San Giovanni Battista patrono di Firenze tesoro culturale e spirituale d’Italia
“Firenze è come un albero fiorito che in piazza dei Signori ha tronco e fronde”, così nell’opera “Gianni Schicchi” (tratta dall’omonimo personaggio presente nella “Commedia” dantesca, canto XXX) di Giacomo Puccini viene descritta una delle più belle e preziose città della nostra Penisola, Firenze. Città, ricca di storia, di cultura, di illustri natali nel mondo della poesia, della musica, del teatro, della pittura. Insomma, la città dell’Arte per eccellenza, come tutti sappiamo e abbiamo studiato – chi poco, chi tanto – nelle pagine dei libri di Storia.
Patrono della città, è San Giovanni Battista, festeggiato il 24 giugno. “Simbolo della rettitudine morale e della correttezza politica”, su cui la Firenze medievale aspirava a fondare la propria fortuna economica, tanto che la sua immagine era stata perfino impressa sulla moneta ufficiale, il fiorino. Un connubio, quindi, assai stretto fra il comune toscano e il santo. I festeggiamenti, fin dal Medioevo, infatti, erano una possibile dimostrazione della sua potenza e la grandezza. La festa rappresentava un momento importantissimo per tutta la cittadinanza. Basti pensare che tutti gli uomini sopra i quindici anni, avevano l’obbligo di portare – nel giorno della festa –un cero da presentare al Battistero.
Città colma di addobbi, di fiori, di stendardi finemente ricamati che ricoprivano sfarzosamente le mura domestiche o interi palazzi. Piazza del Duomo, fulcro di così copiosi festeggiamenti. Tutta la piazza, in grande festa, veniva ricoperta da una grande tela. Già dal giorno precedente, e precisamente dopo i primi Vespri, incominciava la tradizione popolare dei doni votivi. Era festa di luce. In fondo, non poteva che essere così, visto la storia dell’illustre festeggiato: quel Giovanni Battista, venuto prima della vera Luce, il Cristo.
I ceri erano i veri protagonisti del tutto. Una parte di questi, veniva fatta ardere all’interno del Battistero – come abbiamo detto – per tutto l’anno, mentre i rimanenti, venivano venduti. Con il denaro ricavato, si provvedeva alla manutenzione e all’abbellimento della chiesa. I ceri erano donati non solo dalla Signoria, ma anche dalle Magistrature della Repubblica, dalle varie Arti, dalle Compagnie laiche e religiose e dalle “terre” sottomesse dal comune di Firenze.
Ecco arrivare il fatidico giorno del 24 giugno. Cerchiamo di immaginare, per un istante – magari chiudendo gli occhi – le strade, le piccole piazze, il mormorio dei fiorentini dell’epoca. Forse ci potrebbe aiutare, in questo viaggio fantomatico, qualche fotogramma zeffirelliano, così denso di particolari per costumi e scenografie. Dalla cattedrale, vediamo fuoriuscire una solenne processione di tutto il clero. Esce dalla porta principale. Varca quella del brunellesco Battistero, detta “porta del Paradiso”.
E’ un collegamento, una sorta di enorme corda umana che lega i due luoghi di fede più famosi della intera città. La processione è “protetta” da Dio: una sorta di velatio copre l’intera processione di uomini, sono sotto una copertura di teli detta “cielo”.
A tale processione ‘religiosa’ prendevano parte tutti i corpi ecclesiastici regolari e secolari, fra i quali si distinguevano già le «compagnie d'uomini secolari», ovvero le confraternite dette “dei laudesi” e dei “disciplinati” composte da adulti e da fanciulli. Erano loro che avevano il compito di cantare salmi o laudi accompagnati da strumenti musicali, e di fare “rappresentazioni”.
La natura di queste è difficile da stabilire. Si trattavano, molto probabilmente, di “carri”, tipica espressione del teatro medioevale, sui cui i membri di alcune confraternite inscenavano episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento, oppure “tableaux vivants” o pantomime. Il ricordo di un anonimo spettatore greco, giunto a Firenze nel 1439, per il concilio fra le Chiese d’Oriente e d’Occidente, offre un’immagine assai curiosa di questi accadimenti:
“Fanno una grande processione e una festa popolare, in cui compiono dei prodigi, quasi dei miracoli o rappresentazioni di miracoli. Infatti, fanno resuscitare i morti; S. Michele calpesta i demoni, mettono in croce un uomo come Cristo, rappresentano la resurrezione di Cristo; fanno fare a uomini i Magi, con uomini allestiscono la nascita di Cristo; con i pastori, la stella, gli animali e la mangiatoia. Poi vanno in processione con statue e reliquie di santi, immagini e venerande croci; precedono sempre le trombe e altri strumenti musicali. Che dire del fatto che ad un monaco fecero rappresentare S. Agostino, lo misero ad un’altezza di 25 braccia e lì camminava su e giù e predicava? Fecero fare a mimi gli eremiti colla barba, che camminavano in alto con piedi di legno: spettacolo impressionante! Vedemmo anche delle statue, alcune molto grandi, altre alte, che camminavano con pesantezza. Che dire di S. Giorgio, che rappresentava il miracolo del drago?”.
Un susseguirsi di celebrazioni, come abbiamo visto. Queste, si protraevano addirittura per alcuni giorni, durante i quali gli artigiani avevano la possibilità di commerciare i loro prodotti. In questo periodo, si svolgevano – tra l’altro – due palii, immancabile istituzione medioevale. Alla vigilia del 24, quello dei cocchi: quattro cocchi di legno percorrevano Piazza Santa Maria Novella. Mentre, nel pomeriggio del giorno di della festa di S.Giovanni, si correva il palio dei berberi (o “barberi”), una corsa di cavalli che prendeva il nome proprio dalla razza equina. Il palio era una tradizione risalente addirittura al 405 d.C.
Le due giornate di festa, non potevano concludersi se non con i cosiddetti “fochi” che si svolgevano sempre in Piazza della Signoria, fino al 1826. Cessati, poi, a causa di un incendio. Anche Oggi, i “fochi” illuminano, nella notte del 24 giugno, tutta la città, dal famigerato piazzale Michelangelo. Luci, emozioni, calori e colori he invadono – tutt’ora – la città fiorentina, carica della sua tradizione medioevale. Epoca, troppe volte conosciuta come “buio”, mentre, proprio come queste manifestazioni testimoniano, ricca di luce, e bagliori.
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