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Ravasi, Nell’Umanesimo we trust

Gianfranco Ravasi ANSA/MAURIZIO BRAMBATTI
Pubblicato il 26-01-2020

Il Rinascimento dello Spirito passa anche da Assisi (da Il Sole 24 Ore)

Il 27 ottobre 2011 papa Benedetto XVI decise di commemorare nella città di San Francesco i 25 anni dal famoso incontro interreligioso di Assisi, voluto dal suo predecessore Giovanni Paolo II. La novità fu rappresentata dalla presenza, richiesta dal pontefice, di un gruppo di non credenti. La scelta delle figure da invitare fu affidata a me che, a capo di quella delegazione, proposi la nota filosofa e psicanalista franco-bulgara Julia Kristeva. Il suo intervento di grande originalità e acutezza impressionò il papa, perché riusciva a intrecciare in pochi paragrafi sia il rigore della riflessione post-illuministica sia l’immenso patrimonio socio-culturale delle molteplici tradizioni spirituali, iscrivendolo nell’orbita della modernità.

Ebbene, il titolo assegnato a quella comunicazione era Osare l’umanesimo, ed è proprio attorno a questa parola quasi magica, ma anche da alcuni esorcizzata, che vogliamo proporre una considerazione breve e semplificata. Il vocabolo, infatti, è stato una stella polare del pensiero di questi ultimi secoli, a partire dal Rinascimento col suo rimando alla civiltà classica greco-romana. È stato, però, anche una sorta di stereotipo da applicare a eventi di ogni genere, persino religiosi, come nel caso del Convegno Ecclesiale Nazionale celebrato a Firenze nel 2015 sotto l’egida del titolo In Gesù Cristo il nuovo umanesimo. L’etichetta «nuovo Umanesimo» è divenuta ormai comune, imposta a saggi vari (alcuni molto interessanti come quello di Michele Ciliberto) e persino a documenti pastorali, come il suggestivo discorso di Sant’Ambrogio del 2014 del cardinale Angelo Scola intestato a Un nuovo umanesimo per Milano e le terre ambrosiane.

Certo è che la genealogia di questa categoria è imponente e ha registrato le tappe più diverse, attraversando persino testi socio-politici: si pensi alla Dichiarazione Universale delle Nazioni Unite (1948). Anzi, ha avuto una curiosa deriva semantica di cui sono stato testimone proprio nel citato incontro di Assisi. In quell’occasione si accese, infatti, una discussione sulla designazione di quel gruppo di «non credenti»: essi rigettarono subito l’ormai arcaizzante «ateo», così come l’epiteto «agnostico» (i credenti sarebbero allora «gnostici»?) o il negativo «non credenti», o il troppo politicizzato «laico», per altro passibile pure di un significato ecclesiale. Alla fine si optò per «umanisti», accolto con qualche perplessità da parte mia che mi sento, anche per studi, un «umanista».
(...)
Questa provocazione, che è strutturale al cristianesimo, rivela anche il divario dal nitore olimpico dell’Umanesimo rinascimentale, pur capitale per la stessa cristianità, un orizzonte verso il quale sarebbe interessante ritornare per scoprirne - anche in sede critica - la trama ideale, culturale e spirituale. È ciò che desidereremmo fare in futuro.

(da Il Sole 24 Ore, del 26 gennaio 2020)

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