Comencini: La storia ha bisogno di noi
Il ruolo delle donne nella società di oggi
Dieci anni fa, il 13 febbraio 2011, ci fu una manifestazione che portò in piazza in tutta Italia un milione di persone. Fu lanciata da un gruppetto di una ventina di donne, nato spontaneamente, di cui facevo parte. Sentivamo che il nostro Paese non era il nostro specchio. L' immagine che davano di noi le televisioni, la politica e l' informazione era deformata e invecchiava tutta l' Italia. Mettevamo in parallelo le donne, la modernità, la nazione. Non chiedevamo, ci mettevamo al centro delle vicende politiche e umane di quel momento. Fu un grandissimo successo organizzato e inventato artigianalmente prima da poche e poi da una rete sempre più vasta di città: piazze piene di donne, uomini, bambine e bambini, parole antiche e nuove come dignità, un silenzio di più di un minuto di centinaia di migliaia di persone rotto da urla di gioia più che di protesta, canzoni, idee. Un cartello portato da due ragazze mi colpì molto, c' era scritto: "Siamo noi che facciamo la Storia".
E invece curiosamente, da allora, in tutte le rassegne, gli studi storici di quegli anni, la manifestazione più numerosa di tutta la storia italiana è scomparsa. Quando succedono amnesie di questo genere si deve cercare di capire perché accadono. Ci ho riflettuto e penso di avere trovato una spiegazione. La ragione è che, al contrario di quello che le due giovani ragazze avevano scritto sul cartello, il pensiero comune è che non siamo noi che facciamo la Storia. Le nostre azioni sono inserite in studi sull' emancipazione femminile, sul progresso dei diritti delle donne, sulle politiche di genere. Ci toccano spazi specifici sui giornali, spesso accanto ai temi dell' ecologia (assolutamente fondamentali) o dei diritti di minoranze perseguitate (molto importanti anch' essi). Una storia a parte che scorre accanto a quella più grande, come fossimo solo un gruppo da liberare e da equiparare finalmente agli uomini. Una questione che si spegnerà quando avremo raggiunto la parità.
Per questo quella manifestazione non è messa accanto agli accadimenti di quegli anni, è un campionato a parte, un Non Compleanno come direbbe il personaggio amico di Alice nel paese delle meraviglie. Il cambiamento portato dalle donne nella società è invece di tutt' altra natura. Una civiltà cresciuta nei secoli nelle case, sostenendo la comunità intera da lì, creando nel silenzio valori e storie, allevando bambini, curando gli anziani, lavorando senza essere riconosciuta, studiando non potendo per molti secoli dirlo o esercitare la propria scienza, non entra nel mondo per lasciarlo com' è, non si libera dei divieti per dimenticare la propria differenza ma per affermarla.
Siamo noi che facciamo la Storia solo se riusciremo a portare a tutti il nostro modo di esistere, di esercitare il potere, di lavorare, se non chiederemo agli uomini di farci spazio ma costruiremo con loro un posto per due. Questo non è chiaro ancora e non è realizzato. Altrimenti perché la maternità, ruolo obbligato prima, scelto oggi, è vista sempre e solo come una questione pratica da risolvere per permettere alle donne di lavorare (intanto perché solo a loro?). È chiaro che per procreare volendo lavorare servono i famosi asili nido mai costruiti, serve la condivisione e tutto il resto. Ma la maternità è solo questo? O non è invece una questione fondamentale per il Paese intero che le donne portano all' attenzione di tutti, che produce lavoro, bellezza, cultura, cura, relazione, tempo libero, giovinezza, creatività. I figli non sono quello che resta dopo il lavoro, i padri di oggi lo sanno e lo sentono, sono cambiati.
Ma per la politica, le istituzioni, le imprese, la cultura, è sempre un tema minore, privato, da risolvere o anche da non risolvere nelle case. Come una volta. Solo che ora le donne non sono più come una volta e dunque i figli non si fanno più o semmai, all' ultimo momento, si fabbricano in altri modi. La pandemia ha messo in chiaro per tutti, non solo per le donne, che la cura, la coesione sociale, una relazione forte tra le generazioni sono importanti come il lavoro e lo sviluppo economico. Non bisogna avere paura della fragilità dei corpi né del tempo passato ad allevare, a fare crescere. Le donne devono avere il coraggio di affermarlo e di rivendicarlo. Se si potesse lanciare oggi una nuova manifestazione come quella dimenticata di dieci anni fa, credo che questa volta bisognerebbe scrivere: la Storia ha bisogno di noi. (La Repubblica)
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