Il tenero Natale di San Francesco
L’amore e i suoi gesti disinteressati
“Abbiamo fame di tenerezza,/ in un mondo dove tutto abbonda/ siamo poveri di questo sentimento/ che è come una carezza/ per il nostro cuore/ abbiamo bisogno di questi piccoli gesti/ che ci fanno stare bene,/ la tenerezza/ è un amore disinteressato e generoso,/ che non chiede nient’altro/ che essere compreso e apprezzato”. Non sono versi dedicati al Natale questi che la poetessa Alda Merini dedica a uno dei sentimenti più belli che possano esserci, la tenerezza. Parole che nel nostro oggi risuonano più attuali che mai. L’amore e i suoi gesti disinteressati; l’amore generoso, quello che sa amare e nulla più. E, quando si parla di amore disinteressato non può non venire in mente il Cristo che, così, con “semplicità” riesce a donare la propria vita al mondo: in fondo, è nato proprio per essere dono all’umanità, per essere il regalo più bello che Dio ha dato al mondo.
Sotto i nostri alberi di Natale vediamo quei pacchettini sbrilluccicanti; vediamo fiocchi e scatole che si confondono; attendiamo di aprirli, questi doni che riposano sotto il lucente abete ben addobbato perché sono le sorprese che parenti o amici ci hanno donato; Dio è generoso, molto generoso, e così - non sotto l’albero - ma in un’umile mangiatoia ha voluto donare il bene più prezioso, il Bambino Gesù, Suo Figlio. In una mangiatoia, umile, vera, fredda, riposa il Bambino.
Come, allora, accogliere il dono più bello? San Francesco d’Assisi ci ha pensato con il suo Presepe di Greccio e ci ha indicato, soprattutto, la via della tenerezza: “Al di sopra di tutte le altre solennità celebrava con ineffabile premura il Natale del Bambino Gesù, e chiamava festa delle feste il giorno in cui Dio, fatto piccolo infante, aveva succhiato ad un seno umano. Baciava con animo avido le immagini di quelle membra infantili, e la compassione del Bambino, riversandosi nel cuore, gli faceva anche balbettare parole di dolcezza alla maniera dei bambini. Questo nome era per lui dolce come un favo di miele in bocca”.
Così il Celano nella biografia del santo di Assisi, descrive l’animo di Francesco in questo particolare giorno di festa. E’ un bambino Francesco, si fa bambino come Gesù appena nato. Immagine di grande tenerezza, dolcezza. Insuperabile il suo entrare nel Cristo. Così come per le stigmate della Passione, San Francesco - nel giorno del Natale - vive la sua conformità a Gesù esprimendo la sua fanciullezza. “Io ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le hai rivelate ai piccoli”, a parlare è il Vangelo di Matteo al capitolo undicesimo. Il santo di Assisi aveva ben in mente queste parole, anzi le "incarna" così come Dio stesso si è incarnato nel Santo Natale.
“Baciava con animo avido le immagini di quelle membra infantili, e la compassione del Bambino, riversandosi nel cuore, gli faceva anche balbettare parole di dolcezza alla maniera dei bambini”, in queste parole del Celano è racchiuso tutto “il segreto” - anche se di segreto non si tratta, in fondo - di quel suo gesto: ricostruire, per quanto possibile, quella scena che vedeva un padre e una madre contemplare la bellezza del proprio Bambino. Francesco, in quel momento, sperimenta paternità e maternità al contempo, perché la tenerezza è un sentimento che vive nelle due persone: come nel padre, così nella madre; è la tenerezza di Dio che è “padre e madre”, per ricordare la bellissima e affascinante espressione coniata da papa Luciani.
Ma Francesco, nel giorno del Natale, pensa comunque soprattutto a una donna, anzi alla Donna per eccellenza, la Vergine Maria: l’incarnazione passa per una donna, passa per la Vergine Maria. E, frate Francesco, nella sua povertà, “non poteva ripensare senza piangere in quanta penuria si era trovata in quel giorno la Vergine poverella. Una volta, mentre era seduto a pranzo, un frate gli ricordò la povertà della beata Vergine e l’indigenza di Cristo suo Figlio. Subito si alzò da mensa, scoppiò in singhiozzi di dolore, e col volto bagnato di lacrime mangiò il resto del pane sulla nuda terra. Per questo chiamava la povertà virtù regale, perché rifulse con tanto splendore nel Re e nella Regina”.
Tenerezza e povertà, ancora un’associazione di sostantivi che in Francesco brillano come la luce della mangiatoia, come la sfavillante luce della cometa che sprigiona la sua impalpabile luminosità nella notte; luce che condurrà, in quel luogo santo, i Magi dell’Oriente. Possiamo solo immaginare quanta tenerezza frate Francesco abbia messo in quel suo gesto descritto da Bonaventura di Bagnoregio nella sua “Legenda maggiore”, in quel Natale del 1223: Francesco, prende quel “bellissimo bimbo addormentato, stringendolo con ambedue le braccia”. Lo stringe al cuore e le loro guance si incontrano in un afflato di tenerezza.
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