La nuova didattica, a distanza e in aula
Chi ha il privilegio di insegnare - nel mio caso un corso universitario —in questi giorni è combattuto da una sensazione davvero paradossale. La consueta voglia di vivere la classe con l’entusiasmo e la complicità del Robin Williams dell’Attimo fuggente e, allo stesso tempo, la paura di violare le regole che giustamente ci costringono al distanziamento fisico per ridurre il rischio di contagio del Covid 19. Si insegna quindi a distanza, con visiera o mascherina, incollati alla lavagna, con il terrore dei protocolli. I più fortunati — si fa per dire per i più conservatori! — sono anche immortalati da una telecamera che permette di seguire in streaming la lezione a chi non è in aula per una febbre stagionale o, nel caso delle università, perché magari non ha ottenuto ancora il visto da un Paese quarantenato.
Ma anche tra questi «fortunati» c’è chi dispone solo di una telecamera che vincola il movimento in pochi metri violando così il principio socratico della lezione peripatetica. Insomma, ci si muove pocoesi parla molto, il contrario di quello che la pedagogia insegna per stimolare attenzione e curiosità degli studenti meno attenti e più distratti. In questa situazione di apnea accademica e scolastica siamo portati a consultare la sola bussola di cui ora disponiamo durante la lezione per caìpire se stiamo navigando con la giusta velocità: lo sguardo dei ragazzi mascherati. Gli occhi sono tutto, ma al di sopra di una mascherina rischiano di essere poco e niente e di nascondere il vero stato d’animo degli studenti.
Insomma anche per i prof più esperti la vita nella «nuova normalità» è davvero dura! Ma la storia ci insegna che ogni occasione tragica è fonte di innovazione. Ecco quindi che la resilienza e la creatività ci porta a sperimentare. I prof che maggiormente sentono la loro responsabilità di educatore e quelli che meglio si destreggiano con le tecnologie si inventano la classe del futuro. Anziché soffermarsi su quegli occhi, innovano come in molti hanno già fatto durante il lockdown o stanno facendo in questi primi giorni della ripresa delle attività didattiche. I più avvezzi alla tecnologia predispongono chat di classe, lanciano sistematicamente sondaggi e coinvolgono le ragazze e iragazzi in discussioni a metà tra analogico e virtuale. Qualcun altro si inventa nuove modalità di interazione asincrone, segmentando e scaricando parte del contenuto della lezione fuori dall’aula per poi fare veìrifiche costanti in aula che aiutino a capire lo stato di avanzamento di tutta la classe. Altri ancora si inventano simulazioni che grazie anche alle tecnologie più banali che tutti oramai abbiamo in tasca non solo dinamizzano la lezione, ma aiutano a renderla più attiva e pratica.
Insomma forzata mente innoviamo e integriamo la tecnologia in aula nel futuro perfetto che sarà in presenza, ma verrà potenziato dalla tecnologia. La rete, se gestita con l’intelligenza e l’esperienza di un professore, presenta un serbatoio di contenuti fondamentali che sono diventate vere e proprie commodity, forse inutili da insegnare in classe. Il momento pedagogico in aula è limitato e quindi d’oro e deve essere dedicato all’approfondimento non al raccontare quanto si può già sapere attraverso altre fonti, spesso più dettagliate ed esaustive. Il momento in aula deve essere unico nel trasferire contenuti che altrove non si possono imparareeche solo l’esperienza del professore può trasferire. E deve essere dedicato alla certezza che tutti, senza alcuna forma di esclusione, crescano e non solo i più bravi che lo farebbero anche con un professore mediocre. Il professore, anche grazie all’uso sapiente del digitale, diventa così un vero coach in grado di stimolare lo studente, anche con percorsi sempre più personalizzati, in tutte le fasi dell’apprendimento.
A questo anche dovrebbero servire i quattrini del Next Gen EU fund: a migliorare la didattica nelle scuole e nelle università supportando con i giusti incentivi i tanti professori proattivi che stanno inventando nuove forme di interazione in aula con la tecnologia, ma anche favorendo la formazione di chi è meno innovatore così da aiutare lui (e quindi i suoi studenti) a capire come insegnare (e apprendere) nel nuovo futuro che ci aspetta. Solo favorendo queste innovazioni riusciremo a superare questo stadio di nuova normalità e a disegnare una nuova normalità finalmente coerente con il nostro tempo e capace di lanciare il cuore oltre l’appuntamento elettorale destinando i finanziamenti per il futuro dei bambini e dei giovani anche se oggi non sono elettori. E così, a pandemia estinta, quando gli studenti toglieranno la mascherina e con i loro sorrisi e la loro approvazione torneranno ad aiutare i prof a portare in porto con serenità la lezione, vivremo in una scuola e un’università pensata finalmente per chi la vive avendo investito non solo in banchi ma nella nuova didattica. (Corriere della Sera)
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