLI - E in quel solco, nel sostegno e nella cura del prossimo, che i francescani hanno dato vita alla fraternità "Ripa dei Settesoli". Il progetto, si legge sul sito della parrocchia, è nato in seguito ad un lungo discernimento avvenuto durante il Capitolo Provinciale 2011 dei Frati Minori del Lazio, con l'obiettivo di far fede allo spirito francescano delle origini e di vivere il Vangelo in comunione fraterna. Il progetto Ripa - Rinascere Insieme per Amore - prevede un percorso personalizzato volto al recupero dell’'integrità del sé e l’'accompagnamento al reinserimento sociale e lavorativo per ciascun fratello ospite della fraternità. Questo cammino fonda la sua forza sulla centralità del Vangelo, strumento di vita quotidiana, e sul potere curativo e rigenerativo della vita in comunità.
RECUPERARE IL RAPPORTO CON SE STESSI - «Nel 2011 - racconta frate Stefano Tamburo - abbiamo accolto il Capitolo provinciale dei Frati Minori sul tema "La profezia dei giovani". E così abbiamo pensato di dare un aiuto concreto a quell'universo giovanile che vive col terrore del domani. Precarietà, crisi economica, sfascio delle famiglie: sono tutti timori che attraversano le nuove generazioni. Si è provato con "Ripa" a dare una risposta concreta a questo "grido di dolore", inventando un progetto di accoglienza, frutto di uno studio collettivo con tutti i frati della provincia romana». L'idea di base è che i giovani che vengono dalla strada, a prescindere se sono profughi, migranti, o semplicemente cittadini italiani, hanno necessità di recuperare autostima e speranza, e si stimola questo percorsolo attraverso il recupero delle relazioni fraterne. Prima il recupero del rapporto con se stessi, e poi si esaudiscono le loro necessità: permesso di soggiorno, scuola, formazione e lavoro. «Gli diamo la possibilità di non pensare al vitto e alloggio», spiega il frate. La capienza del convento è attualmente di 30 persone.
LE DUE FASI DELL'ACCOGLIENZA - L'accoglienza si svolge in due fasi. I ragazzi vengono accolti in una sorta di dormitorio. Arrivano generalmente di pomeriggio, cenano in convento e iniziano a dialogare con i numerosi laici che aiutano i frati. Si cerca di capire che tipo di persona si ha di fronte e come organizzare al meglio il progetto "personalizzato" di recupero. Questa fase dura almeno due mesi. «Cerchiamo di capire se la persona è disposta a mettersi in gioco - osserva frà Stefano - non gli promettiamo il Paradiso ma se vediamo che la risposta della persona è positiva, allora si avvia il percorso, durante il quale ci avvaliamo della consulenza di avvocati, psicologi e volontari».
E qui scatta la seconda fase, che però non ha un tempo prefissato. E' la fase in cui si prova ad inserire il giovane nella società. Si contattano le associazioni cattoliche che operano sul territorio ed insieme si valuta un'occasione da poter dare alla persona in questione.
CHI SONO I GIOVANI DI "RIPA" - Tra i giovani che approdano al progetto di recupero dei francescani di Trastevere, oltre ai migranti senza permesso di soggiorno, che sono un po' le "figure di riferimento" dell'accoglienza in convento, si accostano giovani che stanno alla fine della pena domiciliare, molti dei quali provenienti dal carcere minorile di Casal del Marmo. «Ma non siamo né una casa di cura, né un centro di psicologia applicata», precisano in coro i frati che insieme al responsabile Stefano Tamburo coordinano i percorsi spirituali "ad personam".
DAL MALI A ROMA PER COSTRUIRSI LA PROPRIA VITA - Tra tutte le storie, una che è rimasto nel cuore di fra' Stefano è quella di un ragazzo originario del Mali, che a 14 anni ha lasciato il suo paese dilaniato da una violenta guerra civile. Ha attraversato il deserto, è approdato in Libia dove ha lavorato per due anni in condizioni indicibile e poi ha deciso di tentare il "salto" verso l'Italia. Si è imbarcato su una "carretta del mare" come tante altre migliaia di profughi ed ha attraversato il Canale di Sicilia. Ha lavorato prima a Napoli e dopo a Bari. Infine, l'arrivo a Roma dai frati minori. Ha seguito il cammino che gli è stato proposto ed ora lavora come facchino in albergo a Roma, si può permettere di pagare un affitto ed è tornato in Mali per sposarsi (la sua donna gli era stata promessa sin da quando è nato). «Non facciamo miracoli, ma diamo speranza - ragiona fra' Stefano - questa è semplicemente una storia tra le tante. Facciamo in modo che una persona emerge e supera la crisi interiore. E' questo il messaggio centrale dell'esperienza che proponiamo a tutti».
UN PERCORSO CHE NON SUPERANO TUTTI - Ma non tutti hanno avuto la possibilità di avviare il percorso di recupero. I frati, dopo i primi colloqui, sono stati anche costretti a dire "no" a chi non ad esempio non voleva distaccarsi dai "giri pericolosi" che frequentava. «Io non ti posso aiutare se continui a spacciare o rubare», è il discorso che i francescani fanno in questi casi. «Facciamo un discorso di onestà intellettuale - aggiunge frate Stefano - alcuni non lo hanno accettato. In altri casi abbiamo riscontrato ancora collusioni con attività malavitose e li abbiamo mandati via con il risultato che sono tornati in carcere dopo poco tempo. La seconda chance noi la diamo, a meno di condizioni particolari, ma ripeto, ci vuole un segnale anche della persona che abbiamo di fronte».
NEL SOLCO DI PAPA FRANCESCO - Insomma, il messaggio di Papa Francesco sull'apertura dei conventi alle persone in difficoltà è ben che recepito dalle parti di Trastevere. «Quello che mi colpisce di più del Papa - evidenzia ancora il frate - è la volontà di dialogare con tutti, di stabilire una relazione con qualsiasi persona. Noi operiamo proprio in questa direzione. In un mondo dove oggi non ci si conosce neppure chi abita nello stesso palazzo, è fondamentale riscoprire questo lato di umanità molto importante. Nel suo indirizzo dato al ministero petrino, Papa Francesco a mio avviso ha voluto riprendere fino in fondo il filo del discorso francescano: come se a San Francesco avesse chiesto di aiutarlo in questo suo percorso di Pontefice».
DAL POVERELLO PER "IMPARARE" - E la sua recente visita ad Assisi ha proprio questo significato: «Un alunno che viene dal maestro ad imparare ancora di più come ampliare le relazioni nel mondo di oggi nel segno dell'umiltà - conclude il padre francescano di Trastevere - è una battaglia difficile perché imperano guerre, paure, dove si teme l'altro sopratutto se è straniero. Il viaggio ad Assisi è stato pertanto un modo per rafforzare ulteriormente la propria fede. Fare in modo che la Chiesa trovi la forza per parlare sempre più ad un "mondo nuovo", dove si intrecciano politica, altre religioni, particolari categorie sociali, omosessuali, che lui considera persone come le altre: la missione finale è quella di tessere un grande dialogo a 30 gradi in cui nessuno sia escluso. E' qui che risiede il senso della grande sfida di Papa Francesco».
Inviato -
Gelsomino Del Guercio
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