francescanesimo

Fortunato: I tre 'colori' spirituali della Maddalena. Video i colori di Giotto

Enzo Fortunato Archivio Fotografico Sacro Convento
Pubblicato il 14-04-2020

La notte, col suo silenzio, ci fa ascoltare le sue voci

La notte. Sfogliando i quotidiani noto che una delle parole che più ricorre è proprio questa: la notte. La notte animata dall’attesa, la notte animata dalla relazione. La notte animata dal talento del dolore, la trasformazione. Questi aspetti trovano una risposta nel Vangelo della Resurrezione. La protagonista è Maria Maddalena.

Parto da una domanda: perché i due eventi più importanti del cristianesimo, nascita e resurrezione di Gesù, avvengono di notte. A Betlemme, di notte, solo in una stalla e di notte in un Sepolcro avviene il grande mistero della resurrezione. Credo che queste due immagini ci dicono che Gesù nelle nostre notti vuol portare la luce, facendoci rinascere e prospettandoci un cammino con energie nuove.

La notte, col suo silenzio, ci fa ascoltare la voce degli altri, le nostre voci, ma ci fa ascoltare soprattutto la Voce.

Così scrive don Marco Pozza: «Chiedilo all’aurora, lei ti risponderà: “È di notte che mi alzo e inizio a spargere la luce”. Chiedilo alla resurrezione. Lei ti risponderà: “Nella notte di quella croce ho fatto le prove generali per la mia danza”. Chiedilo alla vittoria. Lei ti risponderà: “Nella notte della sconfitta ho avvertito il sapore della rivincita”...e dentro la notte c’è un mondo in stato di febbrile e appassionata attesa: il fornaio col suo lievitare il pane, il camionista nella piazzola dell’autogrill, l’editore nel buio della sua redazione, il monaco nel silenzio claustrale della sua cella, la mamma nell’angosciante attesa di un ritorno. Il popolo di Dio attende per entrare nella Terra Promessa»...e Alda Merini scrive: «I poeti lavorano nel buio, come falchi notturni o usignoli dal dolcissimo canto e temono di offendere Iddio. Ma i poeti, nel loro silenzio, fanno ben più rumore di una dorata cupola di stelle».

LA SOFFERENZA
Troviamo comunque una risposta nel Vangelo: Maria di Magdala sta lì, chinata nel Sepolcro, addolorata, sofferente. Si pone delle domande. Il Vangelo apre con tre grandi momenti. Il primo è proprio questo: Maria che soffre per un doppio dolore, la perdita di Gesù e il corpo che non c’è più. Aggrappata al dolore umano di un corpo che non c’è più e al dolore della fede, di chi non ha ancora compreso tutto ciò che Gesù ha detto e testimoniato.

CHIAMATI PER NOME
Il secondo momento, Gesù chiama per nome la donna, “Maria”; lei chiama per nome il suo Signore, “Maestro”. Il mondo semantico di Israele ci dice che quando si viene chiamati per nome significa che Dio conosce e crede in quella persona. Un concetto bellissimo.

Ricordo quando ero ragazzino, a 11 anni, mi persi. In quella situazione vivi lo smarrimento, il dolore. Poi mi trovarono, mio padre mi trovò e io dissi: “Papà”, mio padre rispose: “Enzo”. Al sentirsi chiamare con il proprio nome, si allarga il cuore. Sentiamo che l’altra persona ci protegge, crede in noi, ci vuole bene.

SPINGERCI OLTRE
Il terzo tempo del dolore è che questo momento educa e spinge. Educa a non rimanere aggrappati alla tristezza. A non rimanere ancorati al dolore. In molti momenti della nostra vita c’è dolore e sofferenza. Ma siamo chiamati ad uscirne, con una consapevolezza nuova. Gesù dice a Maria: “Perché mi cerchi qui? Va’ lì…”. Interessante questo passaggio: quello di essere spinti in un altro orizzonte, l’orizzonte della gioia del risorto, l’orizzonte della resurrezione. L’orizzonte di una realtà nuova che ora abita la tua vita.

In questo tempo di Pasqua siamo chiamati davvero a vivere questo terzo momento. Tirando fuori tutte le nostre potenzialità, essere motivati, spinti verso un altro orizzonte che sia in grado di farci vedere le cose in modo diverso. Si tratta di uscire dal Sepolcro e andare dagli altri. Uscire dal dolore ed entrare in relazione con gli altri. Non è semplice, è un cammino certamente faticoso, ma credo che ogni momento vissuto così pienamente diventi foriero di vita.

In molti momenti di dolore, se rimaniamo ancorati ad essi, non riusciamo davvero a vedere, restiamo chinati, non scorgiamo chi abbiamo intorno. Quando invece riusciamo a uscire dal dolore, pur con la consapevolezza di quella sofferenza, poi le cose cambiano davvero. L’adagio popolare per cui “quando si chiude una porta si apre un portone” dice proprio questo. Quando facciamo l’esperienza dei nostri cari che abbiamo perso, poi guardiamo in alto e sentiamo la loro presenza vicina a noi. Ricordare le frasi belle di chi ci ha lasciato, è il vero testamento che emerge. Ci fa vivere in maniera diversa il dolore: ecco la resurrezione, uscire dal Sepolcro e andare dagli altri. Sono certo che ognuno di noi riuscirà a trovare con la creatività e la fantasia le opportunità di questo grande tempo che stiamo vivendo.



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