Fra Giulio Cesareo: Natale è festa grande!
Abbiamo l’opportunità di conoscere una persona speciale
Natale è festa ed è festa grande, perché abbiamo l’opportunità di conoscere una persona speciale, il Signore, che ci stupisce sempre: non è mai come ce lo aspettiamo noi, ma sempre speciale appunto, originale, straordinario, al di là di ogni legittima e ragionevole attesa. Ed è per questo che lo festeggiamo ogni anno, perché con il passare dei mesi, le preoccupazioni, i problemi possono farci dimenticare di avere accanto un Padre così speciale, che ci affida il suo Figlio, Gesù, affinché lui stesso ci introduca nella gioia e nella grazia di essere figli di Dio.
Guardiamo allora questa mentalità, questa maniera di fare del Signore, che è diversa dalla nostra, eppure davvero ci rallegra e ci dona speranza. Nel vangelo san Giovanni (cfr cap 1) ci ha detto che in Gesù è venuta nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Questa basilica è bellissima e accogliente, però se fosse buia sarebbe proprio un’altra cosa e forse non avremmo il coraggio di entrarvi. Allora Gesù è questa luce calda che ci permette di scoprire la nostra vita, quella di ciascuno di noi, come un “luogo” bello, prezioso, speciale, un dono da non sprecare e da condividere.
E come è possibile tutto questo? Ci viene in aiuto Giotto che qui in questa basilica, casa di Francesco, colui che chiamava il Natale la festa delle feste – ha dipinto la nascita di Gesù. Gesù è deposto nella mangiatoia e accanto alla mangiatoia ci sono il bue e l’asino. Secondo gli antichi cristiani in questa scena c’è un dono spirituale per noi, che ci rivela questa mentalità del Signore, questo suo modo di fare così paradossale. Il bue e l’asino rappresentano i popoli del mondo: il bue gli ebrei (che avevano il giogo – come i buoi – della legge di Dio, quella che Mosè aveva ricevuto sul monte) e l’asino tutti gli altri popoli, pagani, tutti coloro che non conoscevano il vero Dio: da questi popoli (romani, greci, etruschi…) discendiamo anche noi che siamo qui oggi. Ebbene sia il bue che l’asino (quindi tutti i popoli della terra) mangiano dalla stessa mangiatoia che non contiene che un po’ di biada (che non è proprio la cucina francese…!) e i due animali ci tornano regolarmente, perché hanno fame… Per gli antichi questa mangiatoia con la biada (un po’ di erba, grano e orzo) è simbolo dei nostri vizi, del male a cui ciascuno di noi si è abituato e che ricompie “regolarmente”. Pensiamo al dire le bugie: dico una bugia oggi, domani e dopodomani… e piano piano diventa un’abitudine; alzo la voce in famiglia oggi, domani e dopodomani e diventa piano piano un’abitudine; parlo male di un parente, di un vicino, di un collega oggi, domani e dopodomani e diventa un’abitudine.
Allora è chiaro che questa mangiatoia rappresenta la vita grama, condita di male – che ci dà sicuramente un po’ di soddisfazioni sul momento (criticare è piacevole, dire le bugie è conveniente, alzare la voce ci fa sentire forti…) – ma in realtà tutti questi comportamenti ci umiliano, perché ci rendono meno degni di fiducia, meno collaborativi e meno empatici… In vari modi cioè essi ci isolano e creano delle barriere più o meno visibili tra noi e gli altri.
Un po’ come la biada: noi siamo i figli di Dio, i figli del gran Re diceva san Francesco, e invece di mangiare i cibi succulenti dell’amicizia, dell’onestà, della collaborazione, ci nutriamo di ciò che è basso e indegno di noi.
E cosa fa Dio di fronte a tutto ciò? Ci fa la predica? No! Ci giudica? No! Ci condanna? No! Esige da noi dei cambiamenti? No! Lui si fa deporre in quella mangiatoia affinché l’asino e il bue che regolarmente tornano alla loro biada umiliante, finalmente trovino il buon cibo, quello che il Padre ha donato a noi: il Figlio Gesù, che se lo accogliamo – ci rende figli di Dio a nostra volta e fratelli e sorelle tra di noi. È paradossale il nostro Dio: noi non faremmo così. Lui invece non pretende niente, anzi, partendo da dove ci troviamo, cerca in tutti i modi di incontrarci, non perché ha bisogno di noi, ma perché ci ama e siamo preziosi per lui. E così ognuno di noi a Natale può ricordare e fare ancora esperienza che non è quando siamo bravi e perfetti che la nostra vita è davvero bella, perché quando tutto va bene abbiamo sempre il rischio di essere così soddisfatti e orgogliosi da essere in realtà soli, un po’ come i farisei del vangelo, fieri dei loro successi. Invece quando siamo più poveri, a volte quando siamo stupidi o ci umiliamo con i nostri errori e vizi e cerchiamo consolazione nel male, il Signore è sicuramente lì con noi per accoglierci senza giudicarci e aprire così un nuovo cammino, che non parte da noi, ma dall’amore tenace del Signore.
Allora è davvero Natale perché è la festa di tutti e di ciascuno, non solo dei bravi o dei buoni, ma di tutti. E piano piano possiamo anche noi imparare dal Signore a fare lo stesso, a non giudicare gli altri, ma ad accoglierli lì dove sono poveri (come ha fatto il Signore con noi): è questo è già l’inizio del paradiso, che non è luogo che si raggiunge dopo la morte, ma l’esperienza – anche oggi – che ciò che conta sul serio è l’amore: l’amore che riceviamo dal Signore e l’amore che ci scambiamo gli uni gli altri.
E così davvero Gesù è il Dio-con-noi: non Dio-con-me, ma con-noi, perché il Signore desidera essere il legame che ci unisce e che fa di noi una vera fraternità. E questa spegnerà il male, le guerre, le violenze, le ipocrisie.
Ci conceda il Signore Gesù di avere un po’ più di fiducia, almeno oggi, nelle Sue parole e nel Suo progetto su di noi, affinché sperimentiamo dentro le relazioni (a volte belle, a volte difficili) che Lui è il Dio-con-noi.
Buon Natale, di cuore.
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