opinioni

L'indignazione sociologica che genera i nuovi razzismi

Francesco Merlo
Pubblicato il 22-09-2020

È passata, in modo subdolo, l’idea che don Roberto Malgesini sia stato accoltellato e ucciso da quella stessa accoglienza che praticava. Sui giornali, in tv e sui social, i razzisti solo apparentemente si accaniscono contro l’assassino. In realtà ce l’hanno con l’assassinato che santificano. E l’omicida, che raramente è chiamato col suo nome, Ridha Mahmoudi, sempre è “il clandestino”, “il tunisino violento”, "il pregiudicato con decreto di espulsione”, non un individuo concreto ma l’immigrazione tutta, non un balordo armato di coltello come tutti gli altri balordi, non un mascalzone matto, come ha detto il Papa. 

È un diavolo violento perché nero, è un accoltellatore di preti perché immigrato: l’incarnato di un’ossessione. E don Roberto è morto perché aiutava “il clandestino irregolare”. Il prete è il martire della sua stessa Carità, tutta cuore e senza testa, vittima di un amore per il prossimo che un nordafricano ingrato non poteva certo meritare. Ancora: nella glorificazione del prete morto c’è la vituperazione dei preti vivi, l’attacco a quella fitta rete di associazioni che in Italia sono in mano a una magnifica antropologia cristiana che risolve emergenze, crea comunità e conforto, apre dormitori e distribuisce pasti, ingaggia avvocati, trova lavori, scova e cova talenti. E bisognerebbe raccontarli uno per uno i don Malgesini d’Italia, salesiani grandi ed energici, francescani allegri, missionari instancabili, un esercito che papa Francesco incoraggia e protegge attraverso la francescanizzazione dei territori diocesani, dove frati e parroci sono stati nominati vescovi, “monsignori di strada” da Corrado Lorefice a Palermo, al cardinale Matteo Zuppi a Bologna, a Marco Tasca a Genova.

Ovviamente io non credo affatto che Ridha Mahmoudi sia una vittima della società, un poveraccio da proteggere, un fratello da abbracciare, e non capisco perché non si sia riusciti a espellere questo immigrato delinquente. E però Ridha Mahmoudi è l’immigrato che ha ucciso don Roberto, ma non ha ucciso don Roberto perché è un immigrato. Clandestino, ha accoltellato il prete ma non lo ha accoltellato perché è clandestino. Malattia infettiva del pensiero, qui si capisce bene che l’indignazione sociologica applicata alla cronaca nera è la madre di tutti i razzismi moderni. Per esempio i fratelli Bianchi che hanno ucciso Willy a Colleferro sono assassini tatuati e maestri di arti marziali ma non hanno ucciso Willy perché tatuati e maestri d’arti marziali. Sembra niente, ma il verme maligno che può far marcire questo paese spaventato è tutto qui, nel sociologismo ideologico che semplifica e generalizza, che astrae e dunque persegue non i singoli delinquenti ma il colore della pelle o i disegni che hanno sulla pelle, la loro nazionalità o la collettività o la famiglia da cui provengono, il Dio a cui si affidano o il padre che li ha cresciuti... E diventano “fascisti” persino i nobili sport che praticano.  

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