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Signore, cosa vuoi che io faccia?

Redazione
Pubblicato il 30-11--0001

Come Francesco, incontrarsi con il Signore nel cammino della vita!



Proponiamo ai lettori della Rivista san Francesco, la relazione di fra Lindor Alcides Tofful, ofmconv, pronunciata al V Iternational Meeting di Assisi di "Giovani Verso Assisi"

Sono diverse le testimonianze che troviamo nelle biografie di san Francesco su questa domanda che oggi vogliamo farci (2Cel II,6; FF 587; LM I,3; FF 1032; TC II,6; FF 1401; AP I,6; FF 1492): Signore, cosa vuoi che io faccia?. Così come Saulo di Tarso, in cammino verso Damasco (Atti 9,1-19) ascolta una voce che lo chiama, anche Francesco, a Spoleto, in sogno ascolta la voce del Signore. Questo “sogno di Spoleto”, è solo una parte, certamente importante, del cammino di conversione di Francesco. Seguendo l'opinione di Pietro Maranesi, la conversione di Francesco si sviluppa in tre grandi tappe, scandite da sette episodi particolari , dal sogno delle armi (1204) fino all'incontro con il Papa Innocenzo III (1209): eventi che hanno segnato l'incontro decisivo tra lui e il Signore, tra il Signore e lui. Il sogno di Spoleto appartiene alla prima tappa del suo processo di conversione. Nel suo Testamento (1226), Francesco sintetizzerà questo processo come il “cominciare a fare penitenza” a partire dall'iniziativa (dono) del Signore e dalla sua disponibilità ad eseguire quanto aveva ascoltato da Lui. Si tratta di un cammino lento e progressivo, vissuto intensamente e profondamente, al punto da costruire, insieme una vera storia di vita, una storia d'amore, e che si propone anche a noi oggi come un'opera maestra della Grazia di Dio, una vera “opera d'arte” nella vita di Francesco d'Assisi. Noi oggi ci limitiamo soprattutto a quello che viene chiamato il “sogno di Spoleto”, al suo significato e messaggio fondamentale: l'incontro d'amore tra due persone.

1. Io/noi in questo momento della storia

Francesco d'Assisi, prima di quell'incontro con il Signore a Spoleto, era un giovane “come gli altri giovani”. Era coinvolto direttamente, attraverso i suoi progetti, desideri e sogni, nelle vicende sociali e politiche della sua città in rapporto con i suoi vicini: di ostilità e lotta contro Perugia (novembre 1202), dove viene condotto prigioniero (Francesco aveva circa 24 anni) e chiuso in carcere per circa un anno (novembre 1203); bramoso di gloria mondana (“sarò adorato in tutto il mondo”); aveva sete di avventura, voleva diventare cavaliere e pensava che sarebbe diventato “principe”; si mostrava edonista nelle apparenze (vanitoso), convinto e impegnato nel suo progetto; un giovane di professione mercante, con sogni di ricchezza, entusiasta e gioioso, cortese e nobile di animo, generoso e disposto a realizzare i suoi sogni di gloria. Per quasi due anni (1203-1204), Francesco riflette in un modo diverso, a partire dalle esperienze della vita: un anno in carcere, poi la malattia, le privazioni, l'isolamento. Ma dopo queste prime esperienze di “crisi”, riprende i sui desideri di gloria e si prepara per andare in Puglia. Dopo appena un giorno di viaggio si ferma a Spoleto e in sogno si trova nuovamente con il Signore.
Questi e tanti altri elementi che adesso non è necessario approfondire della storia di Francesco, ci trasmettono un primo messaggio: come a Francesco, è Dio che si presenta a noi, che prende l'iniziativa dell'incontro, nelle circostanze concrete della nostra vita, della nostra storia personale, sociale, ecclesiale concreta. Quando Lui vuole, non ci sono ostacoli, circostanze particolari o “speciali” dove presentarsi e agire. Non siamo noi a scegliere Lui, ma è Lui a scegliere noi (Gv 15,16). Essendo giovane, Francesco, a modo suo, ha vissuto intensamente il suo tempo, la società e la Chiesa degli inizi del secolo XIII. Possiamo chiederci:

• E noi?
• Com'è il nostro mondo? Come è la società e la Chiesa di oggi per noi giovani qui presenti?
• Quali sono le caratteristiche che più ci colpiscono?
• Quali sono parte di noi e quali “no”?
• Sentiamo come parte di noi le ingiustizie e le guerre? Ci interessano l'economia, la politica, le culture, le religioni? Ci preoccupa la famiglia, il lavoro, l'educazione, la salute? più specificamente, gli anziani, le donne, i giovani, i bambini? i poveri, i malati, gli emarginati, i carcerati, i disoccupati, i drogati?
• Siamo degli “attori-protagonisti” o soltanto spettatori passivi o indifferenti e “vittime”?

Quello che conta è che Dio si manifesta nella storia, nella nostra storia, in questo mondo. Forse nel nostro “piccolo” mondo non possiamo “prenderci cura” di tanto e di “tutto”, ma neppure possiamo essere indifferenti a quello che succede. Ci rendiamo conto o no, consapevoli o no:
• siamo parte di questa cultura consumista che non solo si consuma ma che ci consuma (distrugge), dove si consumano non solo delle cose materiali, ma anche quelle affettive e sessuali, psicologiche e spirituali; nel libero mercato tutto è “a portata di mano” per soddisfare un desiderio o, come dice Harvie Ferguson, semplicemente “togliersi una voglia”;
• siamo parte di questa cultura globalizzata dove le nostre comunicazioni sono più “in rete” (networks), più di incontri e relazioni virtuali (attraverso il computer/internet, il telefono o il cellulare, la televisione) che di persona; dove si parla di “connettività” (dove si può entrare e uscire quando si vuole, ci si stanca o non è più soddisfatto il nostro desiderio: in tutti questi casi si può sempre premere il tasto “cancella”) e non più di “relazione”, dove il tempo per essere e stare con l'altro/gli altri è sempre più breve e fugace. Si instaura così quella che è stata chiamata una “relazione tascabile” (Catherine Jarvie): una relazione dolce e di breve durata, ed è dolce perché di breve durata;
• siamo parte di un mondo in cui tutti i nostri sensi, bisogni e desideri, vengono stimolati con violenza e senza scrupoli, dappertutto, soltanto per farci vedere e sentire quanto “schiavi” siamo non solo degli altri ma anche di noi stessi, quanto facilmente cadiamo nella trappola dei manipolatori della coscienza, della libertà, dei desideri, dei sogni, della verità, anche se non ci rendiamo conto…
Francesco aveva desideri di libertà, di gloria, di felicità personale. Come il giovane Francesco, forse anche noi abbiamo un “progetto” di felicità. Qual è il “mio” progetto? una famiglia, molti amici? soldi, una carriera che dia prestigio e fama? appartenere ad una classe sociale elevata? essere ammirato, lodato, adorato dagli altri? Forse, come quello di Francesco, è un progetto puramente “narcisista” dove al centro di tutto sono IO e solo IO; come noi e il nostro tempo che pensa solo a sé ed esclude o emargina gli altri, gli interessa solo il qui ed ora (il presente), senza riconoscere e valorizzare sia il passato come il futuro. Cosa è la vita, l'amore, l'amicizia, la libertà? Probabilmente al centro della risposta sono IO: come io vedo, penso, sento, desidero, voglio …

2. Dio viene incontro a noi nel cammino della vita: l'importanza di “incontrarsi”

La maturazione personale si realizza attraverso la relazione con l'altro, con gli altri. La nostra crescita umana si dà attraverso l'apertura all'alterità, quella capacità di attraversare i limiti del proprio ego per dare spazio all'altro in quanto tale (non alla mia misura). Anche per Francesco è arrivato il momento di cominciare ad uscire dai suoi desideri e sogni di grandezza e autosufficienza, dal suo narcisismo esistenziale di adolescente o di giovane ancora idealista. Attraverso le circostanze della vita, Dio utilizza tutta la sua “pedagogia” per conquistare il cuore di Francesco. Si potrebbe dire, per cominciare una “vera relazione d'amore” o anche di “seduzione”, come la vocazione di Geremia: “Mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; mi hai fatto forza e hai prevalso …” (Ger 20,7). Quello che all'inizio ha sedotto Francesco è stato il dono della sua misericordia, quando lui era “nei peccati” (Test 1). In questo senso, è stato Dio a fare i primi passi.
Nella vita di Francesco Dio si è manifestato in diversi momenti e in diversi modi. Uno di questi modi è attraverso il sogno, e questa volta, a Spoleto, mentre era in cammino verso la Puglia. Nel sogno di Spoleto, Dio s'incontra con Francesco. Quali sono gli elementi più importanti di questo incontro?
• Dio prende l'iniziativa e si serve della nostra “debolezza”. Secondo il racconto, Francesco si trova in un momento di “debolezza” (mentre dormiva), cioè, quando sono basse le proprie “difese” (razionali e volitive), e i desideri profondi (affettivi e inconsci) sono più forti ed esposti (liberi). Il sogno “è interamente governato dalle leggi dell'affettività, presenta una strutturazione che è completamente svincolata dai principi che regolano il pensiero logico…” . In questa situazione si produce l'incontro. Come se il Signore sapesse aspettare e approfittare del momento opportuno, sapesse dove colpire: il cuore, il mondo affettivo di Francesco. È Lui che prende l'iniziativa. Tante volte noi pensiamo che Dio si trova qui o là, e quali siano “le condizioni” migliori per trovarlo: in chiesa, nella preghiera, facendo un ritiro spirituale, in un momento di “contemplazione” o forse di estasi mistica. Tutte cose belle e importanti, ma certamente non siamo noi a determinare il dove, il come, il perché dell'incontro con il Signore.
• Dio “si manifesta” come “una voce”, un Dio che parla: a differenza degli idoli che “hanno una bocca e non parlano” (Sal 115,7). Il Dio dei cristiani è un Dio che parla agli uomini, è un Dio che si rivela direttamente o attraverso delle mediazioni. Soprattutto si è manifestato nella nostra storia attraverso il suo Figlio Gesù Cristo, Parola eterna del Padre, Parola fatta carne. Dio ha una “voce”, Dio parla. Dio, a Spoleto, si manifesta a Francesco come una “voce”. È Dio che incontra Francesco: Dio che parla e Francesco che “ascolta” e risponde.
• Dio comunica se stesso in forma di dialogo: non sempre quando si parla si stabilisce con l'altro un dialogo, una vera comunicazione. Anzi, anche se non ci accorgiamo, in genere, la nostra comunicazione è un “monologo”, un monologo di “sordi”, parliamo e comunichiamo noi, cioè l'“io” rinchiuso in sé stesso: io penso, io sento, io voglio, io desidero, io ho fatto, io … io … . Invece qui, il Signore riesce a rivolgere la sua parola al cuore più che all'orecchio di Francesco . Gli interessa e si rivolge all'altro in quanto tale. Si rivela come un Dio che conosce Francesco. Il Signore tocca le profondità del suo mondo affettivo: le sue relazioni, i suoi desideri, i suoi sogni, i suoi sentimenti, i suoi pensieri (progetti) e i suoi comportamenti, sebbene tutto questo non viene detto esplicitamente. Se Francesco risponde coerentemente alla domanda, significa che ha ascoltato, che “ha capito”. Forse ancora una comprensione piuttosto superficiale, “ad litteram”, “nella testa”, senza comprendere ancora, esistenzialmente e pienamente, il suo significato profondo. Ma non c'è problema, Dio è paziente con noi (Sal 99,8).
• I contenuti del dialogo: riguardano il cammino di Francesco e il senso della sua vita: dove stai andando? Chi è meglio servire o chi ti tratterà meglio? Cioè riguarda l'orizzonte della sua vita e le sue relazioni: con chi è il tuo rapporto? Riguarda un “meglio”, nella gerarchia dei valori. Non che le altre cose non abbiano un loro valore, ma sempre c'è un “meglio”. Francesco parla “di sé”, del “suo ambizioso progetto”, come forse avremmo fatto anche noi: io penso, io vorrei…; o più ancora, come ha detto Francesco: «Ho la certezza che diventerò un grande principe». Lui era, si sentiva sicuro “di sé”. Il tipico ambizioso, che non sa misurare sufficientemente ne se stesso ne gli altri. Colui che pensa, crede di trascinare il mondo dietro di sé: il mondo ai miei piedi, gli altri al servizio di me, io al di sopra di tutti! Ma il Signore lo tocca giustamente lì: nella debolezza della sua pretesa sicurezza, nel suo desiderio ambizioso: diventare “il più grande” di tutti, perché il più forte, il più sicuro, il più … “egocentrico” di tutti. E il Signore, nella sua sottile pedagogia, ha cominciato a fare il suo lavoro.
Quello che conta in tutto questo racconto è soprattutto il fatto di “incontrarsi”: cominciare una comunicazione, un dialogo, uno scambio … Perché ci sia “incontro” c'è bisogno di un “tu/Tu” (l'altro), imparare a uscire da sé, dal proprio “io” e riconoscere l'altro. L'altro è sempre una possibilità, una ricchezza e un limite che mi aiuta a crescere. Francesco non era abituato al vero incontro con l'altro/Altro. In realtà è uno dei problemi più gravi del nostro mondo attuale, delle nostre “relazioni”. Di questo incontrarsi, tra Dio e Francesco, possiamo sottolineare alcuni aspetti che aiutino anche noi a maturare e a crescere:
• La pedagogia di Dio: è Lui che va incontro della persona concreta (Francesco, io) e pian piano tocca specialmente il suo mondo affettivo profondo, cioè le sue relazioni: il Signore (padrone) o il servo, il Principe o il dipendente (suddito), il Dio ricco o l'uomo povero? È come se Dio toccasse la ferita narcisista dell'orgoglio di Francesco, che all'inizio si sente sicuro, ma che dopo si vede scoperto nelle sue contraddizioni: tra il suo dire/pensare e il suo fare. Dice/pensa che è meglio cercare e seguire il Signore, ma in realtà non fa altro che cercare e seguire il servo (se stesso). Per una persona orgogliosa, ambiziosa come Francesco, possiamo immaginare quanto profondo è arrivato questo colpo, fino all'IO profondo e autosufficiente! Noi possiamo dire, che bello! ma anche, quanto dolore! È qui la pedagogia di Dio: nel come fa a “conquistare” il cuore di Francesco. Era necessario che quel contenitore (Francesco) pieno di sé fosse aperto e svuotato lentamente, per poterlo riempire di qualcosa totalmente diverso: la Grazia di Dio.
• La risposta di Francesco. Forse per la prima volta mette il Tu davanti all'Io: Signore, cosa vuoi che io faccia? E siamo nel momento centrale e più intenso dell'incontro. La stessa domanda rivela l'inizio dell'apertura e dell'uscita da sé. Possiamo sottolineare alcuni degli elementi importanti di questa domanda:
? Nell'incontro, l'altro/Altro, il tu/Tu è veramente Altro, è un Tu, che viene riconosciuto come “Signore”: cioè occupa il primo posto, quello “più alto” nella gerarchia dei suoi valori. E così comincia a scoprire e riconoscere, ancora in modo limitato , che questo Signore è l'Altro della sua vita, il Tu della sua esistenza, con cui cominciare a relazionarsi, a conoscersi, amarsi.
? In questo incontro, Francesco si ripropone ancora una volta come “io” ma è un “io” in una posizione diversa. Francesco continua ad essere lui, un “io” con una identità propria (il suo modo di pensare, sentire, agire). Perché ci sia una vera relazione c'è bisogno di “avere” una propria identità, ci deve essere un “io” in relazione a un “Tu”, come due realtà che s'incontrano. Non ci deve essere né dipendenza infantile di uno verso l'altro, ne fusione fra i due, né annullamento di uno o dell'altro, ma incontro maturo, reciproco, di due libertà responsabili che vogliono costruire un rapporto di amore vero e profondo. Prima, c'era solo l' “io” chiuso e autosufficiente di Francesco. Adesso c'è il Tu del Signore in relazione all'io del servo.
? Alla domanda del Signore, Francesco risponde e poi fa anche lui la domanda “cosa vuoi…”. Non è più: io voglio, io desidero …, ma cosa vuoi “Tu” Signore. Qual è il Tuo progetto su di me?, il Tuo desiderio, il Tuo volere, “la Tua volontà”? È qui che si vede il cambiamento di posizione di Francesco! Dopo aver riconosciuto il Tu del Signore davanti a sé, adesso chiede di manifestargli anche la “Sua” volontà. In questo modo Francesco si mostra sincero e coerente con se stesso: continua ad essere “ambizioso” ma non più autosufficiente. Cominciano a muoversi tutte le sue “false” sicurezze costruite sulla sabbia del proprio “IO”.
? La domanda riguarda il suo comportamento: “… che io faccia”. La domanda finisce sul concreto del “fare”, perché qui erano le sue contraddizioni. Per Francesco, non è sufficiente riconoscere l'Altro come Signore e neppure che il Signore gli manifesti la Sua volontà. Francesco mette in gioco non solo il suo modo di pensare e di sentire, ma anche il suo modo di fare, cerca una “nuova” identità esistenziale. Si mostra disponibile a compiere la volontà, il progetto del Signore che è venuto incontro a lui (cfr. Mt 7,21-27). Il progetto del Signore si concretizza in un modo di essere e di vivere.
Questo sogno di Spoleto sembra segnare un momento importante dell'incontro con il Signore, di quel cammino che nel suo Testamento Francesco definisce come l' “incominciare a far penitenza” (Test 1), che è un vero dono che il Signore fa a Francesco. La storia di una relazione che ha cambiato radicalmente la vita di Francesco. Anche noi possiamo chiederci oggi: Come sono le nostre relazioni? Com'è la nostra relazione con il Signore? Alcuni parametri per valutare le nostre relazioni (secondo R.A. HINDE): con gli altri, con Dio. 1. Il contenuto della relazione: di che cosa parliamo? Che cosa condividiamo “con”…? Quali “temi”? 2. La quantità della relazione: quanto tempo io dedico a ….? A chi o a che cosa dedico più tempo? (Dio, la famiglia, gli amici, una persona in particolare, il computer, internet, il cellulare, lo studio, il lavoro…) 3. La qualità della relazione: riguarda soprattutto la profondità, l'intensità, l'intimità, la totalità, l'esclusività… nella relazione. 4. La frequenza della relazione: quante volte? Una volta all'anno, al mese, alla settimana, al giorno, diverse volte? 5. I limiti di reciprocità con le conseguenti valorizzazioni di vantaggio e perdita: limite della libertà dell'altro/altri/Altro; nel relazionarmi con… ci sono sempre dei benefici/vantaggi (materiali, spirituali, psicologici, affettivi) o meno. 6. Le percezioni interpersonali di ognuna delle parti: più o meno “amichevoli”, affidabili, sicure, benevole, amorevoli … 7. Il grado di fiducia e confidenza che ognuno dà all'altro: che dipende sempre dalla persona. Mi fido veramente dell'altro/Altro? perché sì, perché no? Fino a che punto mi fido? 8. Il livello di interiorizzazione della relazione: secondo le dinamiche “motivazionali”. Fino a che punto personalizzo, interiorizzo la relazione (valori, parole, dinamiche, gesti, esperienze …) con l'altro/Altro?

3. L'incontro che ci cambia radicalmente

La domanda di Francesco è certamente piena di significato, ma non finisce lì. Dicevamo, come propone P. Maranesi, che è semplicemente uno dei 7 momenti che hanno segnato il processo di “conversione” di Francesco, cioè il suo cambiamento di vita. Ogni vero incontro produce (al meno dovrebbe) un cambiamento, non lascia la persona “uguale” a come era prima; molto di più se questo incontro è con il Signore, come è successo con Saulo di Tarso in cammino verso Damasco (cfr. Atti 9,1-19), la voce dice a Francesco: “«Ritorna nella tua città e là ti sarà detto cosa devi fare …”. Questo “ritornare” segna l'inizio di una “conversione”: un tornare indietro per la strada intrapresa, come il ritornare del figlio prodigo alla casa del Padre (Lc. 15,11-24). Francesco deve tornare ad Assisi, da dove era partito, per ricominciare “da capo”, adesso per “fare la volontà del Signore” che lo aveva visitato attraverso il sogno. L'incontro con il Signore “cambia” la nostra vita, il nostro cammino, come quella di Francesco. È come dire: il tuo cuore vuole veramente servire il Signore, essere felice, libero, ma … hai sbagliato strada! Torna indietro, cioè cambia, e prendi la strada giusta, quella che Io il Signore ti dirò.
Questo cambiamento comincia a realizzarsi sotto alcune “condizioni” , che in qualche modo segnano “il momento opportuno” del Signore. Fondamentalmente sono tre:
• L'insoddisfazione di sé, della propria vita: è l'elemento motivazionale (soddisfazione/ insoddisfazione) che fa scattare il processo di cambio. Pian piano il Signore accompagna Francesco in questa consapevolezza profonda e che alla fine della sua vita, nel Testamento, esprimerà con i termini affettivi dell'“amarezza” che si trasforma in “dolcezza” (Test 2). È come dice P. Maranesi: “l'amarezza esistenziale che nasce dall'essere nei peccati rappresenta la vera e forse unica possibilità per aprirsi ad una vera novità di vita (…) dal fastidio ingenerato dall'amarezza esistenziale può nascere nell'uomo un vero desiderio di liberazione (…) l'amarezza era il frutto di uno stile di vita indotto da un'assenza, quella di Dio (…) in lui vi era uno stato esistenziale insoddisfatto e amaro” . Il sogno di Spoleto, dice il testo, “lo obbligò a raccogliersi dentro di sé” per cominciare a guardare, vedere, rendersi consapevole di che cosa stava succedendo “dentro” e non solo “fuori” di sé. Dentro di sé scoprirà quella “amarezza” dell'anima e del corpo, che è distanza, lontananza dal Signore al quale vuole servire, è la vera mancanza dell'Altro, del Tu (solitudine) che lo libera da se stesso. Dopo l'incontro con il Signore, il punto di partenza era lui, la sua realtà concreta, la sua insoddisfazione esistenziale perché era “nei peccati”.
• Avere una alternativa migliore: per uscire da questa situazione (realtà, stato esistenziale) ci deve essere una situazione/realtà alternativa concreta e soprattutto “migliore” (condizione di sicurezza). Difficilmente si cambia per qualcosa di “peggio” (al meno consapevolmente), o che non ci sia “un minimo” di “concreto”. La proposta (indiretta, in forma di domanda) della “voce” era quella di servire il padrone non il servo, Dio e non se stesso: chi ti può giovare di più? Francesco “capisce” che questa è un'alternativa migliore, sebbene ancora non capisce fino in fondo tutte “le sue conseguenze”. In ogni cambiamento non tutto è totalmente “sicuro”, sempre esiste un certo livello di insicurezza. Questo non solo è inevitabile, ma è anche la maggiore sfida: non sono più “le mie” sicurezze, ma la mia roccia è il Signore!, non sono io ma l'Altro. E' un salto qualitativo della e nella fede, che è anche dono di Dio.
• Avere una alternativa che sia “dolcezza” del cuore. Cioè, perché ci sia la possibilità di un cambiamento/“conversione”, ci deve essere qualcosa che colpisce e tocchi il cuore, il proprio mondo affettivo, ci sia “un modo nuovo di sentire la vita scoprendo di essa il vero senso e sapore” . In Francesco, il segno affettivo evidente del suo cambiamento sarà la “dolcezza” di anima e di corpo, che riconoscerà poi (nel suo Testamento) nel dono della misericordia: di Dio verso di lui (perché era “nei peccati”) e poi di lui verso “i lebbrosi” (Test 2-3). Era qualcosa che prima non aveva sperimentato. E questo lo riempiva, era una soddisfazione diversa, intensa e profonda. Adesso, la sua vera felicità sta nell'esperienza esistenziale di un modo diverso di rapportarsi, di relazionarsi: con sé stesso, con gli altri, con la natura, con Dio. Nel riconoscersi “fratello”, cioè fra Francesco.
• Tutto questo deve essere molto, ma “molto” meglio di quello di prima: questa è una condizione che riguarda le tre condizioni precedenti. Cioè, l'insoddisfazione esistenziale, la situazione alternativa e l'esperienza affettiva gradevole (dolce), deve avere un livello molto elevato per suscitare, per fare scattare un processo di rinnovamento vero, profondo, costante, “definitivo”. Difficilmente si sceglie un modo di essere e di vivere totalmente diverso per una “piccola” o passeggera insoddisfazione (ce ne sono tante! e non cambiamo niente o solo appena), se non c'è una vera e propria alternativa (deve essere reale, non ideale, immaginaria) “molto” migliore a quella di prima, o se solo tocca il mondo del pensiero o della volontà. Francesco, nel suo Testamento dice “mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi …” (Test 1). Quel “troppo” (estremamente) segna il livello elevato d'insoddisfazione che provava (“nimis mihi videbatur amarum videre leprosos”), che offre la possibilità e l'opportunità di un cambiamento radicale. È la grande distanza (abisso) che separa tra il padrone e lo schiavo, Dio e se stesso, per capire cosa è migliore. E sarà l'esperienza del dono della misericordia di Dio (perché “io ero nei peccati”) a cambiare il suo cuore, il suo mondo affettivo, a livello esistenziale, capace di “fare” (“et feci misericordiam cum illis”), praticare la misericordia con gli altri, lebbrosi come lui prima. Signore, cosa vuoi che io faccia? Siamo anche noi disposti a cambiare a livello esistenziale?
• Tu dici di voler cambiare: ma, tu pensi/credi che sia facile “cambiare”? sei disposto/a a metterla tutta, a coinvolgerti fino in fondo? Certamente tu devi fare la tua parte, ma quello che conta è soprattutto il dono di Dio. • Come vedi nella tua vita “le condizioni” per il cambiamento: l'insoddisfazione, l'alternativa migliore e che sconvolge soprattutto la tua realtà affettiva? A che livello sono queste tre “condizioni”?

4. Perché non fai anche tu della tua vita un'opera d'arte?

Francesco è certamente unico, irrepetibile, e ha saputo fare, per grazia di Dio, della sua vita una vera opera di arte. Come dice Z. Bauman nel suo libro “l'arte della vita”: “La nostra vita è un'opera d'arte – che lo sappiamo o no, che ci piaccia o no. Per viverla come esige l'arte della vita (…) dobbiamo porci delle sfide difficili (…) da contrastare a distanza ravvicinata; dobbiamo scegliere obiettivi che siano (…) ben oltre la nostra portata (…) dobbiamo tentare l'impossibile. E possiamo solo sperare (…) E' per questo che una felicità ‘autentica, adeguata e totale' sembra rimanere costantemente a una certa distanza da noi: come un orizzonte che, come tutti gli orizzonti, si allontana ogni volta che cerchiamo di avvicinarci ad esso” . L'orizzonte di Francesco fu il Vangelo, la persona del Cristo povero e crocifisso: “La regola e la vita dei frati minori è questa, cioè osservare il santo Vangelo del Signore nostro Gesù Cristo…” (Rb I,2). Seguire Gesù Cristo ha dipinto la sua vita di una grande varietà e combinazione di colori , cioè dei suoi doni che hanno fatto di Francesco un vero dono non solo per noi francescani, ma anche per tutta la Chiesa e per tutto il mondo, ieri, oggi e nel futuro.
Signore, cosa vuoi che io faccia? fu la domanda di Francesco, e pian piano si è convertito in un vero artista del Vangelo. Vuoi tentarlo anche tu? Puoi mettere, per esempio, sulla base, nello sfondo, il colore blu, il colore della fede (acqua). È un colore caldo, rilassante, che da pace e serenità, come la profondità del mare o l'immensità del cielo, produce quiete profonda, sentimento di soddisfazione, di armonia, di unione e di sicurezza, di essere vincolati e sicuri. Presuppone una capacità di contemplazione riflessiva, di meditazione. Rappresenta la persona tranquilla (non fredda), felice, contenta, armonica, automoderata. Il colore blu è un invito all'infinito, alla trascendenza, simbolizza l'eternità senza tempo e l'armonia nel tempo storico. È il colore della lealtà, della fiducia, della devozione. Corrisponde all'attaccamento materno originale, sicuro. Francesco, nella sua vita, ha ricevuto in dono la fede, come dice nel suo Testamento: nelle chiese (vv. 4-5), nei sacerdoti (vv. 10), nell'Eucaristia (vv. 11-12), nei teologi (v. 13). Nell'arte della tua vita non può mancare il colore blu della fede.
Non deve mancare il colore verde, il colore della speranza (terra). È un colore che ha stabilità, costanza, forza, resistenza; possiede energia dentro di sé. Rappresenta la persona che possiede un sentimento di solida autostima, che ha il coraggio delle proprie convinzioni, disponibile ad affrontare ogni sfida; si mostra “sicuro di sé”, convinto del suo proprio valore, come risultato della sua esperienza e impegno personale. Rappresenta la persona fedele alle sue convinzioni, alla sua fede, la persona autentica, sincera con se stessa. Che ha identità propria: essere veramente se stesso. È la persona “nobile”, cioè autentica, risponde alla sua identità e soddisfa la stima di sé. È la persona padrona del proprio mondo interiore, che cerca costantemente la verità per poter vivere nel suo nome. A Francesco non è mancato certamente il colore della speranza, del valore di sé, di una chiara e solida identità personale: io fra Francesco … Anche tu hai una tua identità, un valore dentro di te che devi condividere con gli altri.
Non dimenticare, come il sale della vita, il colore rosso, il colore dell'amore (fuoco), della passione. Il colore rosso è eccitante, stimolante. Rappresenta la persona dinamica, attiva, piena di energia, che si espande e tende verso una meta, sicura di sé, che ha fiducia nelle proprie capacità e nelle proprie azioni fisiche, morali e spirituali; esprime amore, passione, ardente entusiasmo e desiderio. Rappresenta colui che sa usare la propria forza e capacità ed è sempre disposto ad affrontare le sfide, il pericolo, perché si sente sicuro di sé (che non è superbia, vanagloria). Non possiamo negare l'amore appassionato di Francesco per Gesù povero e crocifisso (basta pensare al segno delle stimmate), per l'essere umano, per la natura. Certamente non è mancato il rosso nella sua vita. Anche tu hai ricevuto una capacità di amare, dono ricevuto da Dio e che deve essere donato agli altri.
Un altro colore che non dovrebbe mancare è il colore giallo, il colore della Salvezza (aria, sole), della libertà interiore. Ci fa ricordare il fratello sole, ma soprattutto “Il Sole che nasce dall'alto”, Cristo Signore, nostro Salvatore. Il colore giallo, come il sole, ha un effetto luminoso, brillante, che dà calore, sveglia, stimola. Ha caratteristica di superficialità. Rappresenta la persona che ama “sognare”. Rappresenta la persona “libera” (staccata specialmente dai beni materiali), che cerca il nuovo, sempre disposta a cambiare (come pellegrini e forestieri), perché interiormente libera, cerca e sceglie quello che risponde alla verità nella situazione concreta, nel qui e ora. Francesco, senza parlare di libertà, fu veramente l'uomo libero, soprattutto attraverso il radicale distacco (sine proprio) delle cose materiali. Totalmente libero per amare: mio Dio e mio Tutto. Anche tu hai sicuramente dei sogni di vera libertà per amare pienamente.
E poi? E poi… puoi fare tutte le combinazioni di colori che vuoi, secondo quello che nel profondo del tuo cuore senti come risposta del Signore alla tua domanda, come quella di Francesco: Signore, cosa vuoi che io faccia?
Forse il colore viola (mescola tra rosso e blu) esprime quello che hai nel tuo cuore. È il colore che rappresenta “aldilà” del limite, il cambio, la transizione; supera il confine partendo dalla fiducia di sé per entrare nel mistero dell'altro/Altro, della diversità. È il colore della spiritualità, dei mistici, della fascinazione dei sensi. Francesco era anche un mistico, forse lo sei anche tu. Forse ti senti più identificato con il marrone (mescola tra l'arancione e l'oscuro), con meno luminosità e passività giustamente del rosso-arancia. Rappresenta la comodità confortante della vita e le soddisfazioni fisiche (corporali) e materiali.
O piuttosto il colore grigio (tra il bianco e il nero), che rappresenta la neutralità perfetta, assoluta: né eccitazione né calma, né orientamento verso l'esterno né verso l'interno. Significa divisione, distanza, come scissione astratta di opposti. Rappresenta il confine tra gli opposti: quello famigliare e quello estraneo, l'affermazione e la negazione, speranza e rinuncia. La variazione (gradazione) nella tonalità di grigio indicherà l'orientamento maggiore (più chiaro o più oscuro) da un lato o l'altro del suo significato, l'atteggiamento interiore di fondo, della persona in quel preciso momento.
O forse direttamente il colore nero, il colore più oscuro, che corrisponde alla negazione assoluta, al no incondizionato. Rappresenta l'opposizione, il rifiuto, il condizionamento autoritario, la rivendicazione di potere arrogante, è opposizione anarchica. Rappresenta l'incondizionato, il definitivo (la morte). O anche il colore bianco, il colore più chiaro. Rappresenta un valore di consenso, di libertà. È “tabula rasa”, la creazione di condizioni valide per una nuova partenza. È simbolo della purezza, della verità e dell'innocenza.
In realtà l'arte della vita sta nella varietà e nella combinazione dei colori. La vita non è (non dovrebbe essere) monocolore. Dio ha creato il cielo e la terra, creò l'uomo alla sua immagine…: “Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona” (Gen 1,31). Siamo creazione di Dio. Come Francesco, anche noi possiamo fare della nostra vita un canto di lode a Dio e per i suoi doni: “Altissimo, onnipotente, bon Signore, tue so le laude, la gloria e l'onore e onne benedizione…” (Cant 1: FF 261). Sulle orme di frate Francesco, seguiamo il Signore nostro Gesù Cristo. Il Signore vi benedica e vi protegga!

fra Lindor Alcides Tofful, ofmconv.

È partito ieri il quinto meeting internazionale di “Giovani verso Assisi”. L'incontro vuole essere un'occasione per poter conoscere quali sono stati i luoghi che hanno guidato i passi di Francesco e Chiara.

Sono più di 1000 i giovani che provengono da tutto il mondo per partecipare e condividere questa esperienza. L'incontro si propone di mettere i giovani a confronto sui valori fondamentali della Fraternità, della Preghiera, dell'Incontro e della Missione. Su questi quattro temi si snoda il programma dei ragazzi.

Verranno visitati i luoghi più significativi del francescanesimo con un pellegrinaggio alla tomba di Francesco, alle chiese di Rivotorto, San Damiano, Santa Chiara e San Rufino, dove il Vescovo di Assisi, Monsignor Domenico Sorrentino, celebrerà l'eucarestia. Anche il Santo Padre accoglierà i giovani che andranno fino a Roma nella giornata di mercoledì 5 di agosto.

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