Giornata mondiale del malato, la voce degli operatori del Serafico
Hanno assunto un ruolo chiave per i ragazzi disabili ospiti e le loro famiglie
Mai come quest’anno la celebrazione della XXIX Giornata Mondiale del Malato, che ricorre l’11 febbraio 2021, in memoria della Beata Vergine Maria di Lourdes, diventa momento propizio per riservare una speciale attenzione alle persone malate e a coloro che le assistono e le curano, non solo nei luoghi come il Serafico, ma anche nelle famiglie dei pazienti e degli operatori. Quest’anno il comune pensiero va in particolare a quanti, in tutto il mondo, patiscono gli effetti di una pandemia dirompente e devastante che ha spazzato via le certezze su cui abbiamo fondato la nostra quotidianità, ridisegnando a volte il significato autentico e profondo della vita, della malattia stessa e purtroppo anche della morte. (...)
Al Serafico, operatori e sanitari hanno assunto un ruolo chiave per i ragazzi disabili ospiti e le loro famiglie: “Tantissime sono le storie che potremmo citare, dalle caratteristiche molto simili, per la drammaticità e l’intensità dell’esperienza vissuta. Dal momento in cui abbiamo appreso i primi risultati di positività, lo scopo di ogni nostra giornata è stato quello di curare i ragazzi, di sconfiggere questo male invisibile e di proteggerli. Le vite di molti di noi sono cambiate, mettendo da parte le nostre famiglie e i nostri affetti, anche allontanandoci da loro, per dedicarci anima e corpo alle fragili vite che ci sono state affidate”, dichiara la Presidente Francesca Di Maolo.
(...) La celebrazione della Giornata Mondiale del Malato è diventata per il Serafico l’occasione per raccogliere le testimonianze degli operatori e dei sanitari, punto di incontro e di sintesi tra pazienti e famiglie, tra la propria casa e il luogo di lavoro. “In questo periodo di crisi – racconta Alberto, Fisioterapista – mentre molti aspetti della relazione venivano compromessi, altri si sono intensificati e approfonditi. Nel gruppo dove opero con bambini e ragazzi, così come con gli operatori, la familiarità, l’attesa, la gioia, il pensiero o la preoccupazione per un momento critico dell’uno o dell’altro si sono approfonditi e hanno nutrito le mie giornate. In tempi in cui non si sa come immaginare il futuro, i nostri ragazzi mi hanno tenuto vicino alla concretezza dell’oggi, all’essenzialità della vita nei suoi elementi più semplici. È sempre stimolante lasciarsi interrogare dalla gioia che esprimono, anche solo per il fatto di poter uscire a camminare e stare a contatto con la natura durante le nostre terapie”.
“Ho affrontato l’ingresso del virus al Serafico nei giorni successivi ad un ritiro spirituale che mi ero concessa – ricorda Suor Ornella Ciccone, Neurologa Pediatrica – quasi a dire che anche il Signore mi abbia preparata a tutto questo. Ho intravisto il bene anche in mezzo al Covid, tutti appassionatamente coinvolti nel venirne fuori insieme: medici, infermieri, operatori e personale di pulizia e di cucina. Tutti idealmente per mano in una catena, in una cordata in cui i ragazzi erano parte della cordata stessa, nel dare a noi la forza per poi diffonderla e condividerla gli uni con gli altri. Bastava un saluto proprio dei ragazzi che ci riconoscevano sotto le tute e dietro le mascherine e quel saluto era di stimolo e di slancio verso il comune obiettivo di uscirne insieme. Giorni difficili, in cui di fronte anche ad un forte colpo di tosse di un ragazzo, oltre alla riflessione sul cosa fare in termini di cura, subentrava anche la preghiera affinché tutto potesse andare per il meglio”.
“Il nostro esserci qui al Serafico – racconta Michele Tufo, educatore, in occasione della Giornata Mondiale del Malato – nel restare accanto e nel curare i disabili gravi, rende tutto più vivo e ci consente di essere una garanzia per tutti coloro che hanno bisogno di noi, partendo dai più fragili, i sofferenti, i disorientati, fino a raggiungere i familiari, i colleghi di lavoro e gli amici. Abbiamo bisogno di ricevere e donare quella fiducia, che rende completa la nostra vita. L’esperienza del Covid ce lo sta insegnando più che mai, a volte nelle quarantene imposte a chi lo ha vissuto o accanto al letto di chi lo sta affrontando”.
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