San Francesco di Pescia
La tavola è del 1235 ed è il prototipo di una serie di analoghe composizioni
La solennità della figura fissata in una posa di antica matrice bizantina, la severità dello sguardo e la maestosità del gesto della mano sono inconfondibili segni dell’antichità della tavola raffigurante san Francesco conservata ab antiquo nella chiesa di Pescia intitolata al Santo di Assisi. Eppure sino al 1880 gran parte della composizione, fatta eccezione per la figura del frate, era celata dietro ad una grande tela del pittore Alessandro Bardelli che raf- figura una movimentata gloria angelica, aggiunta forse nel tentativo di rinnovare un’immagine arcaica, lontana dai gusti barocchi, ma tuttavia di indubbio rilievo per la devozione popolare. Grande fu dunque lo stupore di Michele Ridolfi che, rimuovendo la tela seicentesca, ebbe modo di vedere per intero l’icona medievale leggendo la data 1235, la firma di Bonaventura Berlinghieri e soprattutto riportando alla luce le sei storie della vita di Francesco distribuite tre per parte ai lati dell’immagine centrale. La data ritrovata poneva così la tavola di Pescia nella fase più antica di definizione dell’iconografia francescana, risalendo a soli nove anni dopo la morte di Francesco e ne faceva il prototipo di una serie di analoghe composizioni, principalmente legate alla bottega lucchese dei Berlinghieri, che si configurano come il risultato di una precisa strategia volta a divulgare la conoscenza del Santo e dei miracoli da lui compiuti, elaborata nel contesto francescano.
La presenza di un’opera così precoce a Pescia, la si deve alla munificenza ed alla devozione del conte Venanzio degli Orlandi il quale nel 1211 ospitò nella propria dimora per tre giorni Francesco che si stava recando a Pisa e gli donò un oratorio ed una abitazione di sua proprietà per favorire la fondazione di un monastero per la cui cura Francesco inviò prontamente due confratelli da Firenze: ben presto divenne un luogo molto frequentato dai devoti, tanto che fu necessario edificare un ponte sul fiume Pescia per consentire ai numerosi fedeli di raggiungere la chiesetta intitolata al Santo di Assisi. Disposte in successione cronologica secondo una scansione binaria, le sei scene raffigurano due episodi avvenuti durante la vita di Francesco (La predica agli uccelli e le Stimmate) e quattro miracoli avvenuti post mortem (il miracolo degli storpi, il miracolo degli zoppi, il miracolo degli ossessi e la guarigione di una bambina) che contribuiscono a fare della tavola di Pescia la prima opera conosciuta che tratti le Storie della Vita di Francesco, come sottolineava già nel 1937 Giulia Sinibaldi in occasione della mostra giottesca tenutasi a Firenze, quando la tavola venne esposta al pubblico.
I successivi interventi di restauro hanno consentito di evidenziare come verso la fine del Seicento fosse stata abrasa la parte terminale del cappuccio indossato da Francesco, eliminando la lunga punta riemersa in quella circostanza: la spiegazione di tale intervento è da inquadrarsi nell’ambito della disputa insorta fra le famiglie francescane circa la foggia del cappuccio indossato dal Santo che proprio i Cappuccini avevano riportato alla più antica forma. Nel dipingere le sei scene, il Berlinghieri non aveva dei modelli di riferimento ai quali appellarsi per impaginare le composizioni e sebbene il Pace abbia notato delle derivazioni dalla miniatura bizantina adattate alle nuove esigenze iconografiche, non si può non rilevare la maggiore scioltezza che ne caratterizza il ritmo narrativo rispetto alla solennità ieratica della figura centrale: il panneggio dei saii e quello delle vesti indossate dagli astanti, si dispone in pieghe fitte e risentite che assecondano il movimento dei corpi, i volti sono atteggiati ad una espressività più convincente, come dimostrano quelli degli ossessi guariti dal Santo, ed infine le fantasiose architetture – che completano gli episodi della vita di Francesco – hanno un risalto plastico ottenuto attraverso un uso coerente della luce. Tutti indizi che fanno della tavola di Pescia un’opera di eccezionale rilevanza per gli sviluppi della pittura italiana del XIII secolo e soprattutto un testo fondamentale per ricostruire le vicende dell’iconografia francescana negli anni cruciali successivi alla sua morte.
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