Infirmitate et tribulatione, la malattia di San Francesco
Il Poverello affronta con estrema serenità ogni dolore fisico
Francesco d’Assisi dai vari biografi e dalle Fonti viene descritto fin da giovane come “fragile e debole”, che “nel mondo non poteva vivere che con riguardi” (Compilatio assisiensis, n. 50). Anche nello Speculum perfectionis emerge come il suo fisico fosse gracile e debole e “più lo fu man mano che si andava avvicinando alla morte” (Speculum perfectionis minus, n. 20).
Il primo episodio dove Francesco mostra il suo malessere risale al 1203-4, periodo in cui gli assisiati furono sconfitti in battaglia a Collestrada e il Poverello fu fatto prigioniero a Perugia. Non abbiamo certezza della natura del male che lo affliggeva, ma visto il dilagare in Italia della malaria, si è ipotizzato che fosse stato colpito proprio da tale malattia. Sappiamo con certezza, da fonti ufficiali e anonime, che durante la sua vita fu per lungo tempo gravemente malato al fegato, milza e stomaco e che questi mali lo accompagnarono fino alla morte. Le cause sono da rintracciare negli sforzi che Francesco fece durante la sua vita da predicatore, associate ad una nutrizione inadeguata.
Grazie al biografo Tommaso da Celano sappiamo che negli ultimi anni della sua vita Francesco incorse in una malattia agli occhi definita gravissima, che gli provocò grandi dolori tanto da non riuscire quasi a riposare. Anche in questa occasione rifiutò di curarsi fin quando frate Elia, in virtù dell’obbedienza, gli impose di accettare le cure mediche dicendogli:“[…] l’Altissimo ha creato in terra la medicina e il savio non la respingerà. A quelle parole Francesco cedette volentieri e umilmente obbedì” (FF-491).
Il Santo andò incontro alla sofferenza anche nella ricerca della cura della malattia, perché “[…] il male si era tanto aggravato che, per ricavarne anche solo un piccolo beneficio, si richiedevano somma perizia medica e strazianti rimedi. Difatti, gli si bruciò con ferri roventi il capo in più parti, si incisero delle vene, si applicarono impiastri, si iniettarono colliri, ma senza alcun miglioramento; anzi, l’infermità continuava a peggiorare sempre più. Sopportò tutte queste infermità per quasi due anni, con ogni pazienza e umiltà, in tutto rendendo grazie a Dio” (FF. 497 - 498). Le Fonti, descrivendo l’operazione, raccontano anche le reazioni degli astanti. Da un lato il chirurgo sbalordito dalla resistenza di un infermo gravemente indebolito dalla malattia. Dall’altro i frati che, fuggiti in un primo momento, vengono poi accolti da Francesco con tale frase: “Paurosi e deboli di cuore, perché mai siete fuggiti? In verità, vi dico, non ho sentito né il calore del fuoco né alcun dolore della carne” (FF. 836).
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